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By kooyuh

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πŽππ„π’π‡πŽπ“ | ❝ Le cicatrici esistono anche se non si possono vedere ❞ ― Le scure onde infuriavano sotto l... More

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❝ π«πžπ¦πžπ¦π›πžπ« 𝐭𝐨 π₯𝐒𝐯𝐞

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By kooyuh


—𝘛𝘰 𝘢𝘭𝘭 𝘵𝘩𝘰𝘴𝘦 𝘸𝘩𝘰 𝘵𝘩𝘪𝘯𝘬 𝘵𝘩𝘦𝘺 𝘢𝘳𝘦 𝘢𝘭𝘰𝘯𝘦



Le onde del mare sembravano petrolio che s'infrangeva brutalmente contro gli appuntiti scogli, sbattendo prepotentemente contro la terra ferma e scuotendo violentemente il suolo che i piedi del giovane uomo colpivano senza tregua.

Le nubi scure ottenebravano la Luna. Si agitavano cupe nel cielo notturno, nere come le Pitture di Goya. Il satellite color mercurio era dipinto d'argento dalle nuvole e creava brividi di luce dal bagliore lugubre. Sotto ad esso, le gocce d'acqua si muovevano come il velo di dolore di uno spettro verso la sagoma trafelata. Un vento vorticante fermentò e sospirò, increspando la superficie del mare burrascoso e facendo sibilare i ciuffi d'erba ingialliti ed appesantiti dalla brina invernale.

La pioggia cadeva come chiodi di cristallo e gli sputava contro le sue lacrime ghiacciate, mentre fulmini striati adornavano il cielo plumbeo. Le onde del mare si alzarono a tal punto da sfiorargli le caviglie scoperte e il ghiaccio sulle ciocche candide dei suoi capelli si congelò mentre il vento del nord soffiava prepotente, accompagnandolo egoisticamente verso il suo drammatico destino. Il diluvio lacerante gli pungeva le scarse porzioni di pelle lasciate nude nel mentre che il mare pulsava grigio di dolore.

La sua larga felpa scura e tenuta aperta sul davanti gli sbatacchiava fastidiosamente sui fianchi, scandendo il ritmo accelerato del suo passo, mentre le sue ciocche dal colore della neve gli ostruivano la vista di tanto in tanto, cadendogli sulla fronte in ciuffi scomposti. La sua pelle diafana riluceva sotto il naturale bagliore lunare e dalle sue labbra sottili spesso uscivano degli sbuffi di aria che al contatto con il freddo vento invernale si trasformavano in nebulose nuvole che poi si infrangevano sul suo naso, che aveva preso una tenue sfumatura rosata.

Era terribilmente stanco. Sentiva le sue gambe sul punto di cedere, il fiato venirgli meno nei polmoni e la gola bruciargli fintanto che percorreva quella stremante salita. Con le lacrime amare a galleggiargli negli occhi arrancava lungo il suo tragitto, ricordandosi di essersi autoimposto di esaudire il suo agghiacciante desiderio.

In realtà, lui si sentiva esausto già da tempo. Da mesi la sua mente sembrava che si stesse allontanando sempre di più dalla realtà, come se preferisse rifugiarsi in una vita fittizia basata sull'illusione della sua stessa felicità. Un'esistenza più semplice da affrontare, dove non gli veniva gettato odio a grandi quantità e dove non veniva sommerso dai pregiudizi, parole impregnate di disgusto che venivano pronunciate dai suoi ammiratori, dalle persone che dovevano supportarlo nonostante tutto.

A volte si pentiva di aver intrapreso la strada di cantante. Quel giorno di nove anni fa, quando aveva firmato quel contratto fatto di misera carta, aveva accettato implicitamente di diventare carne da macello, bersaglio per quelle persone che si sentivano insoddisfatte con le loro stesse vite e preferivano scagliare le loro disgrazie su di lui o sui suoi amati membri.

In lontananza scorse la cima del ripido scoglio che aveva scalato con molta fatica. Si avvicinò zoppicante e a corto di fiato al limitare del precipizio, sporgendosi cautamente ad osservare ciò che si stagliava sotto diversi metri da dove si trovava lui. I suoi occhi luccicarono impercettibilmente alla vista delle onde color pece che si scuotevano agitate e sbattevano furiosamente contro le rocce. Gli strinse il cuore: era quella la sua agognata meta.

C'erano momenti, quando si sentiva sopraffatto dall'odio e dalle ingiustizie, che voleva essere potente e impavido come quella vasta distesa d'acqua.

Il satellite perlaceo seguì la sua sfiancante corsa sin dal principio e dall'alto della sua posizione pareva giudicarlo con i suoi grandi occhi nascosti dall'oscurità della notte, perché vedere un giovane cantante di nota fama correre a perdifiato sotto la sua tonda sagoma non era certo una cosa a cui si assisteva tutti i giorni.

