CRUEL

Von sanguinofavole

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Arya Donovan è cresciuta con i fratelli Mackenzie. Loro le hanno insegnato a stare nel mondo, a camminare a t... Mehr

info (+ Cast AI)
𝐂𝐚𝐬𝐭
01-I'm paralyzed
02-with your feet on the air and your head on the ground
03- Good girls go to heaven, bad girls go everywhere
04-we're building this up... to burn it down
05- The hottest guy I've ever hated
06-Love the way you hate me
07- Just another pit stop
08-I'm lost and it kills me inside
10-The girl with the broken smile
11-You can take my flesh if you want girl
12- I'll never let anything bad happen to you again
13- I'll be fine without you
14- Crudelia De Mon
15- Can't be your Superman (I)
16-Can't be your Superman (II)
17- Stop crying your heart out
18-Hell is empty...
19-...'Cause all Demons are at this party!
20-Loving you is a losing game
21- Half a Man
22-Look after you
23- darling, I fall to pieces
24- Something 'bout you makes me feel...
25- Like a Dangerous Woman
26-Fire on Fire
27- running from the daylight
28-But now the day bleeds into nighfalls
29-Dear Lord
30-When I get to Heaven
31-Please, let me bring my man
32-Burn for you
33- I choose you, to fill the void.
34. I'm about to take you back to church
35. I said I didn't feel nothing
36. There's another side that you don't know
37. I can hear the sound of breaking down...
38. You found me, lost and insecure
39.✨A Christmas Trouble✨
40. I'm never gonna dance again, the way I danced with you
41.1 Bucky Barnes
41.2 End of Beginning
42. Too sweet for me.
𝓒𝓪𝓻𝓽𝓪𝓬𝓮𝓸❤️
RIMOZIONE CAPITOLI

09- Bad boy, Good lips

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Von sanguinofavole

Mi siete mancate.
🦋🦋

Capitolo Nove:

Cassie

Il soffitto bianco sembra cadermi addosso.

Mi sento rintronata. Giro la testa, prima a destra, poi a sinistra, e sento un dolore al collo come se avessi la cervicale: appena compiuti 18 anni e già ho i primi acciacchi di vecchiaia, andiamo bene.

Mi sollevo un po' e mi stropiccio gli occhi.

Mi trovo nel mio nuovo e confortevole letto, dentro l'enorme camera degli ospiti di Roman, che profuma di disinfettante al limone.

La testa mi sta per esplodere come un'autocisterna in procinto di prendere fuoco.

Ho un black out.

Dopo un certo momento, non mi ricordo più nulla di ieri sera.

Cos'è successo ieri alla festa al Lion's, dopo che mi sono confrontata con l'oscurità negli occhi di Clayton?

Di sicuro, ho bevuto come una spugna, e questo spiega la nausea e il sudore, ma come diavolo ci sono tornata a casa, e dov'era finita Bea?

Afferro il cellulare, posizionato in bilico sul comodino e lo sblocco, per cercare di ricostruire qualcosa e colmare i miei vuoti di memoria.

Apro il gruppo Whatsapp delle mie amiche.

Bea ha cambiato cinque minuti fa l'immagine del gruppo e ci ha messo una papera.

Bea:  Vi piace la nostra nuova immagine del gruppo?
È la paperella di Cassie, me l'ha inviata Clayton.

Tu: E hai perfino il coraggio
di definirti mia amica?

Arya: 😂😂😂😂

Arya: Com'è andata ieri??

Bea: Quel coglione di Tyler mi ha rinchiusa
nel seminterrato del suo bar.

Arya: O mio dio.

Tu: Davvero?
Ti ha rinchiusa a chiave?😧

Bea: Si a chiave, certo.
Lo odio.

Arya: vi avevo avvertite sul Lion's

Tu: Anch'io.

Bea: scusatemi se sono l'unica normale
qui dentro che vuole andare alle feste.

Tu: Ma quindi poi com'è finita
la storia del seminterrato?

Bea: sono arrivati  Ryan,
quello inutile,
il biondo malvagio
e mi hanno lasciata andare.

Tu: Questa cosa che possono
fare come gli pare è assurda.
Non dovrebbero avere
le chiavi di un seminterrato.

Arya: Sì, assurdo che dentro al loro locale
hanno le chiavi del loro seminterrato. 🤓

Bea: Ma, che voi sappiate,
conigli morti sta per
conigli morti di figa🐇?

Arya: Meglio riderci su.

Tu: Bea...per caso
dopo che ti hanno liberata
io e te ci siamo parlate?

Bea: Mmm...
No, quando sono uscita dal
seminterrato credevo ti fossi fatta venire a
prendere da Roman...
Io ero insieme a Lucas.

Arya: Lucas , quello della nostra scuola?

Tu: cosa ci facevi con Lucas?

Bea: Chiacchiere noiose
sul riscaldamento globale.
Terra chiama Cassie:
cosa fanno una ragazza e un ragazzo
a una festa insieme?😶

Tu: spero non scopare.

Bea: sei facilmente impressionabile.

Tu: Non è questo.
Per me, puoi pure andarci a letto.
Cioè, fai come vuoi.
Ma te lo ricordi che lui e Tyler sono amici?

Bea: Si, e allora?

Tu: No, era per chiedere.

Arya: Ci sei andata a letto?😲

Bea: Ovvio che no ragazze💀

Bea: Comunque.
Cassie. Perché mi hai chiesto
se ci siamo viste?
Che hai combinato?

Tu: Sto cercando di capirlo anch'io.
Non mi ricordo niente di
cos'è successo ieri.
Non mi ricordo
come sono tornata a casa.
Ho bevuto troppo.

Bea: Sicuro hai chiamato il tuo tassista,
Roman Lancaster, e ti sei fatta venire a
prendere.

Tu: Non credo.
Non mi ricordo.

Arya: Chi altro potrebbe averti accompagnato,
Cassie?

Bea: Cazzo.
Se non hai chiamato Roman,
allora...
Clayton??

Tu: impossibile.

Bea: perché??

Tu: troppo difficile da spiegare.
Ma specialmente ieri sera,
nella parte di serata che mi ricordo,
siamo arrivati in un punto in cui
se potesse appendere la mia testa
nel suo bar lo farebbe.

Bea: Oddio, perché?

Tu: Mi ha beccata ad ascoltare mentre
i Mackenzie complottavano.
Abbiamo più o meno litigato.
E alla fine gli ho detto
che il tizio che hanno legato nel camion
è un Lombardo.
Non so come faccio a essere ancora
viva per raccontarlo.

Arya: Bea viene rinchiusa in un seminterrato.
Cassie che spiffera segreti che potrebbero
costarle la vita
al criminale peggiore del quartiere.
Bene.
Vedo che avete preso alla lettera
la regola lontane dai Mackenzie.

Bea: Se non è stato Roman...
ti ha riportata Clayton a casa.
Sono piuttosto sicura, perché dopo una certa ora
non l'ho più visto.
Chiediglielo.
Hai il suo numero, vero?

Tu: sì.

Bea: Che stronza! Ieri sera mi avevi detto
di averlo cancellato!

Tu:🤫

Arya: vi ricordo che lontane dai Mackenzie
significa
anche non scrivergli.
Cassie, lascia stare,
sei a casa di Roman ormai.

Bea: Cassie.
Posso dirti una cosa
per quel che riguarda Clayton?

Tu: se proprio devi...

Bea: Ricordati che sei
la mia piccola stella cadente.
Brilli anche quando cadi.
A testa alta, anche quando ti cedono le gambe.
Capito?

Tu: Grazie Bea, ti amo.❤️

Bea: anch'io piccola papera❤️

Arya: Ma che carine che siete,
mi fate piangere😭
Ora purtroppo devo andare.
Ci sentiamo più tardi.

Bea: Anch'io devo andare!!!
A più tardi!

Tu: 👋🏻👋🏻

Esco dalla conversazione con le mie amiche, con l'animo leggermente risollevato, ma è una sensazione che dura per poco... I miei occhi vanno alla conversazione con ReservedGuy13.

Non ho cancellato le nostre chat, e al solo ricordo di tutto ciò che ci siamo detti in questi ultimi due mesi mi si stritola lo stomaco.

Scorro compulsivamente le conversazioni lunghissime che abbiamo avuto, e ne prendo una che risale a due settimane fa.

C'era una cosa che mi disse Clayton, dopo che gli parlai dei miei vuoti, che ora acquisisce molto senso.

ReservedGuy13: Capisco ciò che dici, e come ti senti,
diavoletta.
So cosa vuol dire non capire più chi sei.
Anche per me è la stessa cosa.
Sono rimasto al buio per così tanto tempo,
da dimenticarmi che effetto fa vivere alla luce del sole.
Quando sei abituato a lottare, quando
lottare per te diventa
la normalità...delle volte lotti
anche se non c'è bisogno.
Non credo che dentro di me ci
sia rimasto ancora qualcosa.
Ci sono dei giorni in cui non mi sento
nemmeno una persona.
La parte più difficile è uccidere i mostri senza uccidere
te stesso.

Tu: No, ti prego, non è vero.
Non pensarlo neanche.
Dentro di te c'è tanto,
anzi tantissimo,
C'è così tanto che tu neanche lo sai.
Non pensare di essere irrecuperabile.

ReservedGuy13: Invece lo sono, Cenerentola.

Esco dalla conversazione.

Posiziono il telefono a faccia in giù sul letto.

Guardo fuori dalla finestra. È una bella giornata di sole, la luce è quasi accecante.

Ieri sera mi sono comportata da stupida.

Dire a Clayton di James Lombardo è stato stupido: sarei stata già abbastanza compromessa, avrei dovuto farmi gli affari miei.

Alle volte, mi sento una persona inutile.

Non ho molti pregi, e sono capace solo a farmi paranoie.

Sono brava a studiare, e questa è l'unica cosa che mia madre mi abbia mai riconosciuto, ma non sono brillante quanto Bea.

Lei studia la metà di me per ottenere dei risultati che non potrò mai raggiungere.

Ho passato una vita intera a plasmarmi come volevano gli altri. A nessuno è mai andato bene come sono, se non forse alle mie amiche.

Le mie stramberie non sono mai piaciute a nessuno, tutti le hanno sempre evitate. Mia madre mi ha sempre spronato a socializzare, sostenendo che il mio ritiro, il mio voler stare sempre per i fatti miei, la mia indole solitaria, fosse una stranezza.

