IX

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La musica si fermò, Greta corrugò le sopracciglia e prese il cellulare, allibita pensando che si fosse già scaricato, ma al posto di trovare lo schermo scuro notò una chiamata in corso.
«Pronto?» disse dopo essersi tolta gli auricolari.
«Greta.» la voce di Rich suonava fredda e distante, la ragazza pensò subito che fosse successo qualcosa e iniziò a sperare che il ragazzo avesse deciso di iniziare un'altra cura.
«Rich tutto a posto?» represse un sorriso, in teoria avrebbe dovuto appoggiare il ragazzo, ma alla sola idea che Rich avesse cambiato idea, si sentiva rinvigorita.
«Assolutamente no. Come hai potuto?»
La ragazza si alzò in piedi e iniziò a camminare per la stanza, confusa domandò: «Scusami, ma non so cosa tu voglia dire.»
«Sai di che parlo.» la sua voce era fredda.
Greta iniziò a preoccuparsi e la sua mente si offuscò, cercò di capire a cosa si riferisse il ragazzo, ma non le venne in mente nulla. L'unica cosa che aveva fatto era quella di innamorarsi di lui e non riuscire a trovare qualcun altro mentre Rich stava morendo.
Era più forte di lei, non riusciva ad affezionarsi ad altri e sapeva che se l'avesse fatto, si sarebbe sentita in colpa.
Non poteva innamorarsi di un'altra persona, quando lui stava morendo, era un pensiero egoista.
«No, invece.» mormorò.
«Un mese fa mi hai detto che avevi in casa alcuni soldi e ti sarebbe piaciuto usarli per far del bene.» parlava come se la stesse accusando di qualcosa, Greta era ancora più confusa.
«Sì, è vero, ma...»
«Non fai del bene in questo modo, sappilo. Come hai potuto? Come hai fatto a essere così egoista? Mia madre aveva appena iniziato ad accettare il fatto che volessi morire e poi, poi tu arrivi con quei cazzo di soldi.»
Greta si sentì punta nel vivo da quelle parole, anche se non capiva da dove arrivavano. Era vero quello che diceva Rich, una volta aveva pensato di donarli alla sua famiglia per le cure del ragazzo, ma questo era prima che Rich rifiutasse le cure.
«Ripeto, non so di cosa stai parlando.»
«Smettila di mentire. So che sei stata tu. Sai perché?» domandò calma.
Greta sapeva che quando Rich parlava in modo così tranquillo e calmo era perché stava andando su tutte le furie, non era da lui alzare la voce.
«No.» mormorò sconfitta, doveva almeno capire e forse facendolo parlare avrebbe ottenuto delle risposte.
«Perché so che tu, oltre a mia madre, sei l'unica che non accetta che io muoia.»
Greta respirò profondamente, la cosa era difficile, un po' per le parole del ragazzo e un po' per la situazione in cui si era ritrovata.
«Rich, è vero. Hai ragione. Non accetto il fatto che tu ti arrenda così facilmente, non capisco come ti senta o forse non voglio nemmeno capirlo, ma non riesco a sopportare che un giorno non ci sarai più. Su questo hai ragione, ma sbagli dicendo che ho dato i miei soldi alla tua famiglia.»
Nessuna risposta venne dall'altro capo del telefono, poi sentì una specie di risata, «Mi congratulo con te.»
«Cosa?» domandò stupita, forse l'aveva convinto.
«Hai capito. Mi congratulo con te, perché non ho mai visto una persona fingere così bene, davvero. Mi portavi le sigarette e al contempo davi i soldi alla mia famiglia, davvero complimenti.»
«Rich, non capisci, io...» la voce di Greta era scomparsa.
«Fammi un ultimo favore, okay? Cancellami dalla tua vita, almeno tu che puoi provare a farlo.» e attaccò.
Greta rimase lì impalata con il telefono in mano, non riusciva nemmeno a piangere o pensare, o fare qualsiasi altra azione che non fosse il respirare.
Non comprendeva nemmeno come si sentiva, forse si sentiva vuota oppure niente.
Niente molto probabilmente, aveva perso tutto ciò che riusciva a darle un minimo di conforto.
Non solo Rich l'aveva rifiutata in amore, l'aveva rifiutata anche come amica ed era questo a far più male. Perdere un amico era molto peggiore di perdere un ragazzo, ma perderli entrambi era una devastazione.
Ora non sapeva che cosa fare.
Chiuse la telefonata e appoggiò il telefono sulla scrivana, respirando profondamente.