L'irritante ticchettio proveniente dal piangente cielo tetro tamburellava fastidiosamente sulla sua nuca e non aveva alcuna intenzione di fermarsi nel giro di pochi istanti.

Quando le sue semplici scarpe calciarono alcuni sassolini erroneamente, facendoli cadere al di sotto e sprofondare nelle profonde acque nere, sospirò leggermente. Con ancora quell'opprimente peso sul cuore, si piegò sulle ginocchia e cominciò a slegare i lacci consumati delle calzature. Le sue esili dita si destreggiavano delicatamente con le due strisce di tessuto, districandone con calma i nodi.

Mentre i suoi piedi nudi venivano a contatto con il terriccio umido, luccicante grazie alla luce naturale del cielo che lo sovrastava, i suoi tristi occhi si posarono sull'ampia superficie d'acqua che si dimenava a diversi metri sotto di lui.

Gli era sempre piaciuto il mare. Sin da bambino esso lo aveva intrigato. Adorava vedere come una cosa potesse essere sia calma, bellissima ed infinita, e allo stesso tempo feroce, crudele e maestosa.

In quel momento si ricordò quando sua sorella Sodam, poco tempo prima, gli stette vicino durante la sua ennesima ricaduta e, mentre lui si era assopito sul letto di camera sua, lei gli sussurrò memorabili parole che arrivarono ovattate alle orecchie del fratello.

«Quando arrivano i tempi difficili, hai davvero solo due opzioni: puoi combattere le onde o puoi cavalcarle. Puoi spendere tutte le tue energie desiderando che le cose siano diverse e desiderando che le situazioni e le persone cambino. Puoi trascorrere il tuo tempo prezioso combattendo contro la realtà e tutto ciò che è— oppure puoi lasciarti andare e cavalcare le onde. Puoi accettare che la vita te le offra. Alcune saranno senza dubbio meravigliose, ma altre saranno incredibilmente toste. Fratellino, spero tanto che tu possa imparare a cavalcare le tue maestose onde.»

Ormai le lacrime gli percorrevano incessanti il profilo affilato del volto, lasciandosi dietro gelate scie a causa dell'inoltrato inverno. Il suo naso era arrossato e fu costretto ad aspirare forte a causa della goccia pronta a cadergli dalla narice destra. Si strofinò le fredde mani tra di loro, in un invano tentativo di procurarsi del calore da sé, mentre inclinò leggermente il suo viso all'insù, serrando gli occhi e socchiudendo le sottili labbra.

Poco prima di scappare dalla sua abitazione, aveva scritto un messaggio frettoloso alla persona più importante della sua vita, colei che sempre lo aveva supportato in momenti difficili e che gli aveva spesso offerto una spalla su cui piangere.

I messaggi che scrisse a sua sorella risultavano abbastanza enigmatici, ma aveva bisogno di farglielo sapere, di farle intuire la sua prossima e folle mossa. Nel lungo tragitto che lo separava dal suo appartamento alla rupe aveva sempre tenuto stretto il telefono tra le dita infreddolite e, attraverso le lacrime che gli offuscavano la vista, le scrisse a spezzoni il suo addio a quel mondo crudele.

Aprì gli occhi e percepì qualche ghiacciata goccia raggiungergli le iridi ma, ignorando il bruciore che lo pervase per qualche secondo, estrasse per l'ultima volta il dispositivo dalla tasca posteriore dei jeans neri e vi proiettò immediatamente la conversazione avuta con la donna qualche attimo prima.

Noona, non voglio più fare progetti per il futuro, recitava il primo messaggio. Quando poco prima digitò quella breve e sibillina frase, indugiò sulla tastiera del cellulare per diversi minuti prima di riuscire a formulare una frase di senso compiuto che trainava con sé la paura più viva che risiedeva nel suo corpo.

Jongie, che intendi? La risposta da parte della sorella arrivò quasi immediata e al solo leggere quel tenero soprannome la vista gli si offuscò a causa delle lacrime salate che gli si depositarono sulle lunghe ciglia.

È tutto inutile. Le dita, nel comporre quella breve risposta, tremavano e non seppe dire se fosse per il freddo o per il terrore di ciò che stava per avvenire.

Jonghyun, stai bene? Sospirò. Stava bene? Certo che no, altrimenti non si sarebbe di certo trovato in quell'assurda situazione.

Noona, ultimamente mi sento così distaccato dalla realtà. Le lacrime salate ormai gli scorrevano ancora più copiose dagli occhi, rigandogli in diverse strisce le guance pallide e mischiandosi con le gocce di pioggia che si versavano sulla sua solitaria figura avvolta dalle fredde braccia del vento che lo circondava.