Alle volte mi chiedo se esito davvero, se tutto questo non è una specie di esperimento alieno a cui sono sottoposta per vedere quanto resisto in queste condizioni, però poi questi ragionamenti mi ricordano quelli di mia madre allora smetto all'istante.

Mia madre: potrei dare la colpa a lei se sono una disadattata, ma sarebbe una soluzione fin troppo comoda per giustificare i casini della mia vita.

No, la verità è che sono io il problema.

Alcune volte fantastico di sparire. Mi chiedo come sarebbe il mondo se solo io non ci fossi, e poi mi rispondo: sarebbe uguale.

Se vivo o se muoio, che differenza fa?

È questa consapevolezza a distruggermi, a farmi sentire sbagliata e fuori posto in ogni istante.

La mia mente è il luogo più spaventoso in cui io abbia mai messo piede.

Ci sono dei momenti in cui penso di essere pazza, sol perché vedo le cose in maniera diversa dagli altri, ma la vita è troppo complessa per poterla ridurre a qualche etichetta.

È più facile incasellare tutto.

E io che non appartengo a nessuna categoria, semplicemente, la società mi ha tagliato fuori.

È come se il mondo mi dicesse che posso essere chiunque, tranne che me stessa.

Scendo dal letto, abbastanza intorpidita e infilo i piedi nelle ciabatte di spugna di cui mi ha equipaggiato la domestica, Miss Fridge, una donna con la crocchia in testa che ogni giorni alle cinque spaccate prepara il tè, in memoria delle sue origini inglesi.

Metto il cellulare nella tasca dei pantaloni del pigiama.

Questa casa è così grande, che a volte ho paura di perdermi.

Scendo le scale di vetro, con il corrimano in legno.

Attraverso l'ampio salone, e vedo Roman di spalle in cucina, intento a contemplare il muro vuoto di fronte a sé, mentre beve del caffè. Il silenzio è surreale, sembra di essere in un altro pianeta.

«Buongiorno», gracchio, un po' intimidita.

È la prima vera occasione in cui ci ritroviamo insieme a casa sua, a parlare, e io sono un rottame. Bene, Cassie.

«È andata bene la serata?», dice alzandosi.

«Più o meno.»

I suoi occhi sono di un celeste molto freddo: come una fitta nebbia o l'acqua che lambisce una spiaggia piena di ciottoli in una giornata nuvolosa.

«Ti ho preparato del caffè, se ti va.», mi porge una tazza di porcellana e mi siedo al tavolo con lui. C'è anche una confezione per le brioche e una brocca con il succo d'arancia.

«Sei gentile.», dico.

«Scusami se sono stato poco a casa, in questi giorni, ma il lavoro in azienda è davvero ingestibile.»

«Non ci provare a scusarti, ti devo un enorme favore per ciò che stai facendo per me.», le mie parole risuonano nel vuoto della casa e mi assale una sensazione di solitudine.

Sorride. «Non mi devi niente.»

«Come stai? Per la storia di tuo padre, intendo. Se ne vuoi parlare, io ci sono.»

«Non devi sentirti in dovere di ascoltare le mie lamentele, solo perché adesso vivi qui.»

«No, non mi sento in dovere. Mi farebbe piacere esserti d'aiuto.»

«Comunque, sto andando in terapia. La mia psichiatra dice che sto facendo progressi. Non devi sentirti in debito con me, Cassie. Stando qui, mi stai facendo un favore, mi stai aiutando molto più di quanto immagini.»

«Mi fa piacere.», dico con sincerità.

C'è un po' di silenzio imbarazzante.

«Non mangi?», chiede curioso e indica la brioche.

«Oh, no no. Non ho fame, grazie... Senti, ehm..», provo a chiedere, «Per caso, ieri sera tardi ti ho chiamato?»

Sorseggia dalla tazza. «Uhm, no, perché?»

Merda.

«Non sono tornata con il tuo autista, vero?»

«No», mi guarda con i suoi occhi glaciali, «C'è qualche problema?»

Un problema enorme, penso.

«Nessun problema.»

Ma, allora, come ci sono tornata qui?

«Cassie? Tutto bene?»

E se Bea avesse ragione? Prendo il cellulare e vado di nuovo sulla conversazione di RiservedGuy13. Scrivo un messaggio rapido.

Tu: Sei stato tu, ieri notte?

«Cassie?», ho la voce di Roman, limpida come un cristallo, nelle orecchie. Clayton ha visualizzato immediatamente, lo vedo dalle spunte blu.

«Sto bene, perdonami, io...», dico a Roman, ma continuo a fissare la chat con RiservedGuy13 e sento un rumore di sedia strusciarsi contro il pavimento.

«Va bene, finisci la tua colazione, io devo uscire.», dice Roman.

Non mi da' neanche il tempo di alzare gli occhi che sparisce: mi sento in colpa.

Sono una maleducata. Non si disdegna in questo modo qualcuno che ti ha aperto la porta di casa come ha fatto lui, ma sono come ipnotizzata dal cellulare.

Quando Roman esce, sono di nuovo da sola, in questa casa fredda e spoglia. Il mio telefono vibra, segno che è arrivato un nuovo messaggio.

RiservedGuy13: Sono stato io.
Qualsiasi cosa terribile ti venga in mente,
la risposta sarà sempre si.
Sono stato io.

Tu: Quindi...
Mi hai riportata tu a casa,
ieri notte?
Rispondimi per favore,
ho bisogno di saperlo.

ReservedGuy13: Le cose
non si chiedono, Cassie.
Si prendono.

Cosa cazzo significa? Cazzo. L'ultima volta che Clayton mi stava riportando a casa di Roman, eravamo dentro a un camion e lui ha infilato una mano dentro le mie cosce con così tanta facilità che è sconcertante.

E non ero nemmeno ubriaca!

Forse, non voglio ricordare cos'è successo ieri. Forse, questa volta ha fatto molto più che infilarmi una mano tra le cosce. Ne sarebbe capace? Sarebbe capace di agire solo per i suoi scopi egoistici contro la mia volontà? Ma che stupida che sono, ovvio che sì. Mi sento male solo all'idea.

Tu: Voglio sapere la verità.

RiservedGuy13: Vienitela a prendere,
sai dove trovarmi.

Paxton

Sbadiglio, ed entro in cucina, sono inondato dal sole che filtra attraverso le tende beige.

Apro il frigorifero dei Mackenzie e scopro che è vuoto. È quasi mezzogiorno e ho un buco allo stomaco, ma nessuno ha fatto la spesa.

C'è un cuore di lattuga avvizzito, un prosciutto seccato, un paio di barattolini di acciughe sottaceto e qualche birra. Ieri sera ho cenato con la birra e stamattina mi toccherà fare colazione con la birra.

Il Terranova dei Mackenzie si struscia contro i miei polpacci. «Ehi, Mustafa che vuoi? non ci sono più croccantini nella tua ciotola? Sei cascato male, perché non ce l'ho da mangiare sta volta.»

Prendo una Tennent's e la stappo con i denti, ferendomi ai lati della bocca.

Mi butto sul divano e accendo la televisione: parte il notiziario e c'è una tipa molto attraente in camicetta che sta parlando di una sparatoria in cui sono morte una dozzina di persone.

Sento dei rumori alle mie spalle, così mi giro e vedo Clayton nudo, tranne per i boxer, che apre il frigorifero.

«Che diavolo!», ringhia brutalmente, «Paxton sei un cassonetto, ti sei scofanato tutto, porca puttana.»

Sono giorni che si alza sempre con la luna storta.

«Non è colpa mia.», e penso: è colpa del vostro cane, il suo sguardo da animale che sta per essere abbattuto mi ha obbligato.

Guardo Mustafa e il suo furbissimo musetto nero. La settimana scorsa, forse, l'ho viziato troppo con il cibo...

Clayton sbatte il frigo e cerca nella dispensa, prendendo alla fine la sua confezione preferita di cereali, quelli al miele.

«Ma tua nonna che dice sul fatto che sei sparito?», si informa, «Almeno, lo sa che sei qui, da noi?»

«Se sa, che...», balbetto, «Scherzi? Oddio, certo. Non vorrei mai farla morire di crepacuore.»

Mia nonna adora i Mackenzie, dice che sono gli unici esseri umani al mondo oltre lei in grado di sopportarmi, e vorrebbe che li invitassi più spesso a casa nostra.

Le ho spiegato troppe volte che loro verrebbero pure, se il salotto non puzzasse di piscio di gatto.

«La prossima volta che tua nonna ti chiama alle quattro di notte e strilla "polpettino" sarò io a morire di crepacuore. Stavo dormendo, cazzo.»

Qualche ora fa ero in camera di Clayton: l'unica stanza dotata di un letto matrimoniale.

Ryan non ha posto per me, avendo un letto solo, la camera di Tyler è quella che le madri definirebbero un terreno su cui è esplosa una bomba, e chiaramente Killian non mi vuole tra i piedi, figuriamoci in camera sua.

«Non mi sembrava che stessi dormendo», lo punzecchio, «Stavi al cellulare. Ti ho visto.»

Nel dormiveglia post sbronza ho ipotizzato stesse guardando video su YouTube, qualche TikTok, oppure scrollando la home di Instagram: non ho voglia di elencare tutti i social esistenti, comunque stava facendo qualcosa per combattere l'insonnia di cui soffre ormai da diverso tempo.

Non so come faccia, Clayton a reggersi in piedi dormendo così poco.

«No. Non mi hai visto.»

«Sì, invece, ti ho visto che stavi al cellulare, non ho gli occhi foderati di prosciut-»

Clayton ha uno sguardo vagamente minaccioso e capisco che vuole che io tenga la bocca chiusa, anche se non so perché.

«Afferrato.», mi passo indice e pollice sulle labbra, come se stessi chiudendo una zip, «Però anche tu. Tienitela per te, questa cosa del polpettino.»

Mi guarda come se fossi un moccioso che sta facendo i soliti capricci.

È a petto nudo. I suoi tatuaggi sul deltoide, simili a rami di alberi, sono sottili come delle vene.

«E soprattutto... Ma non ce l'hai una maglietta?», gli chiedo.

Clayton riempie la sua tazza di cereali al miele, e poi me lancia uno a Mustafa, che scodinzola.

«Non è che condivideresti un po' di cereali anche con me?», gli chiedo speranzoso.

Lui alza le sopracciglia. «Scordatelo.»

In cucina, arrivano anche Ryan e Killian, che si catapultano dalle scale, e sembra stiano litigando, visto che entrambi sono rossi in volto.

Non c'è neanche l'ombra di Tyler, quindi probabilmente sta ancora dormendo.

«Non faremo niente di ciò che dici», Ryan si accende una sigaretta e, al posto del buongiorno, assesta un'occhiata torva a Clayton e al suo petto nudo. Forse, si sta chiedendo anche lui perché gira per casa come se fosse Tarzan.

«L'idea è grandiosa, invece», Killian lo insegue fino ai fornelli, su cui Ryan sta posizionando una moka per il caffè. «Troviamo per chi lavora Bill the Killer e chiediamo un riscatto. Rispediamo il panzone al mittente, solo dietro compenso. Noi avremo i soldi e in più ci sbarazzeremo di quell'alito di fogna.»

«Sai cos'è grandioso?», dice Ryan, «Che ancora non ti sei fatto ammazzare.», Ryan scruta il braccio meccanico di suo fratello e appare pensieroso. Mi alzo dal divano, in mano ancora la mia birra.

«Un riscatto?», intervengo, «Chi pagherebbe per riavere indietro una palla di lardo del genere?»

Killian si gira verso di me e arcua le labbra, poi sfodera i denti, sollevando un po' il labbro superiore.

Di prima mattina ha un'espressione impastata di sonno, che sembra quasi angelica. La cicatrice che gli attraversa il volto gli regala una bellezza crudele.

Ha uno sguardo ossessivo e uno scintillio bramoso rifulge nelle sue iridi azzurre e vuote.

Clayton si schiarisce la gola, interrompendo il nostro contatto visivo.

«Quella palla di lardo come la chiami tu», dice con timbro serio, «È James Lombardo.»

«James Palla di Lombardo?», Killian frega la tazza su cui Clay aveva messo i cereali e fa una smorfia come per dire "mica male". «Ottimo. Così vale di più»

Clayton si vede sfilare da sotto al naso la sua colazione. «Oi, ladro del cazzo, ridammi la mia tazza.»

Killian se lo guarda, anche lui indignato da tutta quella nudità: Clayton ha delle spalle e dei dorsali che farebbero invidia alle statue greche.

Le mutande bianche Calvin Klein sono calate al punto che si vedono le ossa pelviche.

«Non ho mai capito cosa ci trovi di bello la gente nell'avere il nome di un tizio sulle mutande.», dice Killian.

Ryan è ancora confuso per ciò che ha appena scoperto. «In che senso, un Lombardo? Cosa cazzo dici?»

Clay ritorna a parlare con Ryan. «Sì, è un Lombardo, e non mi chiedere come l'ho saputo perché è complicato.»

«Tra tutte le persone al mondo, con cui Tyler poteva indebitarsi, proprio con... Un Lombardo.» Ryan batte un pugno contro il tavolino e sento il rumore della cartilagine contrarsi.

Cazzo, mi sono fatto male io solo a guardarlo.

«Ehi, la tua mano è già ammaccata, ma così te la distruggi!», protesto.

Ryan ha uno sguardo da "non fare il crocerossino". «Sai chissene fotte. Grazie al dormiglione di sopra, adesso abbiamo cose più serie a cui pensare.»

Clayton indica la mano del fratello. «Come mai ti sei ridotto in questo modo?»

Ryan scuote il capo. «Cambiamo discorso.»

Clayton ha uno sguardo livido e inflessibile.

«Si tratta di lei?»

«Cambiamo. Discorso

Killian si mette seduto, accavalla le gambe, e continua a masticare, sembra che parli a una platea inesistente. «Roba da matti, ragazzi. Si fa il sangue marcio per una che neanche lo vuole.»

Clayton inspira forte dal naso e osserva suo fratello, con la fronte sovrappopolata di chissà quali pensieri. «Sei un coglione.»

Ryan annuisce. «Cazzo,

«Ti stai rovinando la vita», aggiunge Clay, «Sicuro che ne vale la pena?»

Clayton rispetta profondamente suo fratello Ryan più di quanto non abbia mai fatto con nessun essere vivente sulla faccia della terra.

Non è facile restare a guardare quando qualcuno che ami e rispetti profondamente persevera per anni in azioni stupide e insensate.

«Certo che ne vale la pena. Non chiederlo neanche.»

Io, Clay e Killian ci scambiamo espressioni ambigue.

Tutti vogliamo bene ad Arya, ma se Ryan continua così ci morirà per quella ragazza e, anche se come ho detto la adoro, non sono un ipocrita.

Preferirei che il mio migliore amico voltasse pagina alla svelta, preferirei che Ryan ci mettesse un bel mattone sopra, prima di rimetterci le penne, o peggio qualche arto, facendo la fine di Killian.

A proposito di Killian: quando si parla di Arya, lui è il più perplesso qui in mezzo; aggrotta la fronte, poi estrae dalle tasche il materiale per farsi una canna.

«Arya non è più quella di una volta, fratello. Adesso va in giro come se avesse una scopa nel culo da rimuovere chirurgicamente. Quella ragazzina che ti piaceva tanto tempo fa non esiste più.»

«Abbiamo questioni più urgenti da risolvere», dice Ryan sbrigativo. «Arya è l'ultimo dei nostri problemi.»

«È quello che dico anch'io.», conferma Killian.

«Qual è il piano?», chiede Clayton, deviando il discorso di nuovo sui Lombardo.

Lui è quello della famiglia sempre pronto a combattere. Negli anni, ha sviluppato una specie di anticorpi alla paura; non c'è niente che lo spaventi.

Ma è una cosa che ha imparato.

Quando Clayton aveva otto anni, e non riusciva a dormire, scese le scale e disse a suo padre che aveva paura del buio; così suo padre gli mise in mano una pistola: "Con questa non avrai paura".

Lui voleva solo che suo padre gli dicesse di non avere paura del buio, voleva solo sentirsi dire che suo padre ci sarebbe stato... che, magari, si sarebbe seduto sul letto affianco a lui.

Non si era mai sentito così solo, ma quella sensazione non lo abbandonò mai più per il resto della sua vita.

Fu in quel momento che Clayton imparò la lezione più importante. A rendere la gente debole è la paura.

E Clayton non ha mai più avuto paura di niente e di nessuno, nemmeno dei Lombardo.

I Lombardo lo hanno preso a calci, lo hanno picchiato perché non voleva sottomettersi, ma in fondo lui sapeva che non potevano spezzarlo.

Non potevano ferirlo nell'animo, se non aveva paura: mangiava terra e sputava sangue, ma quei luridi bastardi non lo possedevano.

Nessun essere umano potrebbe mai spezzare il cuore di Clayton.

Perché non puoi spezzare il cuore a chi non ne ha uno.

«Per ora direi che il piano è non fare altre cazzate.», dice Ryan.

«È guerra, vero, fratello?», chiede Clayton.

«Solo se sanno che siamo stati noi.»

«Lo scopriranno.», dice Killian. «A meno che...»

«A meno che?», chiedo e quando parlo io mi guardano sempre tutti.

Le pupille di Killian si dilatano, fameliche. «Non lo uccidiamo.»

«Vuoi uccidere James Lombardo?», chiede Ryan sconvolto.

«No, voglio uccidere Paxton», ribatte Killian e i miei polmoni collassano...poi alza gli occhi al cielo, «Ma certo che voglio uccidere quel parassita! Non sopporto che viva a sbafo nel mio bar!»

Ryan è già pronto a mettergli le mani al collo, ma sentiamo il rumore della serratura e la signora Mackenzie entra con le buste della spesa.

«Ciao ma'», dice Clayton, saluto che viene riprodotto dagli altri subito dopo.

«Ciao ragazzi, ciao Paxton», ci saluta con stanchezza la signora Mackenzie che è tutta sudata, «Dov'è Tyler?»

«Dorme.», dice Killian con un sottile tono ironico.

«Be' che qualcuno di voi lo svegli per favore, non si può dormire fino a quest'ora, è indecente.»

Ryan si dirige verso l'ingresso, prende le chiavi e si sistema al volo i capelli davanti allo specchio. «Pensateci voi io esco.»

«Dove vai?», gli chiede sua madre, ma Ryan ha già sbattuto la porta.

«E pure tu ma', dove pensi che vada?», scherza Clay.

Ci sono due posti in cui Ryan può andare quando esce: il bar di Arya o l'accademia d'arte.

«Non voglio neanche sapere cos'ha fatto alla sua mano. Voi figli prima o poi mi farete dannare.»

Killian si alza dalla sedia e attraversa il salotto, facendomi un cenno con il capo. «Ehi, Paxton che fai? Inculi le zanzare? Vieni con me a buttare Tyler giù dal letto.»

Non me lo faccio ripetere due volte.

Seguo Killian per le scale, e devo concentrarmi a non fissare il cotone della mutanda nera che si intravede a causa dei jeans calati.

Porco giuda se è meraviglioso: è un pazzo fuori di testa, uno schizofrenico a cui vengono in testa solo idee balzane, come quella del riscatto.

Insomma...Cazzo, ricattare i Lombardo per farci un po' di grana sopra è un vero suicidio, è da veri fuori di testa.

Ma se lui si buttasse dal ponte di Brooklyn, io lo farei insieme a lui.

Ieri sera l'ho visto sniffare, e palpare ogni essere umano all'interno del locale dotato di una vulva. Nel suo volto, c'era una soddisfazione primitiva e violenta che mi rinfacciava ogni volta che mi guardava.

Appariva e scompariva in continuazione, mandandomi ai matti.

Ora sta ciondolando per tutta la salita, con quella sua andatura svogliata e così attraente.

Si passa la mano tra i capelli biondo platino e se li scompiglia, ignaro di tutto il fascino che in questo momento sprigiona.

Sento che dovrei andarmi a confessare, per tutti i pensieri impuri che mi passano per la testa.

Arriviamo di sopra, e ci fermiamo proprio davanti la porta della sua camera. Le voci della signora e Mackenzie e di Clay sembrano lontane chilometri.

Non faccio altro che fissarlo... Non solo ora, ma da sempre: da tutta la mia vita ne sono sempre stato spaventato e attratto.

Mi fredda con un'occhiata.

«Che cazzo ti guardi?», mi dice.

«Non ti sto guardando.», borbotto...

però, purtroppo, in un gesto istintivo, i miei occhi cascano sui suoi pantaloni e sul rigonfiamento tra i jeans.

Killian si avvicina, percepisco il calore intenso della sua presenza e credo di avere il viso in fiamme.

Si è accorto che gli sto guardando il pene, devo trovare qualcosa da dire per distogliere l'attenzione da questo momento imbarazzante. Non sono bravo in questo genere di cose.

