III

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Un tiepido sole faceva filtrare i propri raggi attraverso la piccola finestra della stanza di Ahria, illuminandole il piccolo viso ovale incorniciato da una chioma fiammante. La luce destò Ahria dal sonno, che lentamente mosse le palpebre per abituarsi al chiarore del nuovo giorno. La pioggia aveva lasciato posto ad una splendida giornata, che abbracciava Miria in lungo e in largo, aquietando le spumeggianti onde del mare.

Prima che Ahria potesse alzarsi dal letto, la sua balia Akira spalancò improvvisamente la porta della sua camera.

-Ahria svegliati!- le ordinò.

La ragazza fece finta di non avere udito e si girò dall'altra parte del letto.

Akira la scosse sulla spalla -oggi non mi inganni. La madre Superiora ti aspetta tra un'ora.-

-Io non ci vado!- urlò Ahria.

-Oh, sì che ci andrai. E ora vestiti e renditi presentabile.- disse Akrira tenendo un tono di voce piatto. -È ora di metterti in riga bambina mia-

Le lacrime quasi inondarono gli occhi di Ahria. Perché la sua balia si ostinava a costringerla ad andare a fare una cosa che detestava? Odiava la Madre Superiora. Era una donna boriosa conscia del suo potere, che provava piacere nello sminuire il prossimo. Quasi sempre si dilettava nell'uso della bacchetta d'acero, con cui era solita picchiare le mani delle sue subordinate quando non svolgevano correttamente un determinato compito. Una fitto reticolo di rughe le ricopriva il viso e le mani, mentre il resto del corpo era invisibile sotto la pesante tunica nera che indossava sempre. Il suo aspetto la rendeva sgradevole, e il suo cipiglio arrogante, severo e perennemente disgustato la rendeva sinceramente detestabile agli altri.

-Io non la incontrerò.- ripetè fermamente Ahria.

-Allora, in un modo o nell'altro, sarà lei ad incontrare te.- e con quest'ultima frase, Akira uscì dalla stanza, richiudendo piano la porta dietro di sé a chiave. Ahria si costrinse a non piangere, aspettando solo il momento in cui sarebbe tornato a casa suo padre.

-Ebbene?- le chiese la Madre superiora alzando un sopracciglio e guardandola di traverso.

-Benvenuta, Madre.- sussurrò Ahria inchinandosi leggermente. Lei e la monaca si trovavano nella Sala Grande del Palazzo, l'una di fronte all'altra. La Madre Superiora vestiva, come al solito, in una toga nera che le copriva tutto il corpo lasciandole visibili solamente mani e viso. Anche il collo era cinto da un colletto alto e nero anch'esso. Lo sguardo della donna non lasciava trapelare alcuna emozione mentre guardava la giovane davanti a lei.

-Ebbene, è da sette giorni che non ti presenti al Tempio- la accusò impassibile.

Ahria non seppe cosa rispondere, ma abassò lo sguardo. La monaca continuò -È bene che non accada più. Tutte le donne della tua famiglia, partendo dalla sposa di Tauron, tua ava, hanno aderito con gioia alla vita monastica. Dopo aver dato alla luce i figli, ne entravano a far parte con gratitudine, eccellendo nel loro compito. Ricorda che noi dobbiamo servire Grender la Dea Feconda, affinchè porti pace e prosperitá alla Landa.- si interruppe un attimo per inumidire le labbra sottili e per far sì che l'effetto delle sue parole colpisse l'animo della giovane.- Per non disonorare la tua famiglia, dovrai seguire ciò che ti è stato imposto dal destino. Non importa se ti piaccia o no, questa è la tua strada. E un giorno me ne sarai grata.-

Ahria teneva la testa china, per non guardare la donna di fronte. Non voleva diventare una monaca, non voleva vivere al Tempio. Voleva andarsene via e non fare più ritorno a Miria. Tutta la sua vita era stata un susseguirsi di regole da seguire, e non ne poteva più. Lei voleva cercare la propria vocazione da sola, voleva scegliere lei il proprio destino. Ma non disse niente. Il coraggio le mancò, la sua bocca si ostinava a rimanere muta e una sola lacrima le scivolò sulla guancia.