Jongie, dove sei? Alzò lo sguardo dal telefono, puntandolo all'oscurità assoluta. Intravedeva la sagoma tondeggiante della Luna che si nascondeva dietro le lugubri nubi e udiva l'insistente gorgoglio proveniente dal mare tempestoso, ma dove si trovava?

Mi sento così perso dentro me stesso. Ed era vero. Quello che lui ogni mattina vedeva riflesso nel grande specchio di camera sua non era lui. Era solo una misera proiezione di ciò che gli altri pretendevano che lui fosse. Una patetica volontà di essere qualcuno che lui non si sentiva di ricoprirne il ruolo.

Jonghyun, stai cominciando a farmi seriamente preoccupare. Sodam, la sua dolce e cara Sodam. Una donna dolcissima e gentilissima con lui. Gli era sempre stata al suo fianco, gli aveva sempre offerto la sua spalla su cui piangere, gli aveva sempre mormorato tenere consolazioni all'orecchio quando lui era supino sul letto. Eppure lui riusciva solamente a farla preoccupare ed angosciare.

Perché le persone non capiscono che le cicatrici esistono anche se non si possono vedere? Se lo domandava spesso. Il suo corpo ne era macchiato, di invisibili cicatrici. Il suo cuore era crepato da indelebili segni, non notabili ad occhio nudo. Eppure erano lì a decorargli gli organi, a martoriargli l'epidermide e a lacerargli i muscoli.

Jonghyun, credo che ognuno di noi debba attraversare qualcosa che lo distrugga completamente prima di capire chi sia veramente. Dalle sue labbra uscì un singhiozzo ovattato dallo scrosciare incessante della pioggia, ché quelle parole le percepì nella loro pesantezza dentro di sé, come una maligna pugnalata al cuore.

Secondo te io arriverò mai a capire chi sono effettivamente? Chi era Kim Jonghyun? A quanto pare nemmeno lui riusciva a darvi una risposta mentre i suoi occhi rossi e gonfi dal pianto si fissavano sul cielo color pece, dove la luminosa Luna regnava silenziosa e timida.

Certamente, Jongie. Quel soprannome, ancora. Sodam glielo aveva affibbiato quando ancora erano bambini felici e spensierati, tanto che pensarono che quella semplice abbreviazione fosse più semplice da pronunciare per entrambi. Allora avevano deciso di comune accordo di mantenere vivo il ricordo della loro gioiosa infanzia, continuando ad utilizzare quel nomignolo carino anche con il passare incessante degli anni.

Ora dimmi, dove ti trovi? Dov'era? Non lo sapeva nemmeno lui mentre la fine terra gli solleticava le piante dei piedi nudi e il mare impetuoso ancora si dimenava lontano da lui.

Sul nostro scoglio. Compose l'unica risposta sensata che riuscì a formulare nella sua mente confusionaria, ripensando di sfuggita ai beati ricordi che aveva gelosamente custodito nel suo cuore e dove il lui bambino si divertiva con sua sorella in quell'esatto punto. Nel mentre le lacrime gli gocciolavano dal mento e lasciavano circolari impronte nel terriccio che lo sottostava. Drammatico scegliere quel luogo che raccontava solo momenti felici per compiere un atto così tragico.

Quando le sue iridi scannerizzarono l'ultimo messaggio che le inviò in quell'esatto istante, strinse maggiormente il cellulare nella mano e, dopo aver preso un profondo respiro, caricò il braccio e gettò l'oggetto giù nel precipizio, vedendo il dispositivo venir inglobato dalla totale oscurità.

Notò di sfuggita il suo schermo acceso lampeggiare per un paio di secondi prima di spegnersi totalmente e vorticare fino in profondità in una lenta e disperata danza. Egli voleva completamente sparire dalla faccia della Terra e quello era il primo gesto da compiere.

Strinse forte i pugni lungo i suoi fianchi, deglutendo rumorosamente mentre gli occhi velati da aspre lacrime tremolavano sotto la sorveglianza del satellite. Grosse gocce ricominciarono imperterrite a solcargli il viso appuntito, segnandogli l'epidermide lattea e mischiandosi con le lacrime angosciate delle nuvole.

Un tremendo senso di colpa stava strisciando viscidamente appena sotto la sua pelle, accarezzando le sue ossa e solleticandogli i muscoli rilassati. Una mano maligna gli afferrò il cuore e lo strinse nella sua salda presa, facendo scappare alle labbra dell'uomo un gemito strozzato. Non poteva permettersi di cambiare idea in quel momento altrimenti sarebbe stato tutto inutile.

