Capitolo I

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Era scivolata fuori dalla vasca, aveva lasciato strusciare forte la pelle sul bordo, le gambe per terra. Sputava sul pavimento come un pesce che annaspa, le pinne pesanti. Si era tirata su di forza, appesa alla finestra con le dita bagnate, la sua sceneggiata le aveva tirato i muscoli sulle spalle. Ridevo, con la bocca sotto l'acqua, aspettavo. E lì, in piedi, con le gambe aperte, i pugni sui fianchi, cominciò a recitare. Si fermò, di scatto, con gli occhi spalancati sulla parete, poi si voltò verso di me, lentamente, lo sguardo illuminato.

- Mi perdoni.

Disse, gesticolando con la testa in quello che doveva sembrare un inchino.

Corse via e cadde, più volte, coi talloni che stridevano sulle mattonelle, canticchiava a bassa voce. E io ridevo, con la bocca sotto l'acqua, le labbra chiuse, aspettavo. Tornò di fretta, scivolando coi piedi sul pavimento, un libro aperto in mano. Si tolse i capelli umidi dalla fronte con un gesto plateale, esagerato. Era il teatro della sua follia, quello. Il cesso sul quale era saltata era il suo palcoscenico, la sua libertà di espressione. E così, nuda, in piedi sulla tazza del bagno, con le mani che infradiciavano le pagine, le scurivano sui bordi, leggeva poesie. Col mento alto, gli occhi socchiusi, il collo rigido.

Amanda non aveva freni, una qualche diga dei torrenti che gli scorrevano dentro le vene, un muro che li arginasse. Gli inondavano il cervello, li vomitava così, come le vere inondazioni, quelle che sradicano gli alberi. Amanda distruggeva la piattezza della quotidianità, ne era disgustata, la svuotava di significato, letteralmente. Un giorno aveva tirato via da una pila compatta il dizionario, si era arrampicata sullo scaffale più alto della libreria del padre, aveva fatto cadere il posacenere di vetro, l'aveva spostato col piede sotto il tappeto.

Aveva soffiato via la polvere, osservato in controluce il lucido rosso della copertina. Sfogliava le pagine, fischiettava, camminava a piedi scalzi sul tappeto. Prezioso, costoso, ci aveva sputato sopra.

La osservavo in controluce, affondato nella pelle fredda della poltrona incastrata nell'angolo.

Prese le forbici, poi il nastro adesivo, si toglieva i capelli dalle guance. Aveva tagliato via la parola "quotidianità" e ora, al suo posto, ce n'era un'altra, incollata male, di sbieco: noia.

Prese una sigaretta tra i denti, mi fece cenno di darle l'accendino. Misi la mano in tasca, l'alzai in aria, poi la riportai sul petto, la guardavo. L'accendino stretto nel palmo, il sudore schiacciato al metallo.

Aveva le mani spalancate sulla scrivania di quello studio enorme, elegante, che puzzava di sigaro, di cravatte. Aveva le mani spalancate ai lati di quel dizionario mutilato, una bestemmia dentro quel tempio di ritratti appiccicati ai muri, quel cimitero di segnacarte.

- Lasciami morire un po'.

Disse, con gli occhi sorridenti, ghiacciati.

Alzai l'accendino, di nuovo, stavolta lanciai.

La colpì al petto, al centro della maglia grigia rovinata sulle cuciture. Spalancò le braccia, buttò indietro la testa, la sigaretta ancora tra le labbra.

Si lasciò cadere a terra, coi muscoli irrigiditi dalle convulsioni. E rimase ferma, salva dagli spasmi, crocifissa, la sigaretta intatta. Camminò puntando i gomiti a terra, strisciò fino all'accendino caduto sul parquet.

Allungò il braccio, lo prese.

- Bel tentativo, ma non sono morta.

Il collo teso, la voce tirata.

Accese la sigaretta, sputò il fumo.

- Non ancora.

Continuò.

Allungai i piedi oltre il poggiolo di pelle, sentii la caviglia scrocchiare, accesi una sigaretta.

- Lo dici sempre.

Dissi.

- Dico un sacco di cose.

- Che non sei morta, ancora.

- E' così.

- Non dirlo.

- Dico quello che mi pare.

Soffiai fuori il fumo, in alto.

- Scortese.

- Freddo.

Piegai indietro la testa, i capelli si piegavano dietro al collo, e lei mi diceva che ero freddo, ero freddo da fare schifo.

Anche in questo bagno bollente, con gli specchi annebbiati. Come questa vasca, guardala, toccala, siete uguali. Il libro ormai gocciava dalle sue mani piccole con le vene precise, scolpite.

E lei nuda, piccola, mai precisa.

- Mi fai paura. A volte.

- A volte?

- A volte.

Storce la bocca, quasi ride, non sono mai certo delle sue espressioni, dei suoi gesti casuali, disonesti. Forse non è contenta, soddisfatta, quell' a volte la turba, la schifa, come tutte le cose a metà, grigie, indecise.

Si avvicina alla vasca, mi guarda e guarda altrove, la sua testa è sempre concentrata su qualcosa che è inevitabilmente altrove, e ciò non equivale a dire più profondo, ma solo più nascosto.

Amanda riesce a guardare dentro le cose, dietro, e chissà cosa vede ora nella mia fronte, oltre la pelle, nei pori dilatati dal vapore.

Si inginocchia sulle mattonelle, posa il mento sul bordo della vasca, mi dice che ho le dita dei piedi ghiacciate e sono freddo, sono freddo, ma ancora la cosa più dolce e più calda che abbia mai avuto tra le mani.


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⏰ Last updated: Mar 18, 2016 ⏰

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La cassa toracica delle meduseWhere stories live. Discover now