La pazienza del frac

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Venezia è essenzialmente un piccolo assaggio di paradiso molto umido. Trasuda storia e fascino da ognuna delle sue lucide gondole e un suo minimo dettaglio può essere un madido palpito che pervade nell'arida consuetudine dei nostri insipidi giorni, come i suoi voluttuosi balconi di ferro battuto che esplodono in fiori coloratissimi, o i gondolieri che chinano le schiene spezzate dal sole per attraversare i ponti più bassi, o la luna evanescente che sul finire del cielo si specchia vanitosa frammentandosi nei rivoli umidi. L'acqua serpeggia come sangue nei suoi canali, alimentando ed accrescendo il potere evocativo della sinuosa poesia che abita nell’aria, ed è un'indispensabile linfa vitale che mantiene pulsante la magia di questo grazioso scrigno inestimabile ed alieno dal mondo.

Per una delle sue contorte viuzze, nel maestoso calare di un giorno di metà settembre si trascinava claudicante un anziano signore, arrancando impaziente di trovare un ristoro per la sua vecchia pelle nell'ombra. Il vigore della giovinezza aveva ormai abbandonato il suo fisico corroso dagli anni, e i risultati erano una costante stanchezza e quella pancetta che dopo una certa età nessuno ti può più rimproverare. Il suo viso esprimeva una completa insofferenza mista ad una corrucciata contrarietà: gli angoli della bocca si adagiavano perennemente imbronciati e non si sollevavano mai, nemmeno in un timido sorriso. Nei suoi occhi distratti brillava una malinconia balsamica e persistente. Era un uomo molto colto e amante della cultura, accanito inseguitore di una poco frivola utopia in cui ciascun individuo potesse dedicare ogni suo istante a elargire con generosità nutrimento alla propria mente vorace di conoscere: questo era il risultato degli studi umanistici che coltivò con passione nel liceo classico di Venezia, il Liceo Foscarini. Un austero palazzo, operativo fin dal 1807 per volere di Napoleone, in cui si era dovuto far bastare cinque anni per accumulare quanto più sapere possibile: non aveva una famiglia particolarmente abbiente, e l'università rappresentò un lusso che non si poté permettere. Il suo nome era Giovanni Marangon, per gli amici Il Gioanin. Peccato che di amici non ne avesse. Giovanni era una persona triste e scontrosa. Il suo approccio con chi condivideva con lui questo piccolo mondo sarebbe forse stato più aperto e affettuoso di quanto non fosse, se non addittura paterno e velato da saggezza senile, se avesse potuto semplicemente vivere libero da vincoli e regole imposte. Purtroppo però da anni ormai la sua stanca anima non trovava una dimora nel suo corpo anziano lasciato sempre più solo dalle forze, ma era costretta a rifugiarsi in un ben più stretto ma infinitamente più elegante abito da maggiordomo. E, dato che nella vita all’infuori dai proverbi l’abito fa il monaco, lui con gli anni aveva raggiunto una curiosa condizione: era stato completamente assoggettato dal suddetto abito, e la sua esistenza orbitava in ogni sua sfaccettatura intorno a quello status di maggiordomo. Il che non era esattamente l’obiettivo che si sarebbe prefissato seguendo il suo carattere, un’indole scoppiettante di uomo testardo, egocentrico e tendente al protagonismo velata però da un guscio (raramente scalfito) di timidezza incondizionata: una complicata situazione emotiva che si concretizzava in una contenuta tranquillità, la sola punta dell’iceberg dei suoi sentimenti, che alla fine aveva prevalso nella scelta del suo lavoro. Inoltre, fin dalla sua più tenera età, aveva sempre avuto una passione per l'arte, la poesia e la musica d'autore, passione che avrebbe certamente potuto trovare un pieno sfogo e una completa realizzazione in mestieri che si prefiggono, con il loro estro, di esaltare in varie forme la bellezza. Ma i giorni che viviamo non hanno tempo per la bellezza, e condannano coloro che ne sono maggiormente esaltatori a ritagliarsi una vita ai margini del mondo, meravigliosamente fuori dal confuso rumore della gente, in luoghi in cui dipingere a pennellate tristi una splendida ode al silenzio circostante. Questa è però solo destinata ad appassire in quello stesso silenzio, senza poter raggiungere i cuori grigi dei cittadini del mondo, che non hanno tempo per la bellezza. Così questi, fugaci esaltati soddisfatti di poter finalmente vantare un nuovo iPhone, confinati come sono nel loro infinito, finiranno per esistere, senza però vivere; si perderanno in aggrovigliati ammassi di nullità, lineari ghirigori grigi ancor più della loro anima, arrivando a potersi godere il mondo come un cieco daltonico può ammirare un tramonto. Infine moriranno, senza lasciare una benché minima traccia. Un destino ancor più triste affligge però chi vive solitario nella propria arte: terminerà infatti i suoi giorni consunto nel suo personale bozzolo di abbandono e anonimato. Il che non è esattamente una prospettiva molto allettante:

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⏰ Last updated: Feb 16, 2014 ⏰

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