Tanti cucù a te!

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Ritornavamo a casa con un pezzo di antiquariato che, già sapevo, in tanti ci avrebbero invidiato. Fantasticavo sullo stupore dipinto sulle bocche dei nostri futuri ospiti nel trovarsi di fronte niente meno che un autentico e funzionante orologio a cucù.

E durante tutto il tragitto di ritorno avevo lavorato altrettanto di fantasia nell'immaginarmi in che punto della casa quella cassettina di legno dal tetto rosso avrebbe più figurato. Il camino del salotto pareva essere la scelta più saggia, fulcro della grande camerata, e luogo che fra tutti rappresentava per me, e anche per te, un posto speciale.

Era in quello spazio, decorato in maniera un po' eclettica e confusionaria, che avevi donato la vita a tutti i tuoi incredibili mondi mentali.

Era lì che ogni singolo personaggio pensante e parlante attraverso parole che inventavi per loro aveva per la prima volta provato l'ebbrezza di venire alla luce. La luce di un camino che emanava i suoi bagliori aranciati direttamente alla parete dove sapevo ritrovarti ogni volta; chino su quei tasti un po' consunti dal tempo che battevi frenetico per trascrivere fino all'ultima sillaba il lungo filo invisibile di pensieri geniali.

Grazie a quel piccolo tramonto domestico che colorava le nostre pareti, e di cui perciò andavamo molto fieri, l'orologio a cucù avrebbe persino proiettato la sua ombra proprio sopra la tua testa, e tu ti saresti ritrovato costretto a guardarlo, nell'attesa snervante di farti cogliere di soprassalto dal suo cucù mentre le lancette battevano la mezzanotte.

Avrebbe fatto in modo di tenerti sveglio e vigile fino all'ultimo minuto, o persino destarti nell'evenienza che la tua mente fosse andata appisolandosi durante il lavoro.

Sghignazzavo già al sol pensarti incupito e burbero per quell'interruzione, ma allo stesso tempo grato pur senza volerlo ammettere.

Feci qualche passo indietro di fronte alla parete prescelta mentre con le mani fingevo di calcolare misure senza che ce ne fosse realmente bisogno. L'orologio a cucù era perfetto in tutte le sue proporzioni, e quello spazio che intercorreva tra i due lati opposti della cappa del camino poteva ospitarlo in tutta la sua modesta grandezza.

«Lì... Prenderà il suo posto sul camino», stabilii con certa solennità indicando il punto esatto.

«Ok... Allora diamo il via alla rovina del mio sonno. Prendo chiodo e martello».

Ti trascinasti fuori dal salotto continuando a borbottare frasi che ancora oggi non saprei dire. La sola certezza che avevo era il tuo assecondarmi costante, lasciarmi fare anche se ti dava noia, forse perché era il tuo modo di sdebitarti con me per le notti passate a seguirti nei tuoi pazzi sproloqui da scrittore. O, forse, perché mi amavi veramente tanto.

Tornasti poco dopo munito anche di scaletta, e iniziasti ad armeggiare con quel nuovo decoro di legno e vernice, fissando il chiodo alla parete con fare metodico e sicuro. Badasti con premura che la presa fosse salda e mi chiedesti di controllare che nulla fosse sbilanciato. Poi gli desti la carica e il tempo iniziò a scorrere anche per il cucù.

Alla fine dell'operato indietreggiammo entrambi e, sguardo fisso alla parete, rimanemmo immobili e silenti in una strana contemplazione. Come due genitori davanti alla culla del proprio neonato.

«Pensi che avrà subìto urti durante il trasporto?», chiesi un po' preoccupata.

«Quel cucù è sano come un pesce, credi a me», scherzasti.

«Oh, sano più di quanto lo sia tu, lo è di certo».

Schivai a tempo la tua mano indirizzata al mio sedere e ti ripagai con la stessa moneta, guizzando subito via dalle tue grinfie e da uno sguardo che non ammetteva alcuna pietà.

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⏰ Last updated: Oct 16, 2021 ⏰

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