‧͙⁺˚*・༓☾ Gli Immortali II (Cr...

By Zerosenpaii

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"Una persona una volta mi disse che scrivere rende immortali,e aveva ragione. Ma sai cos'altro rende immortal... More

Prologo.
Parte Prima.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
13.
14.
15.
16.
Parte Seconda.
17.
18.
19.
20.
21.
22.
23.
24.
25.
26.
27.
28.
29.
30.
Parte Terza.
31.
32.
33.
Ultimo.
Epilogo.
Spazio Autrice.
Sequel.
[Extra] Oneshot: Casa (Hermann/Victor)

12.

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By Zerosenpaii

"Berlino-Avignone"

Victor Hugo,all'età di quattordici anni,conosceva bene tutte le fragranze dei profumi da donna,da quelli aspri e speziati a quelli più dolci,quelli più esotici e quelli delicati da portare ogni giorno; non sapeva giocare a pallone,non sapeva giocare con i soldatini nè si interessava alle ragazzine della sua età. Però sapeva bene quali colori si abbinavano fra loro e sapeva eseguire con maestria qualsiasi acconciatura femminile,per capelli lunghi e per capelli corti; le sue mani erano capaci di maneggiare con maestria pennelli e spugnette per il make up; se fosse stato necessario avrebbe camminato sui tacchi alti per ore e ore e non sarebbe mai caduto.
Tuttavia Victor Hugo non conosceva il volto di un padre,il calore di una parola di conforto e l'affetto di una famiglia unita.
Negli appartamenti rovinati che si trovavano sul retro di un centro commerciale,grandi quanto un molocale ma dove solitamente vivevano intere famiglie,Victor vestiva e truccava la sua bella madre e altre tre donne di cui anni dopo non ricordava nemmeno il nome.
La Francia è un paese così bello quando sei abbastanza stupido da ignorare dove vivi e qual è il tuo posto a questo mondo,e il ragazzino aveva scelto di essere stupido per tutta la vita.

<<Tuo figlio è così bello,Sophie..>>
Una signorina dai capelli lunghi e biondi,doveva avere massimo trent'anni,spazzolava i capelli del giovane Victor con cura,guardandolo con occhi pieni di ammirazione.
<<Hai ragione Austìne,ha preso tutto da sua madre>> rispose un'altra donna,un po' più giovane,con dei capelli neri tagliati all'altezza delle orecchie.
<<Sua madre è vecchia,ormai>> Sophie Trèbuchet era impegnata a infilarsi gli orecchini con molta attenzione,il naso a pochi centimetri da un grosso specchio da scrivania,così vicino che la superficie si appannava leggermente.

Victor era davvero bello. A soli quattordici anni aveva già degli zigomi sottili ma marcati,i suoi occhi erano vispi e dalla forma allungata,i capelli castani folti e ribelli che gli ricadevano sul volto in maniera scomposta. Il suo aspetto era vagamente femminile e i suoi modi di fare altrettanto: aveva il fascino del trasandato eppure da tutti i pori trasudava una cura impeccabile. Questo era Victor Hugo.

Aveva vissuto per tutta la vita in quel monoloacale al pianterreno,dietro il supermercato. Raramente lo lasciavano uscire,se lo faceva avevano premura che fosse solo nei dintorni e che nessuno lo vedesse rincasare. Col tempo ci si abitua,col tempo si smette anche di chiedersi perchè si vive con tre donne e non si ha un padre.
<<Victor,la collana>> Austìne richiamò la sua attenzione,anche se sembrava che fosse proprio lei a non avergli staccato gli occhi di dosso nemmeno per un secondo.
C'era qualcosa,in quel ragazzo,che spingeva tutti a tenergli costantemente gli occhi addosso. Che fosse per amarlo o per odiarlo (e di essere odiato non aveva molte occasioni lui che non conosceva molto altro oltre alla propria vita familiare),le persone semplicemente si accorgevano di lui più del dovuto. E il ragazzo non riusciva proprio a caoire se classificarlo come pregio o come difetto.

