Tecum

Autorstwa azurahelianthus

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#2 VOLUME DELLA SERIE CROSSED PATHS "𝐿𝑒𝑖 π‘’π‘Ÿπ‘Ž π‘Žπ‘›π‘π‘œπ‘Ÿπ‘Ž π‘’π‘›π‘Ž π‘›π‘œπ‘‘π‘‘π‘’ π‘ π‘’π‘›π‘§π‘Ž 𝑠𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑒... WiΔ™cej

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I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VIII.
IX
X.
XI.
XII.
XIII.
XIV.
XV.
XVI.
XVII.
XVIII
XIX.
XX.
XXI.
XXII.
XXIII.
XXIV.
XXV.
XXVI.
XXVII.
XXVIII.
XXIX.
XXX.
XXXI.
XXXII.
XXXIII.
XXXIV.
XXXV.
XXXVI.
XXXVII.
XXXVIII.
XXXIX.
XL.
XLI.
XLII.
XLIII.
XLIV.
XLV.
XLVI.
XLVII.
XLVIII.
XLIX.
L.
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𝐔𝐍𝐀 𝐋𝐄𝐓𝐓𝐄𝐑𝐀 𝐏𝐄𝐑 𝐓𝐄
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VII.

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Autorstwa azurahelianthus

Il dormitorio femminile era più triste di quello che mi aspettassi, ma soprattutto non molto lontano da quello maschile, visto che un solo corridoio divideva la parte sinistra, dove eravamo noi, da quella destra.

Avevo scoperto anche che la mia compagna di stanza, per ironia della sorte, fosse "l'altra ragazza nuova", ovvero Ximena, mentre Honey era in camera con niente di meno che Nezha. Mi parlò di lei e mi raccontò di quanto fosse solitaria, seppur molto simpatica, e di quanto la sua vita qui non fosse facile. A quanto pare, per un motivo o per un altro, finiva sempre nell'ufficio di Denholm ma nessuno sapeva o aveva anche solo l'idea di cosa succedesse tra i due. Per questo non era ben vista dal resto degli orfani, perché l'idea comune era che andasse a letto con lui in modo consenziente, quasi come se avessero una relazione extra-coniugale, e per me fu una teoria agghiacciante. La sindrome di Stoccolma non era stata considerata nel nostro piano.

Di Ximena non disse molto, poiché era lì solo da qualche giorno, ma tutti avevano notato il suo occhio di riguardo verso Nezha, ma nessuno le chiedeva nulla perché intimoriti dal suo carattere forte. Era salva, disse, e aveva imparato a non pestare i piedi alle persone sbagliate. Quali fossero queste persone, però, non lo disse mai.

Rimasi sola in quella stanza dai colori grigi e spenti fino alla sera, non avevo voglia di sfidare Denholm il primo giorno, e quando piegai l'ultimo vestito, nascosto tra i tanti pigiami, la mia compagna di stanza finalmente tornò.

Le guardai i capelli con sdegno. «Ma che hai fatto? Hai litigato con un piccione nel venire qui? A quanto pare ha vinto lui...».

Mi osservò con occhi lucidi e il respiro corto. «Non credevo mi fosse più concesso essere rimproverata da te per il mio aspetto estetico».

Non mi lasciò il tempo necessario per ribattere. Si fiondò su di me per stringermi con forza, spostando le mani lungo tutto il mio corpo come aveva fatto Erazm giorni prima, quasi come se volesse essere sicura di star abbracciando un corpo fatto di ossa e muscoli veri. Quell'abbraccio fu la seconda azione che riportò un pezzo del mio cuore al suo posto e quasi mi lasciai andare alla speranza che un giorno sarebbe tornato intero. Che un qualcosa di fragile e duro come il vetro sarebbe stato in grado di tornare nella forma in cui era nato, senza alcuna deturpazione crudele.

«Quando Rut mi ha raccontato tutto non potevo crederci. Ho passato le ore di lezione con un peso sullo stomaco e ho ingurgitato il cibo della mensa come se fosse acqua per correre qui il prima possibile. Non hai idea di quanto tu mi sia mancata, Arya». Le tremò la voce.

La mia, invece, si spezzò proprio. «Ti mancavo? Sul serio?».

Si allontanò solo per guardarmi in faccia. «Ovvio che sì!». Mi schiaffeggiò il braccio. «Sei l'unica amica che io abbia mai avuto. Mi hai sempre difeso dal brusco carattere di Rut ogni volta che potevi, mi hai insegnato tanto, non solo come difendermi, e mi hai fatto capire che in me non c'era nulla di sbagliato. Ti sei sacrificata per me, per tutti noi, tu...».

