The Shadow Of The Creatures

Von _aMsel

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THE SHADOW OF THE CREATURES
TERELL -il piano
OTIS -il piano

DALILA

257 89 47
Von _aMsel

<<Mamma ancora una per favore!>> la sua dolce voce rieccheggiava nelle mie orecchie: Rose voleva ascoltare altre storie; ma già dalla precedente le mie palpebre si erano fatte più pesanti e a stento riuscivo a tenere gli occhi aperti, sentivo che se fossi rimasta un altro pò con mia figlia mi sarei addormentata sopra il suo lettino.

<<No Rose ti ho gia detto che la mamma è stanca e ha bisogno di dormire, ti prometto che continuiamo domani>> << Ma mamma me ne hai raccontate solamente tre! Di solito sono almeno cinque!>>
Dopo qualche minuto di suppliche capii che se non avessi ceduto molto probabilmente sarei stata costretta ad ascoltarla per tutta la notte. <<Va bene dai, ma dopo questa basta, domani mi aspetta una giornata molto intensa, e anche la mamma ha bisogno di riposare okay?>> Rose annuì.

Feci un piccolo cenno affettuoso indicando l'angolo superiore del letto, a quel punto si spostò tra le coperte color panna verso il muro lasciandomi lo spazio necessario per potermi accomodare insieme a lei. Successivamente si appoggiò al cuscino per stare più comoda.
<<Allora piccola, che cose vuoi ascoltare?>>
<<Puoi per favore raccontarmi quella della bambina magica?>>
<<Tesoro ma quella storia lì te la raccontò ogni sera, sicura di non voler cambiare un pò ogni tanto?>>
<<Dai mamma per favore a me piace...>>

Diedi un occhiata alla finestra, le luci delle case vicine erano ancora accese, e i lampioni proiettavano sulla strada rovinata e sporca di vomito la loro ombra: c'era ancora tempo prima del coprifuoco.

Noi sfortunatamente eravamo riusciti a trovare solamente un piccolo appartamento fuori dal confine del regno Nero, e di conseguenza dovevamo stare alle rigorose regole della Regina Bianca: Erzesebet.

Appena ci fummo trasferiti ricordo che subito dopo aver vargato la soglia della nuova casa avevamo trovato, sopra il tavolo che si affacciava alla finestra, scritto sopra un un foglio rovinato e probabilmente anche molto vecchio, tutto "il regolamento della corte".

Io e mio marito appena finito entrambi di leggere quelle strane regole ci siamo lanciati a vicenda uno sguardo divertito. Sapevamo che vivere in quella parte del regno era maggiormente pericoloso, che bisognava tenere gli occhi aperti e che sicuramente Rose non avrebbe potuto vagare per le strade da sola, questo lo davamo già per scontato, ma tutte quelle raccomandazioni ci sembravano esagerate.

Andando avanti con il tempo capimmo che sfortunatamente nulla di quello che c'era scritto era falso.

<<Va bene, da dove comincio, allora...>>
<<Tanti anni fa, in una campagna lontana, dove l'aria era fresca ed allegra, dove gli uccellini volavano felici su e giù per le nuvole, dove i fiori dipinti di colori come il giallo, l' azzurro e il rosa, cantavano spensierati all'arrivo del sole, c'erano piccole capanne posizionate una di fianco all'altra. Ed è proprio in una di queste che abitavano due contadini buoni e gentili che si amavano tanto...>>

<<Come te e papà?>>
<<Si esattamente tesoro, come me e papà>> alla fine della risposta mi scappò una piccola risata, mi rendeva sempre felice la sua curiosità.
<<Pensa che si amavano così tanto che ogni giorno, la sera, lui le portava un mazzo di fiori che raccoglieva il pomeriggio nei campi>>
<<Proprio come papà allora!>>

<<Esatto tesoro, proprio come papà.... I giorni passavano, insieme a loro le settimane, e i due contadini si amavano ogni minuto che passava sempre di più, ma una mattina, mentre il sole batteva forte sulle chiome degli alberi e le cicale intonavano una bellissima sinfonia estiva, i due amanti, durante una rilassante passeggiata nel bosco alla ricerca di buone erbe per fare la zuppa che avrebbero potuto successivamente cucinare per cena, incontrarono un piccolo cerbiattino dagli occhi color cielo. Che appena li notò scappò via dallo spavento.>> << E perchè era così importante il cerbiatto?>>