«È una pistola quella che hai tra i pantaloni, oppure sei solo contento?», chiedo e produco una risata sciocca e nervosa.

Killian avanza inesorabile verso di me, finché non mi ritrovo spalle al muro contro il legno della porta della sua stanza.

Avvicina le labbra al lobo del mio orecchio.

Ride, e con quel suono tra le orecchie, un suono affilato come il vetro, mi sembra di essere in paradiso.

«Guardami un'altra volta il cazzo, e giuro che ti pianto una forchetta nei bulbi oculari.»

Ho il suo fiato caldo e trafelato addosso. Alzo gli occhi, e la sua vicinanza è molto più di quanta ne riesca a sopportare.

Sono uno stupido. Mi tratta come se fossi un coglione da quando siamo ragazzini, e ora eccomi qua a sperare di ricevere le sue attenzioni, anche le più piccole e insignificanti. Mi andrebbe bene anche essere preso a pugni in faccia.

«E non scherzo», aggiunge.

«Per carità, non lo metto in dubbio.»

I suoi occhi chiari sono paranoici ed esaltati. Non c'è possibilità di scoprire cosa pensa veramente. Però, la sua mano, è vicino al mio corpo e proprio sopra la maniglia.

«Quanto ti piace fare il fenomeno da baraccone.», sussurra.

Quando siamo lontani dai suoi fratelli, Killian è più docile del solito con me, anche se non si può dire che tra noi sia tutto rosa e fiori.

«E a te quanto piace fare il fenomeno e basta?», dico a mia volta.

«Cuciti la bocca.»

«Altrimenti? Vorresti per caso picchiarmi?»

«Finalmente, un consiglio sensato.»

Deglutisco, ho il palato secco. «Vuoi fare a botte? E come la mettiamo che te hai un braccio solo?»

Cerco di scoraggiarlo, ma lo sto semplicemente facendo incazzare ancora di più.

Sotto sotto, questa cosa mi diverte.

Mi piace stuzzicarlo, sondare i suoi limiti, vedere fino a che punto arriva, anche se so che non ha limiti.

«Ti butterei giù senza problemi. Riesco a fare molte più cose io senza un arto di te con entrambi. Guardati, sembri un handicappato.»

La sua fronte quasi tocca la mia, sento ogni singola particella del suo disprezzo, e ho nel cervello un principio di vertigini che si espande.

«E allora, non farti pregare, buttami giù. Fammi vedere quanto sei forte.»

Nelle sue iridi brilla una sfumatura di stupore.

Afferra la maniglia, sento la porta cigolare dietro di me e quindi aprirsi, e poi mi spinge all'indietro: per la prima volta, sono ufficialmente invitato a entrare nella sua stanza.

"Invitato" è un modo di dire, visto che mi ha appena afferrato per il colletto della maglietta, e i suoi modi sono bruschi come al solito, ma questo rimane un evento più unico che raro.

«Dato che ti piacciono le maniere forti», dice, e affonda i denti nel labbro inferiore e quasi mi sento sollevare da terra. «Eccoti accontentato.»

Mi scaraventa sul suo letto, batto il cranio contro la testiera.

Wow.

Lui mi immobilizza, incastrando l'avambraccio tra il mio mento e la gola. Quasi non respiro.

Ma ti prego, continua, strangolami pure.

«Piaciuta la dimostrazione?», chiede.

Mi lascia andare e tossisco, battendomi dei pugnetti contro il petto. Lui si lancia sul letto accanto a me, si toglie le scarpe e con il respiro affannoso mi guarda di sottecchi.

Quando mi riprendo, noto che il suo letto è proprio affianco a una finestra, che dà sul tetto del villino.

Qualche volta, so che Killian ci va, l'ho visto camminare sui cornicioni.

La finestra, inoltre, si affaccia sulla strada principale: da' una visuale di tutti gli angoli più nascosti, in cui di solito avvengono scambi illeciti di droga.

Le case tozze e quadrate che soffocano il cielo, sono in fila una dietro l'altra, con le finestre rettangolari, come tanti calendari dell'avvento in serie.

I pali della luce fulminati, i fili di ferro su cui è appeso qualche lenzuolo. Un campetto da basket malridotto, in cui una banda di ragazzini si rincorre come una sciame impazzito di calabroni: potevamo essere noi qualche anno fa.

«Ti godi il panorama?», chiede Killian.

Mi giro.

La luce del sole si infrange contro il suo viso, contro la sua pelle candida, contro i suoi occhi, illuminandoli di un bagliore maniacale. Sembra un angelo cacciato dal paradiso.

«Non dovevamo andare a svegliare Ty?», chiedo con tono innocente.

Sogghigna, «Chissenefotte.»

Si tasta i pantaloni e sfila un pacchetto di sigarette; me ne porge una. Si accende la sua e poi avvicina il suo viso al mio, in modo che io possa accendermi la mia direttamente dalla sua.

Sdraiato accanto a lui, col sole che mi pizzica la pelle e una beatitudine strana in corpo, mi parte un ragionamento filosofico.

«Quanto siamo autodistruttivi, ci hai mai pensato?», gli chiedo.

Killian aggrotta la fronte e butta fuori il fumo, che galleggia nella stanza e sopra le nostre teste.

«Cioè?»

«Fumare uccide, eppure fumiamo lo stesso.», spiego.

Non mi guarda, i suoi occhi sono altrove e anche la sua voce pare atona.

«Moriremo, comunque: fumo o non fumo. Tanto vale godersela.»

«Siamo nati per morire. Giusto. Ma allora perché farsi tutti questi cazzo di problemi?»

«Non mi faccio problemi.», dice.

«Però ti fai le ragazze...»

No, non ci credo di averlo detto. Mannaggia a me e alla mia boccaccia.

Si gira di scatto e, sorprendentemente, non è arrabbiato, mi fissa le labbra, la parte bassa del viso. «Dovevi vedere quanto cazzo godevano ieri sera e quanto gridavano. Alcune sono proprio delle maiale.»

Le sue parole fanno male come se mi avesse conficcato un cacciavite in pancia.

«Mmm. Buon per loro.», dico con la voce rotta. «E dove te le scopavi, nei cessi?»

Ha gli occhi da pervertito. «Sorry mom

Killian allunga il suo unico braccio di carne per spegnere la sigaretta sul davanzale, e io faccio la stessa cosa. Mi sono già rotto di intasarmi i polmoni. I nostri corpi si toccano. Le nostre spalle si sfiorano, e lui non si scansa.

«E tu, con le donne?», mi chiede. «L'ultima volta che hai parlato con qualcuna era il paleolitico.»

Mi sfrego gli angoli degli occhi con i pollici, che sono umidi.

«Già, sorry dad.»

La battuta non lo fa ridere, ma posso capirlo, perché non fa ridere nemmeno me.

«Non ti manca piegare qualcuna a novanta? O, che cazzo ne so, sentire delle tette che ti sbattono in faccia?»

«Alle volte.»

«Lo sai?», dice, «Parli come un frocio senza speranza.»

Mi stringo nelle spalle. «Magari, è quello che sono.»

Lui mi studia in modo strano.

«Cioè, voglio dire...», provo a rettificare.

«Sei frocio?»

Solo se si tratta di te, vorrei dirgli, ma sarebbe troppo imbarazzante e umiliante dirlo ad alta voce.

«Ti scandalizzeresti?», chiedo con un filo di voce.

Killian ha uno sguardo strano, un po' nostalgico.

«C'è una cosa che non sai.», dice.

«Be', dimmela.»

«Penso che tu mi abbia salvato la vita, in passato, o qualcosa di simile. Quando eravamo piccoli e sono stato investito, eri vicino a me...»

Me lo ricordo fin troppo bene. Quel giorno, per me, è come se fosse ieri, e lo rivivo oggi nelle parole di Killian.

Il sole cocente addosso, il furgoncino argenteo che lo ha investito, la polvere che si era sollevata da terra rendendo la visuale opaca, io immobile in mezzo alla strada e Killian senza un braccio da un momento all'altro.. l'odore di sangue e di marcio.

«Non ti sei fatto spaventare dalla mia bruttezza», continua e si sporge pericolosamente su di me, «Sono sopravvissuto anche grazie a questo.»

Il suo viso è così vicino..

Incolla le sue labbra alle mie, togliendomi ogni briciolo di respiro, le sue labbra sanno di sigaretta e deodorante.

La sua mano si precipita sulla mia e le nostre dita si intrecciano.

Il suo corpo è premuto sul mio e le sue labbra hanno un sapore dolcissimo: penso che sto sognando.

Schiudo le labbra, per far entrare la sua lingua nella mia bocca. Sta andando tutto a una velocità che non mi consente di realizzare tutte le emozioni che mi esplodono dentro.

Killian mi afferra il polso e porta la mia mano sui suoi jeans, che si struscia su tutta la lunghezza del suo pene duro.

Al contatto freddo e metallico dei bottoni, sussulto.

Dovrei slacciargli i pantaloni, ma non sono neanche in grado di muovermi.

Così, mi aiuta e le nostre dita si sfiorano.

Si stacca dalla mia bocca e si toglie i pantaloni. Mi mette in mano un tronco di pelle liscia e sensibile, che osservo come se non avessi mai visto un cazzo in vita mia, e infatti è proprio così: non ne ho mai visto uno, se non il mio.

Entrambi abbiamo il fiato corto.

Killian vuole di nuovo le mie labbra, che incontra con estrema facilità.

E continuo a baciarlo, mentre tengo in mano la sua erezione e i suoi gemiti sommessi mi procurano brividi indescrivibili di piacere.

Sta succedendo davvero? È un miracolo: potrei quasi diventare credente.

Il suo corpo sudato si muove ritmicamente sul mio e vorrei restare sdraiato sotto di lui per sempre, non vorrei smettere mai.

Arya

Sono piegata sul lavandino, con l'acqua che scorre in un suono conciliante e le mani sotto il getto, intenta a lavarmi la faccia. Ho dei dolori allo stomaco. Sono le due del pomeriggio, ma sono ancora assonnata e mio padre, anche oggi, non si è alzato dal suo letto.

Mi passo le mani bagnate sulle guance.

Stamattina è stata dura alzarsi, perché sono stata tormentata dagli incubi per tutta la notte. Mi succede sempre più spesso.

Ultimamente faccio dei sogni strani, in cui mi ritrovo in un labirinto oscuro, con il cuore che palpita, una fretta urgente di correre, di scappare.