«Xim?». Mi preoccupai, quando la vidi chiudere gli occhi di scatto.

Scosse la testa. «A differenza degli altri io non sono arrabbiata con te per il tuo gesto. Non perché so che non avevamo altra scelta, né perché mi ero resa conto che eravamo spacciati contro tutti quei Moloch, ma perché io al tuo posto avrei fatto lo stesso. Mi hai salvato, ci hai salvato tutti. Sei stata la nostra salvezza, Arya Buras».

Sentirsi così importanti per qualcuno non era una sensazione a cui ero abituata, ma mi scaldò come se ci fosse un camino a pochi centimetri da me. Capii che chi non desiderava essere amato, lo faceva solo perché non aveva mai provato come ci si sentisse.

«E voi siete stati la mia, anche se solo per poco tempo». Mi ritrovai quasi a gracchiare per colpa dello stretto nodo che mi serrava la gola.

Un lieve bussare alla porta, così delicato da non sentirsi nemmeno, mi arrivò all'orecchio senza problemi. Mi scostai dall'abbraccio della mia amica e parlai con il tono di voce più alto che fosse concesso dalle regole di quel lago di fuoco. «Avanti».

Ximena mi osservò confusa, probabilmente non aveva sentito nulla poiché non possedeva il mio stesso raffinato udito, ma sorrise lievemente quando vide Honey sbucare da dietro la porta di legno. Se la chiuse alle spalle con imbarazzo e sorrise ad entrambe. Indossava un pigiama molto carino, con dei panda stampati su tutto il tessuto di pile, e delle pantofole morbide a forma di Babbo Natale. Letteralmente, con tanto di cappello e barba.

«Volevo assicurarmi che Arya stesse bene, visto la nostra mancata cena e beh tutto il disc-».

Ximena quasi strillò. «Mancata cena?! Siete in punizione?». Honei annuì e io mi limitai ad alzare le spalle. «Perché?».

«Mi sono immischiata in una litigata tra lei e Melville, lui è diventato uno psicopatico furioso. Dantalian ci ha visti e mi ha difeso. Hanno iniziato a prendersi a pugni e il frastuono avrà destato i sospetti di-».

Mi interruppe con voce sprezzante. «Denholm». Scosse la testa con un'espressione improvvisamente furiosa. «E ovviamente voi due siete state punite, forse anche Dantalian, ma Melville-stupido-coglione no, giusto? Lui l'ha passata liscia, grazie al suo schifosissimo gruppo degli Élite...».

«Xim-». Mormorò Honey, tentando di interromperla.

«L'Èlite?». Mormorai confusa.

Non sembrò curarsene. «Lui e quella grande massa di scimmioni convinti di avere il potere assoluto dentro queste quattro mura. E Denholm che permette tutto questo? Peggio ancora! Solo una mente malata poteva creare regole del genere, ma creando anche l'Élite si è dannatamente superato il limite-».

Honey sospirò. «Ximena-».

Spostai lo sguardo, confusa, da una all'altra. «Non ci sto capendo nulla».

«Tutto questo è al limite dei diritti umani! Ma voi partner come fate a sopportarlo? È tutto così tossico, così possessivo, così...».

Aspetta un secondo. «Partner?». Osservai Honey.

Lei chiuse gli occhi e si sfregò le tempie con le dita esili. «Ximena, per l'amore di tutti gli dei-».

«...inumano, ecco cos'è!». Ximena strinse i pugni.

«Ximena!». Sussurrò Honey a voce alta, per quanto potesse, e andò a scuoterla per le spalle per rafforzare il concetto. «Lei non lo sa! Arya non sa nulla di questo, nessuno gliel'ha ancora spiegato!».

Lei sembrò risvegliarsi da una trance, come se una fitta nebbia si fosse finalmente dissipata. «Oh-».

«Non so di cosa state parlando, ma...». Mi sedetti su quello che sarebbe stato il mio letto per i prossimi mesi. «Tutto questo mi sta facendo venire il mal di testa e il mio cervello ha bisogno di una spiegazione».

Honey si scambiò un'occhiata d'intesa con Ximena e poi entrambe presero posto nel letto di quest'ultima, di fronte a me. «Quello che stai per sentire è la realtà più raccapricciante che possa esistere, ma resta la realtà, e ad essa non possiamo mai sfuggire, come sai bene».