In quel momento la rabbia montò su di lei, non perché era stata rifiutata, ma perché non l'aveva ascoltata e soprattutto perché non le aveva creduto. Lei aveva fatto di tutto, tutto, per lui e lui come la ripagava? Dicendole di cancellarlo.
Si sentiva così arrabbiata e frustrata che pensò che se si fosse messa d'impegno sarebbe riuscita a farlo. Ovviamente non possedeva poteri magici per fare un incantesimo, si mise quasi a ridere quando le venne in mente che se fosse stata Hermione Granger in Harry Potter avrebbe saputo che incantesimo fare.
Lei, però, non era una maga, ma una semplice ventunenne.
Iniziò a partire dal principio, per fortuna non aveva foto in camera e da nessuna altra parte. Iniziò col cancellare il suo contatto dal cellulare e alcuni messaggi, si accorse che lo fece senza rimorso.
Poi, prese i soldi da sotto il letto e li appoggiò sulla scrivania, erano circa duemila dollari: decise che alcuni li avrebbe regalati a un'associazione di beneficenza mentre gli altri li avrebbe tenuti per sé.
Infine chiamò una sua amica e decise che sarebbe andata in discoteca quella sera e avrebbe bevuto fino a star male.
Fece tutto questo senza un briciolo di rimorso, si impose che non avrebbe mai più provato senso di colpa.
Lui le aveva chiesto un ultimo favore e lei decise di accontentarlo. 

Rion mise piede nella camera di Louis provando un misto di imbarazzo e curiosità, non appena il castano chiuse la porta, sentì un puzzo di fumo invaderle le narici misto a un profumo di fresco, l'odore di Louis.
«Fumi in camera?» domandò.
«Alcune volte.» ammise il castano e si buttò sul letto.
La ragazza si guardò in giro: c'erano alcuni scatoloni posti sotto la finestra, dalla quale entrava un po' di luce. I muri erano bianchi con dei poster di rock band degli anni '80, Rion si sorprese che alcune le ascoltasse lei stessa, non avrebbe mai definito Louis un tipo che sentisse quel genere di musica.
Fece scorrere lo sguardo sulle mensole dove erano disposti alcuni libri e peluche, poi l'occhio si posò sull'armadio aperto, poté notare il disordine del ragazzo. La cosa che la sorprese di più, però, furono gli spartiti sulla scrivania. Louis componeva brani e suonava il pianoforte, si guardò in giro ma non lo vide. Forse era posto in un'altra ala della casa.
«Suoni il piano?» domandò curiosa.
«Sì, ma non è ancora arrivato per via del trasloco.»
Rion annuì e d'un tratto le venne in mente quella sera in cui il ragazzo le aveva chiesto una sigaretta, mentre ritornava dal condominio abbandonato. Louis l'aveva riconosciuta il giorno seguente a scuola, ma Rion aveva finto che non sapesse di chi stesse parlando. Da quel momento Louis non aveva più fatto domande al riguardo, la cosa sorprese la ragazza dato che quel giorno l'aveva provocata con domande riguardo la sua famiglia e il suo carattere, evidentemente Louis si era dimenticato dell'accaduto. Tanto meglio.
Infine si voltò sul ragazzo disteso sul letto, teneva le braccia incrociate dietro la testa e la fissava con sguardo curioso, Rion si sentì in soggezione.
Era abituata a non essere guardata in quel modo da nessuno, ma ora che Louis la osservava oltre a sentirsi nuda sotto il suo sguardo ghiacciato si sentiva anche intimorita, lui sapeva troppe cose riguardo a lei.
Rion notò le sue labbra strette rivolte a un sorriso poco accennato, notò che il suo corpo era rilassato e non rigido come se dovesse scappare da un momento all'altro.
Si accorse che aveva tante cose da chiedergli, ma non osava perché sapeva che a domanda seguiva un'altra domanda e lei non doveva rivelare nulla di se stessa.
«Ti manca suonare?» chiese e fissò la sedia vicino alla scrivania.
«Se vuoi puoi sederti, puoi venire anche qui sul letto, non ti mordo mica.» e sorrise, Rion optò per la sedia anche se qualcosa dentro di lei le diceva di sedersi sul letto, «Comunque, sì, mi manca. Prima ero abituato a suonare quasi tutti i giorni.»
«Cosa suoni?» domandò, non sapeva perché era così incuriosita, ma scoprì che le piaceva sapere qualcosa di altri.
«Di solito rivisito i brani rock degli anni '80, ma alcune volte suono anche musica classica.»
«Compositore preferito?»