Allacciò abilmente la collana attorno al collo della bionda e la sistemò,lei sorrise compiaciuta.
<<Stasera facciamo tardi>> la madre del ragazzo sembrò riscuotersi da un torpore immotivato e guardare il figlio.
<<Divertitevi>>
Si limitò a rispondere quello,generalmente di poche parole e dallo sguardo vacuo ma sorridente.
Sembrava fosse fatto di pezza,il che lo rendeva ancora più attraente.
La prima ad alzarsi fu Michelle,la ragazza dai capelli neri. Indossava una maglietta scollata con le bratelle,una gonna corta e sfarzosi gioielli che però erano più finti del sorriso di lei. Austìne aveva optato per un abbigliamento simile,ma la sua maglia aveva uno scollo a barca e non le bratelle. Sua madre,invece,aveva un bellissimo vestito di sottile cotone traspirante che si abbinava ai suoi occhi: era una donna molto bella nonostante la sua età,questo lo doveva ammettere.
Tutte elegantemente truccate da lui in persona,le tre donne lo salutarono con un bacio sulla fronte e uno sulla guancia prima di uscire.
Victor sentì la serratura della porta scattare tre volte.

Ebbbe un po' di tempo per sè stesso e si guardò intorno: il monolocale era completamente a soqquadro come al solito,vestiti giacevano a terra dopo diverse prove di outfit andate male,i trucchi erano sparsi qua e là sui giacigli che chiamavano letti,il suo piccolo spazio era completamente invaso dalle lor scarpe.
Solo la sedia dov sedeva era libera da oggetti di uso femminile,e questo proprio perché aveva fatto buon pensiero di sedervici da quella mattina.
<<Non siamo prostitute>> disse con voce acuta,quasi canzonatoria <<siamo escort>>
Non ci credeva nemmeno lui,ma era stupido quindi doveva crederci per forza.

[...]

Hermann Hesse era sulla soglia dei cinquanta e aveva vent'anni di servizio militare alle spalle.
Era un uomo pragmatico e risoluto: famiglia,dovere,onore. Questo il suo motto e il suo stile di vita.
Non aveva una famiglia,quella originaria era terminata con la morte di sua zia e non si era mai sposato. Foese era un uomo troppo cinico per attrarre qualcosa che non fosse un nemico munito di fucile,pistola o pugnale. E in ogni caso,quelli,era in grado di respingerli.

Sulla fronte aveva già le rughe perchè era costantemente accigliato,i capelli stavano diventando bianchi rapidamente così come i baffi e la barba folta che continuava a ripetersi di dover tagliare.
Viveva in tanti posti diversi e non apparteneva a nessuno,andava dove andava il vento e soprattutto dove andava il plotone; faceva quello che gli si ordinava di fare,tutto qui. Nessuno avrebbe scommesso un soldo sulla possibilità che Hermann Il Solitario,come lo chiamavano,si sarebbe mai affezionato a qualcosa o qualcuno che non sparasse proiettili. E in fondo avevano ragione.

<<Herr Hesse>>
Colui che Hermann sapeva essere un primo ufficiale di una caserma limitrova, in viaggio lì per incontrare un superiore, si rivolse a lui con espressione quasi sprezzante. In realtà tutti lo guardavano con quell'espressione; lo credevano una macchina forse,o magari non credevano possibile che un uomo mancasse così tanto di empatia.
<<Dimmi,Herr Hübert>> gli rispose con lo stesso tono,rimettendo a posto il cucchiaio nella ciotola di plastica dalla quale stava magiando una zuppa dal sapore orribile. Si trovava nella mensa della caserma,seduto da solo a un tavolo mentre tutti gli altri erano pieni da scoppiare. Preferivano stare stipati come gli ebrei nei treni piuttosto che trovarsi vicino a lui.. Ma forse non era la battuta giusta da far dire da un tedesco.
<<Herr Superiore chiede di averti nello squadrone di sgombramento di nuovo,dicono che sei stato uno dei migliori l'ultima volta>>
Hermann si massaggiò le tempie,cercando di frenare il mal di testa crescente.
<<Herr Superiore è sicuro?>> si accarezzò la barba distrattamente <<l'ultima volta è stato cinque anni fa,e da allora sono stato ricoverato due volte>>

Forse era anche questo il motivo per cui nessuno voleva correre il rischio di avvicinarsi troppo: Hermann era stato ricoverato due volte per esaurimenti nervosi dovuti a disturbo post traumatico dopo la fine della guerra civile.  Insomma,credevano che fosse pazzo.
Il primo ufficile,Hübert,sembrò guardarlo con pietà.
<<Penso che Herr Superiore abbia valutato bene la sua decisione prima di mandarti a chiamare>>
Il quarantenne sospirò.
<<E sia. Dove dovremmo sgombrare?>>
Si aspettava un nome di città limitrofe.
<<Francia. Ci è arrivata una soffiata per un ritrovo nelle periferie di Avignone>>
Poteva contestare? Poteva far notare che il suo primo incarico dopo le dimissioni poteva per lo meno essere nel suo stesso paese?
<<Quando si parte?>>
Adesso sul volto del primo ufficiale c'era un velo di soddisfazione,un leggero ghigno.
<<Tra due giorni>>

[...]