Sento i tonfi delle mie converse sul terreno, ma le gambe sono pesanti come macigni e non riesco ad avanzare.

Mi sveglio sempre nel cuore della notte, puntualmente in ansia, con l'angoscia incastrata in gola e con una fatica incredibile di respirare.

La mia vita, di recente, sembra essere una continua rincorsa a qualcosa che non otterrò mai.

Lotto ogni giorno e ogni notte per sopravvivere, ma non posso neanche più permettermi di sentirmi esausta.

Andare avanti, sempre. È così che affronto le giornate.

Ieri sera, Wellington mi ha presentato sua madre: una donna di classe, volitiva, amante delle buone maniere, che non ha fatto altro che studiarmi per tutta la serata. Nonostante ciò, è riuscita a creare un clima piacevole, e abbiamo parlato di scherma, della sua villa fuori città da ristrutturare, dei barboncini Peggy e Willy e di come a quei cani piaccia la pedicure.

So che dovrei essere felice di avere un ragazzo normale che mi vuole bene, ma non ci riesco.

Non riesco a smettere di pensare a un altro.

Questo è il mio incubo peggiore.

La certezza di non poter essere felice, e doverlo accettare per forza, perché non posso più fermare la mia esistenza per qualcuno che ha smesso di considerarmi.

Cara grammatica, ti sei sbagliata: il verbo aspettare non è all'infinito.

Mi asciugo le mani e apro l'anta dell'armadietto sopra il lavandino.

Afferro una scatoletta arancione, situata dietro gli antidepressivi a base di vortioxetina di mio padre.

Fentanyl.

Me l'ha fornito Wellington ieri sera. "Può succedere di passare un brutto periodo, se non vuoi farti aiutare da qualcuno, fatti aiutare da qualcosa.", mi ha detto e ha infilato una scatoletta arancione dentro la mia borsa.

Ha ragione lui, dovrei farmi aiutare, dovrei rilassarmi in qualche modo. Sono troppo tesa e perfino lui se n'è accorto.

Il Fentanyl è un oppiaceo sintetico, in medicina un antidolorifico, circa mille volte
più potente della morfina.

Prendi una pasticca, una soltanto, e tutto il malessere che stai provando in questo momento si affievolirà.

La mando giù bevendo dal lavandino, il più veloce possibile, senza pensarci, e mi sento subito meglio.

Esco dal bagno, scendo le scale e torno dietro al bancone, perché mi sono assentata per troppo tempo. Oggi è una giornata tranquilla, c'è poco via vai.

Mi chiedo se, dopo ieri sera, Ryan passerà al mio bar.

Ho delle domande che mi frullano nella testa da ore.

Perché si è comportato in quel modo con Wellington? Perché ha fatto intendere al mio ragazzo che tra me e Ryan le cose fossero diverse da come sono realmente?

Non faccio che chiedermelo, e le possibili risposte mi assillano.

Mi odia a tal punto da voler rovinare l'unica sottospecie di relazione che io abbia mai avuto?

*Inizio flashback*

Il giorno dopo che sono caduta dentro quel fosso, con tutta la bicicletta, mi sono risvegliata stesa nel mio letto e completamente rintronata...

A malapena mi rendevo conto di ciò che mi era successo.

Killian che mi aveva inseguita fino a farmi precipitare, e poi Ryan che mi aveva presa in braccio: era stato tutto troppo veloce.

Mio padre era seduto su una sedia di ferro, con le mani giunte in una preghiera.

Quando mi ha vista sana e salva, ha sobbalzato. Mio padre non è uno che di solito mostra i suoi sentimenti, però in quell'occasione era un libro aperto. La morte di mamma di aveva devastati e non era pronto a subire un altro lutto. Chissà come si era dovuto sentire... Gli ho fatto passare una notte orribile, ma quando mi sono risvegliata ha tirato un sospiro.

Dopo un primo momento di sollievo, Il volto di mio padre si oscurò dalla rabbia.

«Da oggi in poi, starai lontano da loro.», sono state le prime parole che mi ha detto. «Quei ragazzi... avvelenano ogni cosa che toccano.»

Ho passato tutta l'estate prima del liceo in convalescenza, per fortuna me la sono cavata solo con una micro frattura alla caviglia.

Ho scritto tutti i giorni a Ryan. Non rispondeva mai, però io non mi sono lasciata abbattere e continuavo a scrivergli.

I messaggi che gli mandavo erano ogni giorno più lunghi.

Provavo a chiamarlo, ma aveva sempre il telefono staccato.

Visto che non mi rispondeva, provavo a chiamare Clayton e Tyler.

Ty era l'unico che, seppur a monosillabi, si degnava di rispondermi al telefono. Non mi spiegavo quel trattamento, all'improvviso così freddo e ostile, da parte di tutti quanti. Forse, erano in uno dei loro soliti brutti momenti.

L'ultima settimana di vacanze, una domenica pomeriggio, sono andata a casa di Ryan, per affrontarlo.

Il bambino che mi ha costruito una casa sull'albero, quel bambino che mi avrebbe fatto da scudo con il suo stesso corpo pur di proteggermi, non poteva cambiare dall'alba al tramonto, senza darmi una spiegazione.

Per tutto il tragitto mi sono ripetuta che non c'erano ragioni per il suo comportamento.

Anzi, che una ragione ci doveva essere per forza, perché non era da lui trattarmi in quel modo.

E che, quindi, io dovevo scoprirla.

Mi sono messa un berretto per ripararmi dal sole e avevo la sua bandana legata al polso: la leonessa non si sarebbe arresa, giusto?

Clayton era sulla sedia a dondolo sul portico, gli occhi neri puntati di fronte a sé.

Appena mi vide si alzò.

A 16 anni, Clayton era più alto e più robusto della maggior parte degli uomini adulti; i capelli lucidi e neri, separati da una rigida riga centrale,gli ricadevano davanti agli occhi, donandogli una bellezza brutale.

«Che sei venuta a fare, leonessa?», mi disse scendendo i gradini. Il suo portamento fiero e serafico, ingannava. Lui non era calmo.

Clayton è sempre stato diverso dai suoi fratelli; lui aveva qualcosa dentro, qualcosa che sembrava volesse sfogare a tutti i costi. Mi ricordo, quando correvamo verso il terrapieno della ferrovia, lui raccoglieva i sassi tra i binari e li lanciava verso l'orizzonte con rabbia, come se puntasse ai volatili. Infilava tutto il braccio nella bocca nera di un tombino, e io col batticuore gli gridavo di stare attento, come se qualcosa di oscuro e rapido, come miliardi di scarafaggi, potesse assalirlo. Lui non aveva paura di niente.

Lui dentro aveva qualcosa di profondo, come un disagio che non riusciva a esternare.

Crescendo, Clayton è diventato forte, così forte che pareva fatto di un minerale impossibile anche solo da graffiare. Anche ora, a guardarlo, non sembrava nemmeno fatto di carne.

Clayton, all'apparenza calmo e accomodante, è quello che tra i Mackenzie andava più in fondo alla propria pazzia, fino a distruggersi e distruggere chiunque ha intorno.

«Allora, che sei venuta a fare?», disse di nuovo.

«Devo parlare con lui.»

Il modo in cui sorrideva non era un vero sorriso, ma un tentativo di ammaliarti: Clayton era un manipolatore, però in questo caso gli ordini provenivano da Ryan, ne ero certa. Il rispetto di Clayton per Ryan era sempre andato oltre ogni cosa.

«Non c'è.», mi disse.

«E dov'è?»

«Non è affar tuo.»

Come si guardavano le spalle a vicenda era ammirevole.

«Voglio soltanto parlarci.»

«Lui non vuole parlare con te.»

«Ma perché?»

«Vattene. È la cosa migliore per tutti.»

Sentivo scorrere le lacrime sulle guance, ma non volevo arrendermi. Mi stavano cacciando tutti quanti. Loro erano fratelli, e io non ero niente per loro, se non una stupida bambina piagnucolona. Era meglio darsi un contegno. «Posso salutare almeno Tyler?»

«No, sul serio, Arya. Va' via.», si voltò e risalì i gradini.

Ho ascoltato il suo consiglio e me ne sono andata, ma prima ho guardato per l'ultima volta la casa dei Mackenzie, un'abitazione che sembrava sprofondare nel terreno in tutta la sua decadenza.

Affacciato alla finestra c'era un ragazzino biondo, che mi fissava..

Tyler? Siamo rimasti a guardarci per un po', io non sapevo bene cosa fare: se ne fossi stata capace, mi sarei arrampicata, pur di abbracciarlo.

Dopo quelli che furono minuti interminabili, Tyler si è battuto la mano tre volte sul petto, ha allungato il braccio e con le dita ha raffigurato la metà di un cuore.

*Fine flashback*

Verso le quattro del pomeriggio, Ryan arriva, immerso nel cappuccio della sua felpa, e con ampie falcate attraversa i tavolini. Sto lavando alcune tazze, per ingannare il tempo.

La prima cosa che penso è che si siederà al suo solito posto, evitando categoricamente di guardarmi.

Invece, con mia grande sorpresa, viene verso di me, con il volto contratto dalla preoccupazione e dalla fretta.

«Devo parlarti. Hai un minuto?», dice.

Abbasso lo sguardo sulle maniche sporche della felpa, tirate giù fino a coprire il dorso della destra e mi accorgo che ha un braccio piegato.

«Che cos'hai lì?», indico la sua mano.

«Niente.», ma risponde troppo in fretta, come se avesse previsto questa domanda.

«Ryan, cos'hai fatto?»

Abbassa la testa, colpevole e scopre la manica, mostrandomi il misfatto. Ha le nocche ridotte in frantumi e del sangue secco appiccicato sulla pelle. «O santo cielo», mormoro e faccio il giro del bancone, «Vieni con me.», gli ordino, dirigendomi verso le scale.

Lui, senza dire una parola, mi segue. Entriamo in bagno, e con Ryan dentro questo rettangolo di pareti è come se non ci fosse più spazio.

«Mettiti seduto», gli dico cercando di sembrare disinvolta e gli indico la vasca da bagno.

«Che fai?»

Apro il cassetto dei medicinali. «Ti fascio la ferita, se solo riuscissi a trovare il disinfettante.»

Rovisto un po' e poi lo trovo. Prendo dell'alcol e del cotone, che si trova vicino al balsamo. «Scopri tutto il braccio, per favore.»