«Debussy ed Einaudi.» rispose il ragazzo di getto, «Quante domande. Sicura di stare bene?»
Lo stomaco di Rion ebbe una contrazione e sentì che il suo viso si contorceva fino a ottenere un'espressione impenetrabile.
«Cosa dovevi fare oggi pomeriggio?» domandò tranquillo.
Rion si irrigidì, quel pomeriggio sarebbe dovuta andare da Bon per smistare la roba e infine quella sera sarebbe uscita a spacciare, era un venerdì, avrebbe guadagnato quasi come il sabato sera.
Deglutì e mormorò: «Studiare.»
Louis si alzò di scatto e disse, «Okay, c'è solo grammatica per domani e io l'ho già fatta, puoi copiarla se vuoi.»
Rion lo guardò sbalordita, non solo si aspettava che il ragazzo si portasse avanti con i compiti, ma per di più le aveva proposto di copiarli.
«Beh, se per te non è un problema.»
«Assolutamente no, ti devo un favore, giusto?»

Maxie guardò i due amici andare tranquillamente sugli skateboard, chiedendosi come fosse possibile che gli piacesse quella roba.
Soffiò fuori il fumo della canna tranquillamente, lasciandosi cullare dall'effetto della droga. Ogni volta che fumava i suoi demoni facevano il loro ritorno, ma c'erano alcune volte in cui riusciva a pensare lucidamente.
Si disse che stava diventando troppo dipendente dalla droga e si chiese se un giorno non gli fosse stata abbastanza, se un giorno avesse deciso di provare qualche altra sostanza stupefacente. Si ritrovò a pensare a quegli scheletri di persone che vedeva ogni qualvolta andava al giro per comprare la roba. Aveva paura di diventare come loro, di diventare così dipendente da vivere solo per quello.
Vide i suoi sogni sgretolarsi uno a uno davanti a sè e lui si sentiva così impotente che non sapeva cosa fare, aspirò di nuovo, l'erba gli bruciò nei polmoni e la espirò con rabbia.
Non riusciva a non fumare, era come se fosse diventato dipendente. L'erba gli dava sollievo e malinconia allo stesso tempo, non lo faceva pensare ad altri ma solamente a se stesso.
Peccato che riusciva a vedere se stesso come un morto ai margini della strada, la pelle bianca, alcune escoriazioni sul viso e le pupille dilatate al massimo.
«Hai gli occhi rossissimi.» mormorò Niko posando lo skateboard davanti a loro.
Maxie scoppiò a ridere e diede una pacca all'amico, ogni volta che sentiva un superlativo si metteva a ridere.
«Cazzo, se sei sotto.» esclamò il ragazzo e iniziò a togliersi le protezioni sulle braccia e sulle ginocchia.
Erano in un parco che al suo interno aveva una piccola pista per andare sia in skateboard sia in mountain bike, Maxie era proprio seduto su una delle rientranze dove passavano con gli skate, lo zaino di scuola posizionato vicino a lui.
«Cosa si fa domani sera?» domandò Niko infilando nella borsa i parastinchi.
«Qualche idea?» domandò Maxie, aspirando.
«Stesso bar e stessa canna?» propose il ragazzo.
«Tanto ormai, è sempre quello. Lo dirò a Louis.»
«Ti sta simpatico?» domandò circospetto.
«Sì, perché?»
«Non ti sembra che se la tiri un po'? Il primo giorno ci ha dato dei coglioni e non ha battuto ciglio quando Pettifer gli ha messo la nota. Poi, continua a provarci con Rion, ma chi si crede di essere?»
Maxie si sentì leggermente perplesso, non aveva mai creduto Louis un tipo egocentrico, forse perché sapeva molte più cose di lui rispetto a Niko.
«Sei geloso?»
«Di lui? Neanche un po'.»
«E allora che cazzo di problemi ti fai?»
«Non credi che ti stia usando?»
Maxie scoppiò a ridere, Niko lo guardò serio e il biondo cercò di non ridergli in faccia. Dentro di lui voleva smettere di ridere, ma l'erba lo faceva sembrare un emerito cretino.
«Non hai notato che da quando ci prova con Rion, non ti caga più di striscio?»
Maxie continuò a ridere, Niko non capiva niente.
«Non ci prova con Rion.»
«Maxie, sappiamo tutte e due che Rion ha un bel culo, ma nessuno di noi lo guarda come glielo guarda Louis.»