<<Oh tesoro mio, non fù il cerbiatto a cambiargli la vita, ma quello che stava accadendo dentro la pancia di lei. Infatti nelle settimane successive i suo grembo iniziò a cresce ed a gonfiarsi, finché esattamente 9 mesi dopo, i due contadini diventarono anche genitori.
La bambina aveva un bellissimo sorriso, un piccolissimo nasino a punta, due belissimi pomelli rossi che le incorniciavano il viso, e soprattutto due meravigliosi occhi celesti come il cielo. Quando per la prima volta gli sorrise, a quel punto, decisero di chiamarla Fawn, proprio come il piccolo cerbiatto incontrato quel pomeriggio sullo stretto sentiero che si addentrava nella foresta>>.

<<La vita dei giorni successivi fù allegra e la bambina non smetteva mai di regalare sorrisi e risate e tutti quelli che le donavano un briciolo di allegria. Il villaggio non era molto grande, di conseguenza le notizie viaggiavano per le strade come fossero dei piccoli siluri; fù così che circa una settimana dopo la nascita di Fawn tutti gli abitanti del piccolo paese ormai si erano già presentati alla porta dei contadini per conoscere e presentarsi alla giovane nuova arrivata. Una delle prime famiglie abitava qualche casa più il là rispetto alla loro, venivano dalla città, ma si erano trasferiti lì da tempo. Molto probabilmente provenivano da un regno diverso da quello degli altri abitanti del villaggio perché riportavano i tipici tratti fisici dei fauni: corna che si arrotolano su se stesse, capelli nero corvino, o comunque scuri, molto ricci e crespi, e la pelle color mulatto, che ogni estate diventava scura quasi come la corteccia nera dei pini. Avevano una bambina piccola, non superava i 3 anni di età, che non vedeva l'ora di fare amicizia con la nuova "figlia dei vicini". I due contadini speravano che Fawn riuscisse a trovare subito qualcuno con cui passare i pomeriggi, qualcuno con cui passeggiare nel bosco a raccogliere funghi e fiori, qualcuno con cui giocare con le bambole, leggere e disegnare, e i fauni volevano lo stesso per la loro bambina.>>

<<Insomma alla piccola Fawn aspettava un futuro felice e pieno di amore da parte dei genitori e di tutte le persone che avrebbe incontrato sul suo cammino. Gli anni passarono, e Fawn diventò grande, ma una notte tranquilla di primavera, esattamente durante il settimo compleanno della bambina, le campane del villaggio iniziarono a suonare a suonare e a suonare ancora, non smettevano più. I due contadini andarono subito a tranquillizzare la loro piccolina, che nel frattempo si era messa a piangere e a tremare come un'ape in cerca del nettare per la paura. Poi decisero di uscire e chiedere in giro che cosa stesse accadendo: il villaggio era stato attaccato dai draghi.
Le fiamme bruciavano e distruggievano la piazza, gli abitanti urlavano tutti in cerca di aiuto, pregavano che qualche Dio in ascolto che avrebbe potuto aiutarli, ma nulla di tutto ciò accadde.
La mattina successiva non era rimasto più nulla, e dei contadini non se ne ebbe più traccia. Ormai l'unica cosa rimasta erano le macerie delle casse e delle capanne che non avrebbero più potuto ascoltare le risate, le battute, i pianti degli abitanti che giacevano a terra, ma che ora invece avrebbero raccontato ai visitatori più curiosi la storia della loro distruzione.
Ma ecco che ad un certo punto tra i mattoni bruciati si riesce a sentire un docile pianto di terrore: Fawn era riuscita a sopravvivere. I giorni passarono in fretta e la bambina ben presto capì che non avrebbe mai più potuto abbracciare sua mamma, non avrebbe più potuto ascoltare le battute squallide di suo padre e non sarebbe più potuta andare a passeggiare per i boschi con la sua amica.