«L'orfanotrofio si divide in due parti: gente come noi, normali persone che vengono trattate tutte allo stesso modo, e i cosiddetti "cocchi di Cox". Mi ricordo poche cose di quando ero una bambina, ma ricordo bene che all'inizio in questa categoria rientravano solo Melville e altri due bambini con cui stava sempre, erano un vero trio. Se facevano qualcosa la colpa andava sempre a qualcun'altro, oppure direttamente non venivano mai puniti, potevano accedere quando desideravano alla mensa, potevano usufruire del giardino e avevano sempre i giochi più nuovi». Gli occhi dolci e celesti, così chiari da sembrare quasi grigi, di Honey si lucidarono al ricordo del dolore che sicuramente aveva provato per tutti quei anni, forse sentendosi diversa.

Corrucciai la fronte. «Poi sono cresciuti e la cosa non è cambiata, vero?».

«Esatto, è andata solo a peggiorare». Iniziò a giocare con i lembi della gonna della divisa dell'orfanotrofio, quella che mi sarebbe arrivata domani prima delle lezioni. «Quando quasi tutti i ragazzi avevano più o meno dodici anni fu creato un gruppo, i cui componenti erano proprio loro, i cocchi del Signor Cox. Ma non erano più loro tre, adesso ne facevano parte altri tre ragazzi, diventando sei in totale. Nessuno capì mai secondo quale criterio fossero scelti, sta di fatto che, a parte loro, nessun'altro di nuovo entrò nel gruppo. Vennero chiamati "gli Élite" e quella fu la sola cosa diversa, perché per il resto era rimasto tutto uguale. Potevano fare senza problemi cose che a noi gente normale era del tutto vietata».

Sibilai tra i denti. «Che gran bastardata».

«Rimpiango quei tempi, perché ancora nessuno sapeva quanto le cose poi sarebbero peggiorate. Infatti, poco tempo dopo, il Signor Cox ebbe una nuova regola da annunciare...». Honey fu scossa da un brivido.

Ximena sospirò. «Hai presente la regola più importante, ovvero quella che vieta il totale contatto tra le persone del sesso opposto?». Annuii. «Ecco, durante quel giorno di cui parla Honey fu introdotta un'eccezione a quella regola così restrittiva».

«Oltre l'Èlite, il Signor Cox decise di donare ai suoi cocchi un nuovo gioco, più adatto alla loro età. Diede loro la possibilità, anche se a quanto si dice furono costretti, di scegliere una ragazza a loro piacimento che da quel momento sarebbe stata loro. Avrebbero potuto fare tutto ciò che agli altri era proibito, compreso toccarsi, bastava mantenere il decoro di limitarsi solo a delle carezze in pubblico, durante le lezioni e alla mensa. La scelta, però, sarebbe stata definitiva. Una sola ragazza e mai più nessun'altra...». Honey chiuse gli occhi e inspirò.

La mia bocca era ormai spalancata. «Ma è la cosa più sessista che abbia mai sentito. È abitudine trattare le donne come carne da macello qui?».

Lei annuì. «Le poche volte che sentiamo che arriveranno nuovi ragazzi qui, preghiamo tutti che siano maschi e non femmine. Anche dopo tutti questi anni noi non ci siamo mai abituate, anche se ci siamo nate, pensa quanto devastante debba essere per qualcuno che non ha mai vissuto qualcosa di così limitante».

«La prima volta che Nezha me ne ha parlato, ho seriamente pensato a mille modi per fuggire da questo posto che sembra essere l'inferno sulla terra». Mormorò Ximena, scoccandomi un'occhiata penetrante.

Improvvisamente mi si illuminò il cervello come la città di Las Vegas e mi venne la nausea. «Tu sei la ragazza che ha scelto Melville?».

Honey si morse le labbra tremanti e annuì. «Sono la sua "ragazza", il suo giocattolino, la camomilla per la rabbia che porta dentro. Mi ha scelto all'istante quel giorno, non ci ha neanche pensato troppo, mentre a me cadeva il mondo addosso e mi cade tutt'ora quando qualcosa mi ricorda che gli appartengo nel senso più brutto possibile, come carne da macello. Sono la sua partner».

Inspirai. «È così che venite chiamate?». Annuì. «È una cosa orribile!».

«Vorrei dire che ci ho fatto l'abitudine, ma... non è così». Sussurrò e mi fece una tenerezza così elevata che ero sul punto di alzarmi per stringerla forte. «A volte, fingo che Melville sia più di ciò che è, che quella cosa che ci lega sia più di una stupida targhetta, uno stupido nomignolo».