Maxie scoppiò a ridere e annuì, in effetti Rion aveva un bel sedere, si soffermava sul suo didietro ogni volta che veniva chiamata alla lavagna, ma sapeva che Louis non ci stava provando con lei. Rylee gli aveva chiesto di cercare di fare parlare Rion, perché la sorella era in pensiero per lei, ma questo Niko non lo sapeva e faceva pregiudizi infondati.
Nonostante questo, Maxie si ritrovò a pensare che il ragazzo avesse ragione: Louis non lo guardava più di tanto da quando aveva iniziato a prestare attenzioni alla ragazza.
Durante l'intervallo cercava sempre di farla parlare, si era fermato una volta con lei in biblioteca e oggi li aveva visti andare a casa insieme. Inoltre, ogni mattina si fermava a fumare in compagnia di Rylee.
Il sorriso gli scomparse dal volto, ma non si sentiva ugualmente usato. Sapeva per certo che era una cosa normale quando si metteva in mezzo una ragazza. In più, non conosceva così bene Louis per giudicare la situazione su due piedi, il ragazzo era appena arrivato, doveva ancora ambientarsi.
Si domandò se quelle erano tutte scuse. Si domandò se Niko non avesse ragione.
In tal caso avrebbe dovuto allontanarsi dal ragazzo e sapeva per certo che non ci avrebbe messo molto, ogni volta che Maxie decideva di abbandonare qualcuno, lo faceva definitivamente. Non si era mai domandato se avesse sofferto oppure se si fosse pentito della sua azione, era tutto calcolato. Come un'equazione.
Era come se Maxie non avesse mai avuto un cuore.
Il ragazzo scoppiò a ridere davanti e quei pensieri, «Cristo.» sussurrò e poi guardò l'amico, «Cristo, Niko. Non capisci proprio niente, tu.» e si alzò.
Si allontanò dalla pista da skateboard e una volta al cancello, si voltò e urlò rivolto all'amico: «Cristo!» e scoppiò a ridere.
Si sentiva un matto e forse lo era.

Rylee uscì dal bagno come se niente fosse successo, per non far capire che aveva pianto, aveva optato per farsi una doccia.
I capelli odoravano di fresco e lei si sentiva rinata, anche se aveva un peso sul cuore.
«Ciao, mamma.» salutò quando entrò in cucina.
«Tesoro.» sua madre corse ad abbracciarla, d'un tratto il muro che la ragazza aveva sollevato negli ultimi dieci minuti sembrò cedere e crollare, e sentì tutto il dolore della madre passare nei suoi arti e distruggerla.
Jessica si staccò e mormorò: «Scusami, vuoi qualcosa da mangiare?»
«Sì, grazie.» rispose con voce strozzata, «Dov'è Rion?»
La domanda fece comparire un sorriso sul volto della madre e Rylee venne pervasa da una sensazione di curiosità, in effetti era strano che sua sorella non fosse ancora rientrata in casa.
«E' a casa di un compagno.»
«Come?» Rylee era convinta di non aver capito bene.
«E' a casa di un suo compagno, tesoro.»
Rylee si sentì attonita e sorpresa, sapeva benissimo chi era il compagno a cui si riferiva la madre, non poteva essere nessun'altro. Louis stava facendo un vero e proprio miracolo, erano anni che Rion non metteva piede in casa d'altri.
Mangiò il pranzo tranquillamente, parlando alla mamma del progetto che avevano deciso di fare durante l'assemblea di istituto.
Le spiegò che tutti gli studenti erano stanchi del grigio della loro scuola, quindi la ragazza propose di pitturare le pareti facendo una giornata della creatività. A dire il vero, l'idea della giornata della creatività, l'aveva proposta la preside quando la ragazza era andata a parlarle per chiederle il permesso di pitturare la scuola.
Inutile dire che la preside fu entusiasta e assicurò alla ragazza che ci avrebbe pensato lei a trovare la vernice e tutto il necessario, inoltre disse che la giornata della creatività si sarebbe tenuta il prima possibile.
Rylee diede una mano alla mamma e poi andò in soggiorno, dove prese la piccola Renae sulle ginocchia iniziandola a far giocare.
La piccola era la persona a cui si sentiva più attaccata la ragazza e un po' la invidiava, lei non capiva in che situazione si trovava la sua famiglia, si chiese se qualche volta Rich guardasse la piccola.
Alcune volte voleva tornare indietro a quando era piccola, altre a quando stava insieme a Kevin e altre volte ancora desiderava proprio non essere lì.
Sospirò e diede un bacio sulla fronte di Renae: «Spero che non ti capiti mai una situazione del genere, piccola.» 

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⏰ Last updated: Aug 02, 2016 ⏰

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