Quattro giorni dopo

Quasi ironicamente,quella sera le stelle brillavano più splendenti nel cielo di Avignone. E fu proprio la bellezza di quelle stelle,e l'aria fresca che nel mezzo dell'estate era così invitante,ad attirare Sophie,Austìne e Michelle fuori  dal piccolo e trasandato monolocale nel retro del supermercato,dopo aver raccomandato (bacio sulla fronte e sulla guancia incluso) a Victor di non uscire,dicendogli che avrebbero lasciato la porta aperta per permettergli di vedere le stelle.
E Victor le vide,le stelle erano davvero bellissime. Le stelle macchiate dal fumo delle sigarette delle tre Grazie.

Così belle che ci si poteva perdere dentro,e quasi non percepire affatto il rumore degli spari nel silenzio della notte.

[...]

Uno dei lavori dei militari,lavoro troppo complicato per la polizia locale ma troppo sporco per i piani alti,veniva affidato ai militari in riabilitazione: lo sgombramento. Che fossero abusivi,immigrati o puttane,loro li prendevano e li portavano alle autorità competenti.
Ma Hermann capì troppo tardi perchè avevano scelto uno come lui per l'operazione di quel giorno; non era un'operazione normale,probabilmente nemmeno era programmata o scritta su alcun registro.
Quel giorno,grazie alla soffiata che avevano avuto,avrebbero sgombrato alcuni appartamenti abitati abusivamente da prostitute. Erano numeri di troppo,peccatori alla seconda. Quando uno è un peccatore del genere,l'unica soluzione è "far ballare i pazzi".
Si prendevano tutti i monchi e i malati mentali e si portavano a far strage di criminali; l'operazione rimaneva sepolta insieme ai cadaveri degli emarginati,se anche avessere parlato nessuno gli avrebbe creduto.

Il primo appartamento che sgombrarono,sul lato ovest del supermercato,conteneva due prostitute e un uomo,probabilmente un cliente; li colsero in flagranza e gli spararono a vista,il sangue cremisi tinse le pareti e le lenzuola come un quadro di Monet.
Hermann era paralizzato. Le mani tremanti,il respiro affannoso,stava arrivando un altro attacco di panico.
Fra le grida femminili e i pianti di bambini in fasce,i soldati avevano deciso fra le risate dei superiori di tirare a dadi per decidere quale porta aprire dopo.

Ma prima che potessero tirare i dadi,tutti guardarono la stessa porta. Una sola,aperta. E furono attrati come da una calamita,come se qualcuno li stesse chiamando da lì dentro.
Il primo ufficile sembrava confuso,ma fece segno ad Hermann e due sue compagni di andare,asserendo che lo avrebbero preso le altre per risparimare tempo.
Lui avrebbe preferito morire,ma fu spinto e strattonato dagli altri due,uno con espressione impassibile e l'altro con un sorriso psicopatico sul volto.

Avevamo ragione,dentro non c'era nessuno. Era un appartamento disordinato,tutti i mobili ricoperti di vestiti,trucchi e scarpe. Delle prostitute non c'era traccia.
<<Non c'è nessuno>> balbettò Hermann <<saranno scappate>>
<<Il vecchio gay ha ragione>> disse quello dall'aria assente.
<<Torniamo dagli altri e diciamo->>
Si bloccò improvvisamente.
Come richiamato dal canto di una sirena,il suo sguardo si posò su un piccolo armadio chiuso sul fondo della stanza.
<<Herr Bush?>> lo richiamò Hermann,impaziente di uscire.
Sembrava incantato,e a passi lenti raggiunse il mobile di legno,poggiando le mani sulle ante.
Ci fu un rumoroso cigolio e un piccolo sussulto: dentro l'armadio stava un ragazzino dai corti capelli castani arruffati,tutto rannicchiato.

<<Ma guarda..>> Herr Bush parló con tono infastidito <<sei il figlio delle puttane? O sei tu la puttana?>>
Imbraccò velocemente il fucile e uno sparo risuonò per tutto l'abitacolo.
L'altro soldato urlò mentre fiumi di sangue schizzavano come una fontanella d'acqua dal collo del suo compagno.
Hermann si girò per capire cosa fosse successo,ma ci mise un per realizzare che aveva alzato la sua pistola carica e gli aveva sparato.
Mentre il corpo si accasciava a terra e il sangue macchiava il tappeto,il compagno ancora vivo non tentó nemmeno l'approccio,si girò e scappò fuori urlando al disertore; ma Hermann aveva ritrovato la sua lucidità. Non balbettava,non tremava,l'uomo-macchina che era quel giorno gli salvò la vita,perché fu più veloce a sparare di quanto il suo confratello non lo fosse a correre.