Fawn non voleva uscire, sin da quando era piccola e ancora in fascie, le fiamme e i fuochi le avevano sempre fatto uno strano effetto. Come una cicatrice sulla pelle, il ricordo della madre che mentre cucinava i cavoli raccolti nell'orto dietro il cortile, si bruciò provocando una piccola irritazione, non se ne voleva andare. E così alla paura di perdere una delle persone più importanti della sua vita si aggiunse la paura del fuoco. Decise quindi di stare a casa e vivere da sola come le principesse delle storie che le raccontava il suo papà prima di addormentarsi, in fin dei conti non le sembrava poi così difficile. Decise di costruirsi un piccolo fortino in salotto con i cuscini del divano di legno che si trovava davanti al caminetto di cui la fiamma ormai si stava spegnendo.
Passò l'intera giornata succesiva cercando di sfuggire alla nostalgia della sua vita passata giocando ai "pirati", indossando il cappello in cartone che teneva sotto il letto, e la coperta che utilizzava come mantello che invece si trovava sopra il materasso, correndo per tutta la casa, scivolando, urlando, e piangendo: i genitori le mancavano molto.
I giorni passarono e Fawn, dopo aver giocato sola per intere giornate, decise che oramai era arrivato il momento di varcare la soglia della porta e, anche se con paura, si avvicinò con la mano tremante alla maniglia. Successivamente con tutta la forza che aveva in corpo la girò.
Davanti a lei il paese che conosceva era scomparso. Macerie distese per le strade, animali con corna lunghe si cibavano dei pochi ortaggi rimasti negli orti delle capanne, Fawn sentì le lacrime solcarle le guance. Si mise a camminare lungo quelle che un tempo conosceva come strade che portavano alla casa dei suoi amici. Ad un certo punto le sue orecchie percepirono un leggero ronzio provenire dalla foresta dietro i ruderi del villaggio. Si giro di scatto, una strana luce brulicava nei prati e nei resti delle capanne insieme alle creature incerca di mangime. Si avvicinò allo strano animale luminoso: lunghe corna luccicanti, occhi scuri e affusolati, pelliccia chiara che risplendeva nel buio della notte; era un cervo.

Accarezzò la creatura e a quel punto sentì qualcosa dentro di lei cambiare, passarono solamente due secondi e cominciò a sentire strani bisbiglii provenire da tutta la radura.

Decise di rinvenire al villaggio sperando che quegli strani rumori si calmassero, ma non fù così, anzi nella sua testa i bisbiglì iniziarono a farsi più chiari. Dentro di se sapeva che i fragori che percepiva non si trattavano di vere ed effettive parole, ma in qualche strano modo, sconosciuto a Fawn, lei era in grado di tradurre quei suoni in sensazioni.

In poco tempo capì che le emozioni che sentiva dentro di se, non erano le sue, erano degli animali vagabondi della foresta, che in quel momento si trovavano insieme a lei nel villaggio.
Con il tempo perfezionò questo suo nuovo "potere", riuscì persino a comunicare e a farsi capire dagli animali che incontrava. Aveva trovato finalmente un nuovo piccolo rifugiò dove potersi nascondere dai pericoli del mondo, insieme ai suoi nuovi amici della foresta, che con il tempo l'avevano accolta nel bosco come fosse un piccolo tesoro da proteggere e da tenere al sicuro. Insieme a loro Fawn sapeva che avrebbe potuto essere felice senza preoccuparsi delle insidie esterne.

Gli anni passarono e Fawn sembrava non accorgersene, era rimasta la stessa bambina di sette anni con la paura del fuoco che piangeva per la perdita dei genitori. La sua vita che come un treno, seguiva i binari del tempo, sembrava non cambiare. E in fatti fu così per anni fino ad oggi, dove la sua storia viene raccontata ai bambini curiosi come te prima di andare a dormire. Buona notte tesoro>>.

I suoi occhi erano dolcemente socchiusi, probabilmente si era addormentata già da qualche tempo. Mi alzai dal letto intenzionata a dirigermi verso la lampadina poggiata al vecchio comodino.

<<Mamma secondo te Fawn viaggia ancora per i boschi?>>
<<Non lo so tesoro. Non lo so>>. Spensi la luce.

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