V. Uvynia

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Elydia riprese a viaggiare. Aveva ampiamente recuperato il tempo perso durante l'infanzia. Si rese presto conto che qualcosa stava crescendo dentro di lei. Come una sferzata del gelido vento dei monti Eien, il ricordo di quanto le aveva detto il suo vecchio Maestro la colpì dritta al cuore: "È proibito per un Mago unirsi con un altro Mago... perché è pericoloso."

Era pericoloso restare in Draalia. Pericoloso avere un figlio con un altro Mago. Doveva avere paura, invece si sentiva più forte. Avrebbe tenuto il bambino. A qualsiasi costo. Ma Jonthar doveva sapere, tanto se ne sarebbe accorto al loro prossimo incontro, a meno che lei non avesse applicato sul proprio corpo una vera illusione.

No. Non gli mentirò.

"Ogni volta che mi teletrasporto fuori da Draal rischio di essere scoperto," disse lui appena la vide.

Elydia strinse le labbra. Non sembrava un buon inizio.

"Sta diventando sempre più pericoloso," continuò.

"Ancora quella parola!" gridò lei.

Jonthar sussultò. "Che ti succede?"

Lei poggiò le mani sull'ombelico e le allargò cingendosi il ventre, poi sollevò con cautela lo sguardo verso di lui.

"Oh..."

Elydia cercò di leggere i suoi occhi, ma non ci riuscì. Andiamo, di' qualcosa!

Ma lui rimase in silenzio, per dei momenti che sembrarono interminabili. "Un tempo sarebbe stata una splendida notizia, ma-"

"Lo so!" lo interruppe lei.

Jonthar si grattò dietro un orecchio. "Cosa farai?"

"Che vuoi dire?"

"Se lo terrai, bisognerà proteggerlo. E prima ancora proteggere te."

"Come sarebbe a dire 'se lo terrai'? Nostro figlio nascerà perché... perché è frutto del nostro amore."

"Ne hai fatto parola con qualcuno?"

"No! Non sono mica una stupida, lo so che è proibito dall'Ordine."

"Bene. Nessuno dovrà saperlo, nessuno! Potrebbero estorcere quest'informazione dalla loro mente." Si guardò attorno come se vedesse il posto per la prima volta. "Questa casa sembra solida. Ma dobbiamo schermarla per intero."

Elydia annuì, persa nell'ammirazione per la forza con cui Jonthar aveva preso in mano la situazione. Non si era opposto al suo bisogno di tenere il bambino; questo voleva dire che l'amava davvero. Mi serviva forse una conferma?

Qualche decimana più tardi, nonostante tutte le protezioni che avevano predisposto, qualcuno entrò nella casa di Honeth nel cuore della notte, mentre lei dormiva un sonno privo di incubi.

La destò il fremito dell'allarme. Significava che qualcuno diverso da lei o da Jonthar aveva manomesso le barriere. Si vestì di corsa e si mosse con passo furtivo. Impugnò un candeliere e lo accese con la Magia.

La porta della camera si spalancò e si parò davanti a lei una donna alta e bionda. La luce delle candele le illuminava la pelle ambrata del volto su cui il naso ricurvo gettava una lunga ombra. Non era attraente, ma neppure brutta.

"Tu devi essere Elydia," disse la sconosciuta con accento draalin.

"Chi sei? E cosa vuoi?" Per Iss! Soltanto una Maga avrebbe potuto forzare le nostre barriere!

La donna si accigliò, per quanto potessero arruffarsi delle sopracciglia così sottili da sembrare dipinte. "Voglio assaporare la tua paura!" sibilò, fissandola con uno sguardo in bilico tra curiosità e odio.

Odio la MagiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora