Capitolo 6

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Gea si svegliò di soprassalto.
D'istinto piombò con gli occhi sulla porta aperta del bagno, il cuore che batteva forte per lo spavento.
Non ci trovò nessuno al suo interno, solo tante schegge di vetro che sembravano restituirle lo sguardo attraverso il riflesso.
Si sollevò di scatto dal letto ed entrò con cautela per non tagliarsi con i cocci a terra. Fin da subito notò che la maggior parte di ciò che rimaneva dello specchio era contenuto dentro il lavandino, assieme a lunghe strisce di sangue.
Le gocce ambrate di Gea si sgranarono. Si precipitò d'impeto fuori dal bagno e accorse nel salotto. Accese la luce e ispezionò lo spazio che la circondava con febbrile celerità.
Lui non c'era.
Il respiro agitato le si mozzò in gola.
Lui non c'era.
Per un po' rimase ferma lì dov'era, restia a muoversi.
Il naso le pizzicava e le lacrime le pungevano gli occhi.
Perché aveva sperato di non essere lasciata più sola. Aveva sperato che lui la smettesse di fuggire senza di lei. Aveva sperato che lui le permettesse di oltrepassare pian piano la sua corazza.
Aveva sperato di cambiarlo.
A quel pensiero issò la testa, mentre una lacrima le scivolava sulla guancia. Nello sguardo una consapevolezza diversa.
Aveva davvero sperato di cambiarlo? Era davvero quello che lei voleva?
Si ritrovò a scuotere debolmente il capo.
Come avrebbe potuto? Si era innamorata del ragazzo impenetrabile che aveva messo piede in casa sua la notte di un mese prima, aveva perso la testa per quel ragazzo dai taglienti occhi cobalto che l'aveva messa alla prova ogni giorno, imponendole di abbattere i muri che lei stessa aveva costruito attorno a sé.
No, non voleva cambiarlo. Voleva solo fargli conoscere i valori che non aveva mai appreso. Sperava in quello, lei, di riuscire ad avvicinarsi al suo cuore giorno dopo giorno, passo dopo passo.
Ma il fatto che lui non fosse lì, accanto a lei, le fece capire che per l'ennesima volta lui le aveva negato l'accesso.
La giovane emise un tremulo sospiro e camminò lenta fino al letto, si sedette con le gambe strette al petto e il mento appoggiato sulle braccia.
Osservò la tenue oscurità della stanza mentre i pensieri le sciabordavano per la testa facendola sentire in alto mare, sballottolata tra un'onda e un'altra.
Avrebbe voluto essere più forte, ed invece se ne stava lì: rannicchiata e con le guance rigate da calde lacrime. La bocca dischiusa per respirare e la vista appannata.
Cercava di trovare un senso a quella nuova dipartita del ragazzo. Voleva trovarlo.
Le era sembrato che avessero raggiunto una complicità diversa, più da coppia. Eppure, come se il destino volesse puntualmente contraddirla, in quel momento le sembrava di essere tornata indietro nel tempo.
Si asciugò le lacrime con il palmo delle mani e subito dopo tornò a stringersi in un abbraccio, come per volersi incoraggiare.
Forse era stupida, troppo fiduciosa in un avvenire più roseo, ma non ce la faceva a lasciarlo. Vedeva in lui qualcosa che premeva per uscire e che ogni volta restava soffocato sotto una valanga di detriti, tanti dei quali lei non conosceva.
Vedeva in lui il buono che non gli era stato insegnato vedere. Ne vedeva la bellezza, come quella di un piccolo bocciolo ammaccato.
Tirò su col naso e si asciugò le guance con il dorso della mano, la mente che vorticava senza sosta.
E se in quel momento lui si fosse trovato in compagnia di qualche altra ragazza?
Il solo pensiero le equivalse ad un pugno nello stomaco, le venne quasi da vomitare.
Chiuse gli occhi ed espirò piano.
Per tutta la notte non si mosse dal bozzolo che si era creata né si riaddormentò, sempre in allerta al minimo spostamento d'aria nella speranza che fosse Deimos.
Ma ogni volta si ritrovò ad abbassare le spalle delusa.
Alle prime luci dell'alba adagiò stancamente la testa sulle braccia e proiettò lo sguardo oltre la finestra, gli occhi che le bruciavano per il pianto e la notte insonne.
Cercò di concentrarsi sulle sfumature rossastre e arancioni che pennellavano il cielo, e fu così fin quando non avvertì un'asse del pavimento scricchiolare.
Con un movimento tanto rapido da farle vorticare la testa, posò le sue esauste pozze d'ambra sul viso del ragazzo.
Il cuore le zompò nel petto per l'emozione.