-Il tuo silenzio mi indica che non obietterai- un lampo di vittoria attraversò gli occhi della Madre Superiora.

-Ti aspetterò domani  al Tempio al sorgere del sole, ti unirai alle tue consorelle nel rito preparatorio e un giorno, quando ti sposerai e partorirai un figlio, per te sarà giunto il momento di diventare monaca. Non mancherai ad un solo appuntamento, altrimenti ne pagherai le conseguenze. Bada bene a ciò che ti ho detto- e con queste ultime parole, se ne andò dalla Sala, lasciando Ahria da sola a riflettere.

Asciugò in fretta le lacrime, poi corse via, superò le guardie poste alla guardia della Sala Grande e quelle adette alla supervisione del portone d'entrata ovest e continuò a correre verso il centro di Miria, per poi giungere nel suo luogo di riflessione, sul ciglio dello strapiombo. Si arrabbiò con se stessa per non aver reagito alla parole di quella vipera, per non avere alcun coraggio da vendere. Smise di piangere e cominciò a calmarsi. 'Oh padre, dove sei?' pensò tra sé e sé. Verso il tramonto tornò al Palazzo. Quando giunse al Portone, si girò dal lato inverso e notò, all'orizzonte, alcuni puntini neri che si avvicinavano veloci verso la città. Presto i puntini neri si trasformarono in una grande distesa nera e man mano che essa si avvicinava, Ahria cominciò a distinguere alcuni soldati privi di cavalcatura. Il corno di allarme suonò e alcune truppe di Miria cominciarono a raggiungere le mura di cinta, presidiandole. Il battito del suo cuore sembrò rallentare e un nodo allo stomaco le fece presagire il peggio. Le figure andavano via via delineandosi, mostrandole che un esercito avanzava. Dapprima sperò che fosse quello si suo padre ma quando vide che nessuna bandiera rossa era levata verso il cielo, bensì una bandiera nera, capì ciò che stava succedendo. Nel cortile notò Akira correrle incontro trafelata.

-Ahria! Dentro, presto!- la strattonò per la manica ma la ragazza non si mosse. Corse invece nella direzione opposta al palazzo, ma due guardie la bloccarono prontamente, trascinandola verso l'ingresso.

-Lasciatemi andare! Lasciatemi- sbraitava Ahria, cercando di liberarsi dalla morsa delle guardie. Scorse suo zio affacciato dal parapetto del Palazzo, che la fissava impassibile.

-Zio ti prego di loro di lasciarmi!- le lacrime ormai scorrevano a fiotti sul viso.  Sherev non disse nulla, continuando a fissare imperterrito l'orizzonte.

Ahria scalciò ancora finché le guardie la lasciarono, richiamate da un generale dei dintorni, quindi ne aprofittò per correre via, verso il Portone della città. I cittadini fissavano la scena dell'avvicinamento dei soldati neri con orrore e sgomento: alcuni di loro si rifugiarono nelle proprie case barrcanosi all'interno, altri se ne stavano nelle proprie botteghe pronti a dare man forte ai soldati miriani in caso di un attacco e altri ancora se ne stavano impalati nelle strade della città, aspettando. Ad un tratto, i soldati in nero si fermarono a debita distanza dalle mura di Miria, mentre un uomo a cavallo prese ad avvicinarsi al portone. Era tozzo e completamente avvolto in un'armatura fulgida del colore del carbone, e sembrava emanare dalla propria figura un sentore di morte e crudeltà. Dal portone spalancato della città, nonostante fosse gremito da soldati, Ahria poté notare che il cavaliere avversario gettò qualcosa ai piedi delle truppe di Miria, ridendo sguaiatamente. Alcuni dei soldati di vedetta inorridirono e fecero un passo indietro. Non capendone il motivo, Ahria cercò di guardare meglio, e la scena che le si presentò le bloccò ogni muscolo, facendola palesemente impallidire: davanti alla città era stata gettata la testa di un uomo. La testa di Yvien. La testa di suo padre.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 23, 2015 ⏰

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