Volevo aiutarla, ma non sapevo come. Ximena le accarezzò la schiena in lenti cerchi. «Se hai bisogno di aiuto, in qualsiasi momento, noi-».

Il suono acuto di una campanella penetrò con violenza perfino la nostra stanza, malgrado la porta chiusa. Honey balzò in piedi con un'espressione di panico.

«Cos'è?». Alzai un sopracciglio confusa.

Lei si allontanò velocemente verso la porta, mentre Ximena mi scoccava un'occhiata annoiata e profondamente triste. «Il suono che segna l'inizio del coprifuoco. Da adesso, fino alle 7, non si può più uscire dalle proprie stanze. Almeno noi "gente normale", gli Élite...». Lasciò la frase in sospeso ma io capii perfettamente, purtroppo.

Honey ci diede una buonanotte affrettata e sparì, chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo sordo.

Ximena sospirò ancora. «Vado a mettermi il pigiama per dare inizio ad una delle tantissime altre serate di merda. Almeno ci sei tu con me ora». Prese l'occorrente e sparì nel bagno, che poche ore prima avevo esaminato.

Al suo interno c'era uno specchio, un lavandino al di sotto e un wc, ma non una vasca o una doccia. Perché quella, ovviamente, era in comune. Mi vennero brividi di ribrezzo lungo tutto il corpo. Mi avvicinai al mio letto per scostare le coperte, pronta a infilarmi dentro, e mi chiesi se in questo castello enorme esistesse una libreria. Leggere un libro la sera mi avrebbe fatto piacere.

Controllai il mio telefono, nascosto tra alcuni indumenti mai usati e dei pugnali in un borsone sotto il letto, e sorrisi nel vedere il messaggio della buonanotte di Erazm. Non me la faceva mancare mai, in qualsiasi circostanza ci trovassimo. Risposi alla buonanotte e pensai di mandargli una foto con Ximena appena essa sarebbe tornata in camera.

Un colpo alla porta mi fece sobbalzare. Ne seguirono due più lievi e poi, avvicinandomi, sentii un rumore metallico. Aspettai altri rumori ma non se ne presentò più nessuno e in quel momento aprii la porta, che cigolò, e la luce della stanza illuminò una parte del corridoio. Era totalmente buio, ma vidi una sagoma allontanarsi sempre di più verso il corridoio maschile.

Abbassai lo sguardo sul vassoio di metallo rosso ai miei piedi e lo portai dentro, osservandolo con sospetto. C'era un sandwich con lattuga e ciò che credevo fosse prosciutto, del purè e una bottiglietta d'acqua. Al suo lato, poggiata proprio su di essa, si trovava un foglietto.


𝑀𝑖 𝑑𝑖𝑠𝑝𝑖𝑎𝑐𝑒, ℎ𝑜 𝑓𝑎𝑡𝑡𝑜 𝑖𝑙 𝑝𝑟𝑖𝑚𝑎 𝑝𝑜𝑠𝑠𝑖𝑏𝑖𝑙𝑒.
𝑆𝑝𝑒𝑟𝑜 𝑡𝑖 𝑝𝑖𝑎𝑐𝑐𝑖𝑎𝑛𝑜 𝑒 𝑠𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑡𝑖 𝑝𝑖𝑎𝑐𝑐𝑖𝑜𝑛𝑜, 𝑎𝑐𝑐𝑜𝑛𝑡𝑒𝑛𝑡𝑎𝑡𝑖.
È 𝑐𝑖ò 𝑐ℎ𝑒 𝑑𝑖 𝑚𝑒𝑔𝑙𝑖𝑜 𝑠𝑖𝑎 𝑟𝑖𝑢𝑠𝑐𝑖𝑡𝑜 𝑎 𝑡𝑟𝑜𝑣𝑎𝑟𝑒.
𝐴𝑑𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑠𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑝𝑎𝑟𝑖, 𝑇𝑖𝑎𝑚.


Tiam? Quella scrittura, quel soprannome nuovo, mai sentito prima e di cui non conoscevo il significato, mi fece capire subito l'artefice della mia cena clandestina. Mi sembrò quasi di rivivere un momento del mio passato, come se tutto stesse ricominciando da capo, ma in una nuova forma. Ed era proprio ciò di cui la nuova Arya aveva paura.

Rimanere bloccata in un passato che non vuole passare.

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