Deimos era lì, in piedi a qualche metro da lei, lo sguardo impenetrabile e la postura severa.
Gea balzò dal letto e si precipitò da lui per esaminare i dettagli del suo volto e controllare che stesse bene. Senza pensarci allungò una mano sulla sua guancia e la sfiorò con premura. << Stai bene? >>
Quel gesto inaspettato stuzzicò il cuore del ragazzo, che reagì con un'impennata del battito cardiaco ed una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Il che gli fece contrarre la mascella e tendere i muscoli.
Si scostò di scatto sia da quel tocco caldo che da quei grandi occhi che gli confondevano i pensieri.
<< Dobbiamo andare. Preparati >> comandò spiccio.
Gea lo afferrò per la mano prima che lui si incamminasse nel salotto, cercando invano un contatto visivo. << Tu stai bene? >>
<< Sbrigati >> rispose duro, scrollandosi le sue dita di dosso.
Gea chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie nel tentativo di snellire un po' della tensione che le schiacciava il petto.
Inspirò a pieni polmoni per farsi forza e si rifugiò sotto la doccia.
Circa mezz'ora dopo erano in macchina, con un pesante silenzio a fare da protagonista.
Deimos non aveva proferito una parola neanche per sbaglio, si limitava a guidare e a non guardarla. Gea, invece, non faceva che ispezionare un millimetro dopo l'altro della sua figura.
Così alla fine si decise a buttare giù quell'incomprensibile muro che si era eretto tra loro.
<< Mi dici cosa ti è preso? Perché mi stai ignorando? >> gli chiese piegandosi in avanti per guardarlo in viso. << Sei scomparso nel bel mezzo della notte e ti sei rifatto vivo senza uno straccio di parola. >>
Deimos tacque per un po'. << Quel che faccio sono affari miei. Non devo darti spiegazioni >> asserì telegrafico.
<< Questo è quello che credi tu >> ribatté Gea irritata. << Mi stai ignorando da un'ora e credi davvero di non dovermi spiegazioni? Si può sapere cosa ti ho fatto? >>
Il giovane indurì lo sguardo.
Avrebbe voluto sapere anche lui cosa gli stava facendo quella ragazza. Avrebbe voluto sapere perché diamine non riusciva a odiarla e a togliersela dalla vista una volta per tutte.
Detestava profondamente il modo in cui lei, inconsapevolmente, era riuscita a dissotterrare un ricordo che in quel momento gli gravava sul collo come una spada.
Come se lui avesse dovuto rendere conto a qualcuno delle sue azioni. Quel senso del dovere che non si era mai affacciato alla porta della sua etica. Quel disgustoso senso di colpevolezza che provava quando guardava quell'umana negli occhi.
<< Deimos? >> lo richiamò lei piano appena vide le sue nocche destre ricoperte di tagli e sangue incrostato. Le ritornarono alla mente i cocci di vetro e le strisce di sangue nel lavandino.
<< Dimmi qualcosa, ti prego >> aggiunse con tono dolce.
Non ottenne risposta, in compenso il ragazzo svoltò su una stretta strada deserta che segnava il confine di una proprietà agricola.
Procedette per qualche metro sul suolo sconnesso, finché non intravide la sagoma di una ragazza dai corti capelli sbarazzini che giocherellava col cellulare.
Gea si voltò con un sospiro, delusa e seccata dal silenzio di lui. Poi, con un cenno della mano ed un sorriso, salutò Ninlil attraverso il finestrino.
Era il giorno dell'allenamento. Qualche giorno addietro avevano stipulato un duplice accordo che prevedeva lo scambio di informazioni su acqua e fuoco e il reciproco aiuto ad affinare le rispettive capacità.
<< Sembri stanca, Gea >> esordì l'incarnante dell'aria appena vide la sua amica scendere di macchina. << E hai gli occhi gonfi >> proseguì indagatrice.
Gli zaffiri di Deimos corsero al viso della giovane dai lunghi capelli dorati.
Solo in quel momento si rese conto delle sue palpebre gonfie e rosse, della luce spenta nei suoi occhi e della generale stanchezza che emergeva da ogni suo movimento.
La vide arricciare il naso e aprirsi in un piccolo sorriso. << Ho dormito un po' male, niente di che. >>
Ninlil le accarezzò una guancia e le sorrise. << Quando vuoi, lo sai. >>
Gea annuì riconoscente. Aveva capito che con quelle poche parole la stava invitando a confidarsi con lei ogni qual volta ne avesse avuto bisogno.
Ed era bello per lei sapere di avere una spalla su cui appoggiarsi in caso di necessità.
<< Sbrighiamoci >> s'intromise Deimos, ferreo. Dopodiché colmò lo spazio che lo separava dalle ragazze e scomparvero.



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