Armeggio con le medicazioni sopra il lavandino e sento il suo sguardo inquisitore su di me.

Ryan si toglie direttamente la felpa, che getta a terra, e rimane a petto nudo: bastava solo il braccio penso, e quasi rido, ma mi manca il respiro.

Osservo i suoi tatuaggi su tutto il suo petto ampio, un petto che mi ha sempre procurato l'istinto di raggomitolarmici contro. Non faccio in tempo a decifrare i simboli sul suo corpo.

Torno sul suo viso: quelle sopracciglia così marcate e risolute gli danno un'aria da uomo. La sua bellezza ha qualcosa di spossante.

Potremmo rimanere ore intere a guardarci in silenzio, e sarebbe come se ci stessimo raccontando le cose più profonde di noi. Questa riservatezza ferrea che condividiamo mi mette a disagio.

Devo porre fine a quest'angosciante susseguirsi di sguardi, dicendo qualcosa.

«Hai fatto a botte con qualcuno?»

Il gomito nodoso, covo da cui si generano le vene degli avambracci, è teso.

Ride con schivo imbarazzo. «No. Ma mi sarebbe tanto piaciuto.»

Il riferimento a Wellington non è puramente casuale.

«Lo sai? Se non lo mettessi in soggezione, penso che voi due possiate andare perfino d'accordo.»

Mi guarda come se stessi scherzando. «Non credo. Lo dici anche a lui di non mettermi in soggezione?»

«Ryan...»

«Non so di cosa tu mi stia rimproverando. Ieri sono stato civile.»

Gli prendo con delicatezza la mano ammaccata e ci passo sopra il cotone, tamponandogli la ferita: lui sotto i miei tocchi sembra rilassarsi. «Sì come no.»

«Non potrai disegnare per un po' di tempo», gli dico per distrarci.

Rifletto sulle mie stesse parole...Smetterà di venire qui? Non lo vedrò più? Non so se sarò in grado di gestire la sua assenza.

«Vorrà dire che dovrò inventarmi qualcos'altro da fare, qui dentro.»

Ho un tuffo al cuore, per questa sua risposta.

«Non farmi preoccupare», dico d'istinto.

Lui rimane immobile. «Ti faccio preoccupare?»

«Sì»

Mi concentro sulla sua mano, perché sarebbe troppo difficile guardarlo negli occhi, e anche lui cambia argomento.

«Mercoledì, ci sarà la prima partita di campionato», dice, «Da quel che mi ha detto Tyler, sarà in casa, quindi alla Mordale. Perché non vieni a vedere la partita? Tyler ne sarebbe contento.»

«Tyler? Quel Tyler che ha rinchiuso la mia migliore amica dentro un seminterrato?»

Sospira. «Erano entrambi ubriachi.»

«Lo stai giustificando?»

«No, ma lo sai meglio di me che ha problemi a gestire le sue emozioni.»

«Un buon motivo per non venire. Non mi voglio trovare in mezzo a queste cose.»

«Una volta, tu e lui eravate amici.»

«Anche io e te. Eppure, guardaci adesso.», ribatto.

Crolla il silenzio.

Scuote il capo. «Se cambi idea fammi sapere, posso passare a prenderti.»

Annuisco, e malgrado tutto... Malgrado, Ryan mi abbia proposto di andare alla partita solo per fare contento Tyler... sono elettrizzata solo all'idea di passare una serata insieme a lui, anche se staremo in mezzo ad altra gente.

«Di cosa volevi parlarmi, prima?», gli chiedo.

Il suo sguardo guizza altrove, alla ricerca di qualcosa da guardare che non sia io. «Abbiamo un problema. A quanto pare, il tizio che abbiamo legato nel camion dopo le corse è uno dei Lombardo. Quanto è piccolo il mondo, vero?»

«Sì, l'ho saputo.»

«Davvero? E come?»

Non rispondo.

«Tanto non ha importanza», dice, «Ma se adesso non sistemo le cose...»

La sua voce è impregnata di autorevolezza, e di sconforto. Il peso del mondo gli grava sulle spalle, sempre, e io non posso vederlo così.

«Non dovrebbe spettare sempre a te sistemare le cose. Insomma, non lo trovo giusto.»

Ride aspro, e sulla bocca di qualcun altro quella risata sarebbe stata crudele. «Non lo sapevi? La vita non è giusta

Senza volerlo, aumento la pressione sulla sua mano. Trattiene un gemito di sofferenza, ma non si muove.

«Scusa», soffio.

«Non ti scusare, è tutto okay.»

Ha una mano maciullata e ha una taglia sulla testa, per colpa dei suoi fratelli e del casino con i Lombardo: non vedo come potrebbe essere tutto okay, ma non dico niente, per non peggiorare il suo umore.

Gli fascio la ferita. «Cerca di tenerla ferma nei prossimi giorni», mi raccomando con lui.

«Senti, Arya. C'è una cosa che voglio che tu faccia per me.», sussurra e abbassa lo sguardo sulla sua felpa, poggiata sul pavimento ai nostri piedi, «Nella tasca, c'è una pistola. Devi prenderla tu.»

«Cosa

«Devi averla sempre a portata di mano, nel caso in cui...»

«I Lombardo si ricordino di me.», finisco la frase.

Dopotutto, ero la ragazzina che, fino a qualche anno fa, se ne andava sempre in giro con i Mackenzie.

«È l'inizio di una guerra.», dice Ryan, «Non voglio coinvolgerti.»

«Per questo mi dai la tua pistola?»

Tira un sospiro di pesante sopportazione.

«È solo una questione di sicurezza.», dice e la sua voce sembra consumata.

«Non esiste la sicurezza, quando ci sono di mezzo le pistole.»

Ryan respira forte, per controllarsi, ma poi batte il pugno sulla vasca così forte da farla tremare. «Cazzo.», dice. «Non vuoi mai darmi retta.»

«Ti stai facendo del male», mormoro, incapace di fare alcunché.

«No. Tu mi stai facendo male.»

A vederlo così il cuore mi si stringe in un nodo. Nonostante tutto, non si merita quello che gli sta capitando.

Gli tocco i capelli, gli scosto un ciuffo castano dagli occhi e gli accarezzo la fronte.

Lui chiude le palpebre e inspira come se l'aria fosse pregna del suo profumo preferito.

Toccargli i capelli, averlo così vicino, così uomo e così robusto, mi fa capire che non potremo mai più tornare quelli di una volta.

«Promettimi che terrai vicino a te, quella pistola.», sussurra, «Non ti chiedo altro. Se vuoi posso anche sparire dalla circolazione, ma tienila vicino a te. Promettilo

Non credo di avere alternative.

«Va bene, te lo prometto.»

Apre gli occhi e si alza, ancora a petto nudo. Mi supera e, senza voltarsi, dice: «A mercoledì.»

So che è una cosa infantile e ridicola ma, nonostante tutto, questa piccola promessa, mi scalda il cuore.

Mercoledì, ore 19,00

Bea

Sono seduta sugli spalti, con in braccio una ciotola di popcorn. C'è un sacco di gente, anche se la partita non è ancora iniziata.

In un certo senso, sono emozionata.

Qui alla Mordale non succede mai niente, e stasera rappresenta l'eccezione.

L'evento più atteso dell'anno, oltre ai vari balli e le mostre dei progetti scolastici, è il campionato di basket.

Non sono un'amante dello sport in generale, ma provo un fortissimo senso di appartenenza al team della nostra scuola.

A dire il vero, sono una fan sfegatata dei Cavaliers, la nostra squadra, dal primo anno di superiori.

Non mi perdo quasi mai una partita, ma se stasera sono venuta qui, dopo il casino che è successo con Tyler è anche per merito di Lucas: questa mattina, durante biologia, mi ha praticamente pregato in ginocchio di venire.

Cassie è seduta accanto a me, e ticchetta il pavimento con la suola delle Vans, ha la schiena gobba e le spalle chiuse, come se cercasse di occupare il minor spazio possibile nel mondo.

Non credo che sia in ansia per la partita.

Perlustro tra il pubblico. Clayton e Killian Mackenzie sono sopra di noi, avvolti nella solita aria di mistero. Ah, ecco perché Cassie è così a disagio, praticamente Clayton la sta puntando come un avvoltoio.

«Non farti intimorire da quello», le sussurro, «Tu sei più forte.»

Cassie annuisce, ma in realtà il consiglio è come se l'avessi dato a me stessa: sono più forte di lui.

Dopo la serata di venerdì al Lion's, dopo che quel mongoloide di Tyler mi ha rinchiusa dentro un cazzo di seminterrato assieme a un mafioso legato a una seggiola, ho sviluppato una sensazione di orrore che mi porto dietro da giorni.

Un'esperienza che ha riportato a galla sensazioni che avevo rinchiuso nei recessi della mia mente.

Mi sono sentita fragile e oppressa come quella volta.

Quella volta di otto mesi fa non la scorderò mai.

Non posso scordarla, ma neanche ricordarla: è una sensazione troppo strana, come se i miei ricordi fossero stati rinchiusi in un database dalla password criptata.

Quella volta non sono neanche sicura di averla vissuta proprio io.

Ero io? È successo proprio a me?

Ho solo un nome in testa: Josh Green.

Un nome che ho inciso nel cervello.

Neanche le mie amiche se ne sono accorte, perché troppo abituate a vedermi forte come un uragano. Quando c'è un problema, io reagisco e divento più forte di prima all'apparenza.

Da quel giorno di otto mesi fa, sono cambiata.

Sono piombata dentro una vita desolante, ma poi è come se quella desolazione fosse diventata una sorta di arma, o una sorta di risorsa.

Comunque, qualsiasi cosa sia, ci ho fatto l'abitudine.

Mi sento strana, proverò a spiegarlo con una metafora.

Appena chiudi gli occhi vedi il buio, ma se poi continui a tenere gli occhi chiusi e ti concentri... Comincerai a vedere la luce. È più o meno così che mi sento.

Mi giro verso Cassie.

«Comunque...», dico a Cassie, «Notizie di Arya?»

Sgranocchio i miei popcorn.

«Arya ha detto che arriva con Ryan.»

«Ah, prima ci fa la ramanzina e poi si comporta peggio di noi.»

Io e Cassie ridiamo entrambe, e le passo i popcorn per solidarietà, però lei rifiuta con un cenno della mano.

Gli atleti fanno il loro ingresso nel campo, con le divise arancioni e il logo nero del nostro istituto: sono accolti da cori e fischi di consenso.

Individuo Tyler che sta correndo e saltando in aria in modo così agile, che potrebbe essere capace di volare.

La folla è pronta per adorarlo, già lo so. Le cheerleader, compresa Meredith, lanciano un urlo fortissimo, seguito da incitamenti vari a ritmo: "Mackenzie! Mackenzie! Mackenzie!"

Provo una sensazione interna di fastidio e imbarazzo.

È da lunedì che cerco di ignorarlo anche a scuola, ma ogni tanto mi sorprendo a guardarlo, come per esempio sta mattina: mordicchiava la gomma di una matita, e osservava il foglio traslucido del test di storia, con concentrazione.

Le sue labbra su quella matita erano un bocciolo di rosa brillante, si schiudevano soavi, emettendo sospiri leggerissimi; quei denti bianchi e umidi sembravano fatti apposta per mordere.

La sua felpa è a casa mia; la prossima volta che la trovo in giro, dovrò ricordarmi di buttarla in un cassonetto.

La squadra raggiunge il Coach Carter, in piedi con un fischietto tra le labbra.

Poi, ci sono gli avversari con la divisa blu, che non ricevono altrettanto affetto.

La partita inizierà tra dieci minuti, secondo il tabellone.

Tyler si volta a controllare gli spalti e il suo sguardo da sbruffone si sofferma su di me.

Gli alzo il dito medio.

Cassie mi sta analizzando, come se si aspettasse che esprima un'argomentazione in proposito.

«Spero che Mackenzie si sloghi una caviglia.», spiego.

«Ma non vuoi che i Cavaliers vincano?», dice un po' incerta.

«Ma certo che sì... E poi auguro a Mackenzie salti di gioia e soffitti bassi.»

«Sei senza pietà.»

Lucas sta correndo nella mia direzione, con un sorriso stampato in faccia. «Ehi, Bea sei qui alla fine!»

«Non potevo mancare!», rispondo alzandomi, scavalco Cassie e raggiungo il campo; ci scambiamo due baci rapidi sulle guance.

Non potevo mancare, visto che sta mattina hai insistito per mezz'ora, penso, ma non lo dico.

«La partita di oggi sarà impegnativa, gli avversari sono degli assatanati.», indica un tizio con il doppio taglio e una cicatrice sul sopracciglio, che sta tirando al canestro.

«Ve la caverete», lo rassicuro, poggiando i gomiti sul ferro e mi sporgo verso di lui.

Lucas sorride imbarazzato, sta balbettando qualcosa, ma poi arriva qualcuno a interromperci.

«In campo! Muoviti!», dice Tyler all'amico, che obbedisce senza battere ciglio. Senza neanche salutarmi.

Mi dileguo immediatamente, salendo il primo gradino per tornare al mio posto, però la sua voce è così profonda che risuona per tutti gli spalti.

«Ei, dove te ne vai gnometta? Scappi

Mi giro, per ritrovarmi faccia a faccia con lui.

Sono a un'altezza superiore rispetto a lui, che ha la testa piegata all'indietro, per consentirgli di guardarmi meglio.

Il collo bianco in bella mostra, i riccioli biondi sciolti e la canottiera della squadra così larga che si intravedono i pettorali. Non esiste un essere vivente più bello e più insopportabile di lui.

«Scappo, sì. Da te.»

In mano ha un pallone da basket, che stringe, gonfiando i bicipiti. Inspira col naso, intransigente.

«Voglio parlarti. Posso?»

«Dopo ciò che hai fatto venerdì? Affogati!»

Ridacchia. «Soltanto un secondo!»

«Uno. Tempo scaduto.», faccio di nuovo per andarmene, ma lui aggiunge.

«Cosa ci facevi prima, insieme alla mia brutta copia?»

Sbarro gli occhi, allibita: si riferisce a Lucas, anche lui biondiccio, occhi marroni e dalla corporatura longilinea.

Cambio idea: non voglio andarmene, voglio dirgliene quattro.

Scendo i gradini, con lentezza e con quella che spero sia classe.

Mi appoggio alla sbarra che separa il pubblico dal campo di gioco e anche lui ci si appoggia. Le sue mani penzolano vicine al mio corpo. I serpenti d'inchiostro sulle sue dita sembrano vivi.

«Hai un ego smisurato, Mackenzie.», mormoro.

Avvicina la testa alla mia, e aggrotta la fronte, sussurrando. «E non solo l'ego, Evans.»

Ha un sorrisetto urticante.

«Che schifo.»

La sua voce roca è così bassa da essere appena sopra la soglia dell'udibilità. «Sta' lontana dai miei amici, se non sei in cerca di guai.»

«Forse non ti è chiaro, che io faccio quel che mi pare.»

Mi guarda con due occhi che sembrano un cielo in tempesta, e si scosta dalla sbarra.

Fa' rimbalzare la palla a terra, un paio di volte, con distrazione, come se non mi avesse sentito affatto. «Facciamo una scommessa. Se stasera vinco, mi darai la possibilità di parlarti. Ci stai?»

Alzo un sopracciglio.

«Le scommesse non sono il tuo forte.», gli ricordo.

«È vero. Proprio per questo, ti conviene giocare.»

Incrocio le braccia, in segno di sfida e scetticismo. «Se vinco io, invece, cosa ottengo, Tyler?»

Si inumidisce le labbra rosse e turgide. «Ti ricordi con che cosa ti legavi i capelli da bambina?», dalla tasca dei pantaloncini sfila un nastro rosa, un po' logoro e sfilacciato. «Se vinci tu, te lo ridò.»

O porca troia...

No. Non può essere.

Non ci credo.

Il mio nastro.

Quello che mi regalò mia madre quando da piccola fui ricoverata in ospedale per un'infezione batterica.

Lo stesso nastro che ho indossato nelle occasioni più importanti, che non mi toglievo mai, che faceva parte di me, come uno strato di pelle.

Lo stesso nastro che credevo di aver perso... E per cui ho passato notti intere a piangere disperata...

«Lo hai tenuto tu, per tutto questo tempo?», chiedo quasi senza voce.

«E lo terrò ancora.», dice e il suo sorriso si apre, magnifico e disarmante, «Cazzo Evans, se vincerò questa partita.»

«Stai dando per scontato che io abbia accettato di giocare.»

«Non è così?»

«Dimmi come hai fatto ad avere quel nastro.»

La domanda giusta, però, non sarebbe come, ma sarebbe perché... Perché rubarmelo, perché conservarlo...

Proprio in questo istante, arrivano Arya e Ryan, che camminano tra la folla, attenti a non calpestare le scarpe di nessuno.

Me ne accorgo perché Tyler alza immediatamente gli occhi, che gli si illuminano. Si porta due dita alla bocca, le incastra tra le labbra e gli esce un fischio micidiale. Poi, alza un braccio, per farsi vedere da Arya e suo fratello.

«Ciao Ty!», sento dire dalla mia amica in lontananza. «In bocca al lupo!»

Il coach fischia per richiamare i suoi atleti corrono verso il centro del campo.

«In bocca al lupo a te, Evans», dice Tyler strizzandomi un occhio.

Non posso crederci, di essermi appena fatta incastrare.

Cassie

Stiamo vincendo di qualche punto, la partita sta per finire e la gente è impazzita: sventolano striscioni, gridano, cantano, fanno i cori; io, Arya e Bea siamo circondate da scrosci di applausi.

Sono contenta che i Cavaliers stiano vincendo, ma non oso manifestare entusiasmo, dato che Bea è di pessimo umore, così pessimo che sembra stata morsa da una tarantola.

In realtà , sto cercando a tutti i costi di nascondermi, perché alle mie spalle c'è Clayton, e ogni volta sotto il suo sguardo temo che potrei scomparire, come se lui potesse dissolvermi con la sola forza del pensiero e trasformarmi in cenere.

Dopo avergli scritto, esigendo spiegazioni su come tornata dal Lion's, non è stato in grado di rivelarmi la verità sull'altra sera.

"Vienitela a prendere, sai dove trovarmi."

Ma cosa significa? Cosa vuole che faccia? Non riesco a smettere di tormentarmi sulle sue risposte ambigue ed elusive.

Prima, mi minaccia di tenere il naso fuori dai suoi affari, poi mi invita a cercarlo, mi riporta a casa, mi provoca i piaceri più intesi di tutta la mia vita... Penso di esserne spaventata a morte.

Clayton ha venduto l'anima al diavolo, ma c'è qualcosa di molto sensuale e fragile nel peccato. Ripenso a tutte le conversazioni tra me e il ragazzo riservato, mi chiedo come sia possibile che quel ragazzo pieno di sofferenza in realtà non esista.

Sono stata un'illusa ad aver creduto di aver incontrato qualcuno simile a me, qualcuno in grado di capirmi.

Forse, dietro la sua maschera di freddezza si nasconde il ragazzo con cui ho parlato per mesi, che mi ha confessato le sue fragilità come se si fidasse sul serio.

Clayton potrebbe essere molto più di quello che vuole far vedere, ma non mi importa più ormai...

Mi giro, nascondendo la faccia tra i capelli e i suoi occhi color ossidiana sono già su di me, attenti e indiscreti come uno scanner.

"Vienitela a prendere, sai dove trovarmi."

Gli piace giocare, gli piace il caos e io sono la persona più adatta per accontentarlo. Estraggo il cellulare dalla tasca e gli scrivo un messaggio.

Tu: Ti aspetto nei corridoi,
mettiamo fine a questa cosa
una volta per tutte.

Dico a Bea e Arya che devo andare al bagno, ma dove sto andando lo so bene e forse non è una grande idea, sottostare agli enigmi di un malato di mente, dovrei lasciarlo perdere e accettare la distanza che lui ha messo con il resto del mondo.

Non dovrei intestardirmi con i giochini psicologici di uno splendido psicopatico.

È l'ultima volta, mi ripeto.

Corro via dalla gente, dalla partita, dai palloni che sbattono contro il pavimento, lontana dalle scarpe che sfrusciano sul pavimento lucido.

Mi immergo nel silenzio e nel buio.

Raggiungo gli armadietti, e quindi il corridoio, ripassando mentalmente le parole che in questi giorni mi sono ripromessa di pronunciare semmai lo avessi incontrato. Non aveva il diritto di riportarmi a casa.

Non era autorizzato a farlo. È una sensazione devastante quella che provo. L'idea che lui possa aver fatto di me ciò che voleva, mi fa arrabbiare con me stessa al punto che mi prenderei a pizze in faccia, e non saprei nemmeno dire se è per orgoglio o per paura.

Lo aspetto per cinque minuti interi, e poi lo sento arrivare.

Una sagoma alta e possente che giocherella con le chiavi della sua moto, seguita da un profumo intenso e avvolgente.

Occhi neri come la morte e viluppi di ombre, occhi pronti a bruciare, situati sopra due zigomi sporgenti e in mezzo a una pelle di alabastro, di un bianco lattiginoso e levigato.

Un brivido di paura mi gela la colonna vertebrale.

Non smette di camminare nella mia direzione e si ferma solo quando arriva a a un passo da me.

«Dovremmo smetterla di incontrarci così», dice.

Il suo sorriso bianco mi illumina.

È dannatamente bello, al punto che perfino il suo teschio risulterebbe attraente.

«Così come?», chiedo completamente ottenebrata dalla visione dei suoi morbidi capelli scuri.

«Come se avessimo qualcosa da dirci.», dice con tono perfido.

Incasso il colpo, senza dare a vedere il dolore che mi procura.

«Questo tuo modo di fare... Fingere sempre che non ti importi... Non ti stanca dopo un po'?»

Eppure, dovrei imparare dai miei stessi errori e scolpirlo bene nella mia mente: lui non è chi credevo che fosse.

Assume un tono duro, e si avvicina ancora di più a me. «Che fai? Ora mi psicanalizzi?»

«Cerco solo di capirti.»

«E ti diverte?», la sua voce impersonale e profonda mi entra nella carne, «Dimmi, ti diverte, non capirci un cazzo?»

«No.», ammetto, «Non mi diverte affatto.»

Ne è compiaciuto. «Perfetto.»

«Ti comporti come se non provassi niente ...»

Il suo sguardo implacabile, incorniciato da folte ciglia, scava dentro di me una fossa senza fondo.«Come ti sentiresti se scoprissi che io non provo davvero niente?»

«Se non provassi niente non saresti qui.»

Infila le mani nella giacca di pelle nera. «Non illuderti.»

«Non sembri molto convinto.»

Le sue labbra piene e morbide a stento si muovono quando parla. «Tu non sai come sembro.»

Infilo le unghie dentro i palmi delle mani.

Deglutisco e riprendo fiato. «Voglio sapere cos'è successo l'altra notte. Se sei stato tu a portarmi a casa, sappi che non ne avevi il diritto...»

«Allora, non avresti dovuto farlo.»

«Cosa?»

«Implorarmi di portarti via.»

Ho la mente annebbiata. Non riesco a ricordare, in testa ho solo un flash di luci e immagini sfocate. È così frustrante non avere punti di riferimento, ma non mi fido di lui e della sua versione dei fatti: non credo a una singola parola di ciò che dice.

«È successo qualcosa tra noi che dovrei sapere?»

Ho paura della possibile risposta.

Il suo petto è sempre più vicino al mio viso. Con due dita mi alza il mento e mi costringe a guardarlo. Sembro un uccellino ipnotizzato da un serpente. La gola mi si stringe e inizio a sudare.

«Vuoi sapere come è andata?»

«Sì»

«Hai bevuto così tanto da non riuscire a stare in piedi. Ti ho trovata stesa su un cazzo di angolino. Quando mi hai visto, hai ripetuto più volte il mio nome: mi hai supplicato di portarti via.

«Quando siamo saliti sulla mia moto, per assicurarmi che non cadessi..», dice, «Ti ho fatta mettere davanti. E, credimi, è stato difficile.»

«Difficile?»

Le sue dita, prima sul mio mento, tracciano una linea verticale sul collo, fino ad arrivare alle clavicole. Non mi ricordo più come si respira. «È difficile guidare con il cazzo duro, Cassie.»

Arrossisco violentemente. Non devo immaginarmelo: io sulla sua moto, tra le sue gambe, contro il suo coso...

«Tutto qui?», chiedo.

«Sei sorpresa.»

Non mi fido di Clayton, ma...«Vuoi dire che mi hai riportata a casa e basta?»

Il polpastrello del suo pollice mi sfiora il labbro inferiore. «Vedi, Cassie, per quanto mi affascini l'idea di portare un angelo sulla cattiva strada...il mio cazzo te lo devi meritare.»

Che cosa?

Dio mio, quanto lo odio.

"Il mio cazzo te lo devi meritare": non so se sentirmi meglio o peggio.

«Non allarmarti, ti ho fatto mettere il casco.», aggiunge.

Mi viene da piangere: neanche ci avevo pensato al casco.

Questa storia che mi sta raccontando è assurda. Uno come lui che non approfitta di una situazione del genere...

Non posso credergli.

Lui sembra uscito da una favola, ma è vestito di peccato, tenebre e oscurità.

Lui è un adulatore. Vorrei solo odiarlo come dovrei, ma...quando gli sono così vicina è come se tutto ciò che mi ha fatto venisse risucchiato nell'oblio.

«Non ne avevi il diritto...», ripeto.

«Un piccolo appunto per le prossime volte, se non vuoi che qualcuno che detesti ti carichi in moto...Evita, magari, di bere fino a non ricordarti neanche come ti chiami.»

Sentiamo squillare qualcosa e cambia espressione. «Un attimo, mi stanno cercando.», porta il cellulare all'orecchio. «Ryan?»

2 ore prima.
Kara

È la quarta sigaretta di fila, dovrei darmi una regolata.

Giocherello con l'etichetta del pacchetto delle Lucky e mi appoggio al muro, scrutando il marciapiede.

Sto aspettando da troppo, loro sono in ritardo, e tra cinque minuti me ne andrò: Kara Jones non aspetta nessuno, nemmeno i Lombardo.

La strada è piena di smog, c'è una fitta nebbia forata solo dalle luci rosse delle auto.

Una macchina nera decappottabile frena, salendo con le gomme sul marciapiede. Due ragazzi con gli occhiali da sole si voltano nella mia direzione.

Parlano prima tra di loro.

«Kara Jones?», dice quello alla guida.

Annuisco.

«Mi chiamo Tony Lombardo, e lui è mio fratello Nicholas. Siamo i cugini di James. So che hai da dirci qualcosa su nostro cugino.»

«So chi l'ha rapito», dico.

Tony si toglie gli occhiali, piantando le sue gemme blu su di me. «Bene, e sai anche dirci chi è stato, bambolina?»

«I Mackenzie, naturalmente.»

«Naturalmente.», ripete. «Chi tra i quattro?»

«Il più piccolo. Aveva un debito con James che non è riuscito a saldare.»

«Sai dove si trova adesso?»

«Adesso no, ma stasera si troverà a scuola, ci sarà una partita di basket.»

«Un debito, hai detto? Sali, così ci spieghi meglio.»

Obbedisco, e afferro la maniglia.

Arya

Ryan è al telefono con Clayton, e prima era al telefono con Bea che ha chiamato con il cellulare di Tyler ma non ho capito qual è il problema.

Sto impazzendo, ho bisogno di sapere che sta succedendo.

«Fuori, in cortile. Ora.», dice Ryan a Clayton mentre camminiamo verso l'uscita.

Inizia a correre e io lo inseguo. La partita è finita e la gente è accalcata in mezzo al campo, a festeggiare gli atleti del nostro istituto. Per uscire da qui dobbiamo fare lo slalom. Killian, dietro di noi, sta maledicendo tutti.

Quando arriviamo in cortile, il vento funesto mi graffia la faccia. Sembra tutto deserto e pacifico, ma non è così.

Intravedo in lontananza qualcosa di raccapricciante. Ryan cammina come se stesse andando al patibolo.

Bea è accovacciata su un corpo disteso sull'asfalto: mi avvicino e capisco che si tratta di Tyler, ricoperto di sangue; dal naso gli cola del sangue rosso cupo e scuro come inchiostro secco, e ha dei lividi violacei sugli zigomi. Ha una mano premuta sulla costola destra.

Bea ha il volto rigato di lacrime.

«Ma cosa sta succedendo qui?», chiedo disperata.

«Sono arrivati degli uomini», spiega Bea singhiozzando e con una mano tra i capelli di Tyler, «Erano troppi, più di dieci, Tyler si è difeso bene, ha tenuto testa a tutti, ma poi lo hanno immobilizzato e lo hanno... lo hanno picchiato con le pistole... È colpa mia, lui ha reagito solo per difendermi.»

«Ti sei difesa da sola», sussurra Tyler, «Al pelato gli hai tirato un gran bel pugno.»

«Porca troia, taci!», strilla Bea.

Ryan si accovaccia, lo sguardo vacuo e vacillante, e posa una mano sulla spalla di Bea.«Chi è stato?»

Lei scuote la testa.

Ryan fissa suo fratello, inerme e con le narici dilatate.

Tyler prova a parlare, ma non gli esce molto la voce. «Sicari dei Lombardo.», dice e poi ci guardiamo. Ho la vista appannata, sintomo che le lacrime stanno tracimando.

Agli angoli della bocca, Tyler ha un piccolo sorriso nascosto. «Grazie per essere venuta a vedermi, leonessa.», dice.

Mi accuccio accanto a lui e gli prendo la mano: se dice qualche altra stronzata, mi metterò a piangere come una fontana. «Dio mio, Ty, sta' zitto.», gli dico. Lui si batte una mano contro il petto tre volte e con le dita raffigura la metà di un cuore.

Nei suoi occhi castani brilla una reminiscenza del passato; certe cose non si dimenticano, non si cancellano, vanno oltre il tempo, oltre gli impedimenti, oltre qualsiasi volontà.

Mi faccio distrarre da un rumore di passi, e arrivano anche Cassie e Clayton, quest'ultimo affianca Ryan con i pugni stretti.

«Coraggio, aiutatemi a sollevarlo», dice Ryan ai fratelli, Killian è bianco come le uova dei ragni. Non l'ho mai visto così sconvolto. «Portiamolo a casa.»



Spazio autrice

Il capitolo più lungo che abbia mai scritto quindi spero possiate perdonarmi se non sarà tutto perfetto😭

In compenso, posso dire di averlo revisionato abbastanza ma avevo anche voglia di farlo leggere il prima possibile quindi: capitemi.

La questione con i Lombardo si è ufficialmente aperta,
gioite ora finché potete, perché d'ora in poi non sapete cosa vi aspetta😭

So che siamo solo all'inizio ma per tutto l'affetto che mi state dando, che state dando a questa storia mi sento di dirvi
Grazie.
Mi stupite sempre.

💃🏻

Vi aspetto su Instagram per parlare: scarlettxstories

Vi voglio bene♥️

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