In tutto questo il ragazzino lo fissava con occhi di bambola,il tedesco si girò a guardarlo e dovette ammettere che ci mise molto a riscuotersi da quella visione.
<<Muoviti,ce ne andiamo>> disse risoluto e gli prese la mano <<la mia abilità,Narciso e Boccadoro,mi permette di rendere invisibile me e qualsiasi cosa io tocchi. Possiamo andarcene!>>
Lui non oppose resistenza,ma il maggiore dovette bloccarsi a metà strada: la sua abilità non funzionava.
"Perchè non diventa invisibile?"
Fu preso dal panico.
<<Credo sia a causa della mia abilità... Si chiama "I miserabili".. Attira l'attenzione delle persone su di me,ma non riesco a controllarla>> sorrise il ragazzino amaramente.
In pratica,le loro abilità si annullavano a vicenda.

Prima che il tedesco potesse pensare a un piano di riserva,sentì il classico odore di una mina che sta per esplodere.
<<A TERRA!>> gridò,il resto fu un ricordo vago.

[...]

Due giorni dopo

L'esplosione della mina aveva fatto crollare il supermercato,causato chissà quanti morti e coperto l'esistenza e le entrate di tutti gli appartamenti abusivi.
Non era servito a niente cercare di chiamare aiuto o di spostare le macerie.
Per due giorni avevano mangiato quello che c'era in casa e dormito con l'odore del sangue dei confratelli di Hermann che penetrava nelle loro menti.
<<Come ti chiami?>> aveva chiesto Hermann,una volta capito che fossero intrappolati,in un francese appena masticato.
<<Victor. Victor Hugo>>
Il tedesco dovette constatare che era proprio bello,con quel lineamenti delicati e quegli occhi vacui. Il proiettile che aveva trapassato il soldato lo aveva colpito al braccio ed era rimasto dentro,ma lui non aveva emesso alcun segno di dolore.
<<Io sono Hermann,piacere di conoscerti>>
E per due giorni,nonostante la situazione,si era sentito in pace,tranquillo. La presenza di quel ragazzino dagli occhi di bambola lo calmava,non avrebbe saputo dire come mai. Aveva anche sorriso un paio di volte,e il soldato gli aveva sorriso in risposta. Forse perché stavano per morire,si disse tra sè e sè,forse perchè adesso condividevano lo stesso destino.

Lo guardò per due giorni,osservando ogni suo movimento: i suoi occhi che si fissavano nel vuoto in qualche occasione,la sua voce roca ma delicata,acuta,che pronunciava parole nella lingua dell'amote che lui non capiva,poi cercava di spiegargli con gesti rudimentali e infine rideva con sconforto. Lo guardava anche di notte,quando si addormentava con la testa appoggiata alla sua spalla perché  era abituato al contatto fisico e altrimenti non riusciva a dormire; ed Hermann che il contatto fisico lo aveva sempre disprezzato doveva trattenersi dal toccargli la guancia per controllare se fosse di porcellana sul serio.

Gli erano bastati due giorni per affezionarsi a quel ragazzo come se fosse il figlio mai avuto.
Il pensiero di vederlo morire,quel ragazzino dagli occhi di bambola che parlava una lingua sconosciuta,gli spezzò il cuore.

[...]

La luce dell'alba batteva sulle palpebre di Victor con violenza.
Non importava quanto si chiudesse la porta,rimaneva sempre quello spiraglio che ogni mattina lasciava entrare un raggio di sole maledetto che lo svegliava...
Quando realizzò sgranò gli occhi.
<<Monsieur Hesse!>>
Lo scosse violentemente e lui aprì debolmente gli occhi per la sete.
Davanti a lui l'immagine sfocata della porta libera dalle macerie faceva da sfondo ai volti di tre persone: un uomo biondo di circa diciott'anni e due ragazze,una dai capelli castani e l'altra dai capelli verde cenere. Tutte e due avevano lo sguardo curioso.

<<Piacere di conoscervi>> sorrise cordialmente il biondo <<il mio nome è James Joyce>>

<<Benvenuti nella D.A.N.T.E>>

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