Improvvisamente il giovane viso sorridente di sua sorella si fece strada nella sua mente e ciò causò solamente alle lacrime di scendere ancora più abbondantemente.

Subitamente rimembrò quando un paio di giorni prima Sodam lo trovò steso sul pavimento del piccolo bagno del suo appartamento. Pareva un corpo senza vita, pallido e freddo. Gli occhi socchiusi e le braccia senza forze adagiate lungo la sua figura. Il suo respiro usciva lento e profondo, quasi inudibile. La donna si precipitò da lui preoccupata e gli sollevò il capo, poggiandoselo sulle gambe magre. Le sue dita affusolate si intrecciarono con le ciocche candide del suo fratellino, percependo i suoi nervi rilassarsi con le dolci carezze.

«Va tutto bene, Jongie» gli sussurrò piano. Le orecchie dell'uomo captarono la sua voce soave smorzata mentre ella gli bisbigliava tenere parole. «Il tempo passa. È solo più lento quando stai attraversando un momento difficile, ma se provi a godertelo, tutto andrà meglio.»

Rammentò di non aver avuto occasione di formulare una risposta sensata che già si era lasciato andare tra le malefiche braccia di Morfeo.

Trasse un respiro tremolante e lasciò che i suoi piedi avanzassero con una calma che pareva straziante. Volse una fugace occhiata oltre il limitare dello scoglio e strizzò con forza gli occhi. Racimolando tutto il coraggio che aveva in corpo, formulò una veloce scusa – a nessuno in particolare in quanto il vento inghiottì immediatamente quella breve e potente parola – e poi si buttò.

Il suolo sparì da sotto i suoi piedi e i capelli gli si rizzarono sulla nuca. Le sue palpebre erano strette forti tra di loro mentre la voce era incastrata nelle sue corde vocali, inabile di uscire dalla sua bocca sotto forma di urlo straziante. Si limitò a cadere, cadere e cadere.

Il suo corpo era immobile, teso come un pezzo di legno fino a che batté vigorosamente contro lo specchio d'acqua. Il respiro gli si smorzò e rilasciò un basso rantolo mentre si lasciava trasportare fino al fondo dalle ghiacciate braccia del mare, incapace di muovere un solo muscolo.

L'acqua salata gli entrò negli occhi e gli pizzicò brutalmente la retina mentre lui sprofondava inesorabilmente e veniva a contatto con il fondale sabbioso. Non riusciva più a percepire il suo corpo, la pelle era raggrinzita e completamente intorpidita mentre egli si lasciava andare alle onde marine. Solo i suoi ciuffi bianchi, a contrasto con il liquido scuro che lo circondava, si muovevano leggiadramente attorno alla sua nuca, manovrati dal violento ondeggiare del mare.

Anche quando i suoi polmoni gli chiedevano disperatamente aiuto e il sale dell'acqua cominciava a solleticargli la lingua, lui si costrinse a rimanere sommerso. L'ultima cosa che le sue orecchie riuscirono a captare fu lo sbattere prepotente delle onde contro gli scogli in lontananza e i diabolici sussurri dell'acqua che lo cingeva, leggermente ovattati dalla profondità in cui si trovava. Aveva fatto la scelta giusta.

Il mare incanta. Il mare uccide, commuove, spaventa, fa anche ridere. Alle volte sparisce, ogni tanto si traveste da lago oppure costruisce tempeste, divora navi, regala ricchezze. Non dà risposte, è saggio, è dolce, è potente, è imprevedibile. Ma, da quanto è riuscito ad imparare Jonghyun e successivamente sua sorella, il mare chiama, ed è impossibile ignorarlo.

Quando qualche attimo dopo una gracile figura si presentò trafelata all'estremità della rupe e scorse con orrore una bianca sagoma galleggiare inerte in quell'ampia distesa nera, un acuto strillo squarciò a metà quella lugubre notte, facendo sapere a tutti che Kim Jonghyun era deceduto, che il suo amato fratellino non sarebbe più tornato da lei. L'uomo dai candidi e soffici capelli e un enorme sorriso a decorargli costantemente le labbra aveva ceduto, si era arreso alle complessità che gli aveva scagliato addosso l'Universo.

La morte in realtà è una liberazione. Chi non riesce a vivere ama la vita in un modo che gli altri non comprenderanno mai, ed è proprio per questo che probabilmente cerca la morte. In realtà non vorrebbe morire, vorrebbe solamente vivere, ma non ci riesce, e vedere tutta quella bellezza e non poterne godere in nessun modo, gli è più insopportabile della morte stessa.

Kim Jonghyun voleva vivere ma la disgustosa combinazione di inaspettati eventi gli aveva fatto odiare così tanto la vita che aveva preferito correre disperato tra le fredde braccia della Morte. 

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