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«Perché non esci un po' di qui e vai a giocare con gli altri?»

«Mi annoiano>>>

Mi annoiano.
Non ho detto che sono troppo stupidi per me, non ho detto che non ho tempo da perdere con loro, comuni e semplici mortali.
Se hai udito qualcosa del genere il problema è tuo, forse è dentro che te lo senti, ecco perché hai declinato le mie parole in questo modo.

Quando dico così non mi sento altezzosa, sono solo diretta e obiettiva: gli altri ragazzini, quelli della mia città almeno, mi annoiano.
Sono troppo diversi da me, non mi capiscono, non sono compatibili.

I loro modi di svagarsi non mi divertono, non fanno per me.
Io non sono atletica.
I giochi che implicano correre e prendersi non mi piacciono,sono troppo lenta, inciampo sempre, finisce puntualmente che mi prendono in giro.

Di divertente non ci trovo niente, come non trovo d'intrattenimento i loro discorsi.

Sarà che sono stata una bambina strana e sono tutt'ora un'adolescente strana.

Parlo poco, o meglio non lo faccio a vanvera, intervengo solo se ho qualcosa da dire, altrimenti sto al mio posto.

I ragazzini tendono a scambiare certi atteggiamenti per supponenza, si sa, non concepiscono l'introversione fine a sé stessa, pensano che li disprezzi.

Certo io non mi aiuto molto da sola, quando parlo dico quello che mi passa per la testa senza filtri, ogni singola verità scomoda.

Sono troppo diretta, papà mi rimproverava sempre.

Lo comprendo, crescendo ho provato a darmi una regolata, anche perché da bambina non mi ha giovato troppo, è finita che mi sono fatta evitare.

Non che allora mi sia dispiaciuto, il tempo ho preso a passarlo con le ragazze più grandi, quelle troppo impegnate a fumare o sbrigare altre faccende per essere infastidite dalla mia presenza silenziosa.

Posso stare lì in un angolo ad ascoltarle mentre coloro le mie unghie o faccio coroncine di fiori, posso anche smettere di ascoltarle e perdermi nelle mie fantasticherie se mi va, loro non saranno stizzite da quella mancata partecipazione.

Devo ancora capire, a oggi, che fastidio effettivo diano al mondo le persone un poco chiuse.

Quando me lo domando perdo le ore a pensarci e una risposta soddisfacente non la trovo mai.

Il fatto è che penso troppo, io, lo preferisco al parlare senz'altro.

L'immaginazione non mi manca, ne ho in eccesso.

Qualsiasi cosa catturi la mia attenzione è uno spunto di riflessione, da cui iniziare a tessere una tela intricata di pensieri fino a perdere il filo.

Quando ascolto una storia, vera o meno, mi chiedo come sarebbe andata se un singolo dettaglio fosse stato diverso, decido bene di rispondermi da sola, nella mia testa, e finisco che di storia me ne sono inventata un'altra, nemmeno io so come.

Devo stare attenta, a furia di pensare al tale "avrebbe potuto fare così" potrebbe essere che mi confonda e finisca per credere che davvero abbia fatto così.

Sarà anche per questo che parlo poco; non riesco a mettere in ordine i concetti nemmeno nella mia testa, seguirmi per un'altra persona può diventare arduo.

Ed è proprio per questo che, di solito, tengo per me teorie inesplorate, chiuse nei meandri della mia mante.
Teorie senza senso magari. Teorie così assurde da sfociare nel fantasy.

Le relazioni per me, poi, non sono mai state semplici.
La gente è spaventata dall'ignoto, preferisce vivere nella quotidianità, vivere nella certezza che le proprie azioni siano calcolate.

Calcoli.

Cosa sono i calcoli se non infinità di numeri messi lì per scandire le nostre giornate? Darci un punto d'appoggio per non rendere vuoto il nostro tempo.

Crono era il Dio del tempo nella mitologia greca, rappresentato come un uomo barbuto con in mano una clessidra. Non è stato, però, il primo ad essere concepito dalla mente umana.

Per prima cosa crearono Urano, un Dio al quale attribuire la creazione del cielo stellato e poi Gea, la terra, sua moglie.

Solo dopo vennero i loro figli, tra i quali Crono.

A parer mio se l'uomo non avesse Dei a cui attribuire qualsiasi cosa probabilmente impazzirebbe.

"Perché?"
È una fase della crescita che inizia solitamente tra i due ed i tre anni.

Fase stressante per qualsiasi essere umano che sia genitore o nel raggio di un mentro di un bambino.

<<Perché il cielo è blu?>>

<<Perché non posso avere quel giocattolo?>>

<<Perché non posso mettermi su per il naso uno Smarties?>>

Tutte domande lecite ovviamente.
Domande semplici alle quali si può rispondere ma non sempre lo si fa.

<<Perché non posso uscire oggi?>>

Le domande non finiscono mai ma si può scegliere se rispondere o meno.

<<Perché ho deciso così.>>

La mancanza di una risposta valida manda il nostro cervello in pappa. Si ha sempre bisogno di una spiegazione. Un semplice "perché sì" o un "perché lo dico io" mandano il nostro corpo in ebollizione, non bastano.
Ci arrabbiamo perché desideriamo risposte, qualsiasi cosa che sia concreta.

A volte le domande difficili sono fatte anche da bambini però. Non sempre la tenera età è simbolo di ingenuità.

<<Perché picchi la mamma? Ha mangiato troppe caramelle?>>

A volte questioni dette con semplicità, senza un pensiero dietro gli occhi, sono quelle che colpiscono di più.

<<Perché papà non torna?>>

Sono lettere, sillabe, parole, messe lì senza pensarci. Un bambino non potrebbe sapere che certe domande mettono in difficoltà anche gli adulti.
Si ha sempre una risposta alla domanda posta. A volte essa è così stupida che si preferisce non dirla, tenerla per sé nella paura del giudizio. Altre è così difficile e dolorosa che la scelta migliore è custodirla in gola, nello stomaco fino al momento in cui, prima o poi, uscirà e nasconderla con l'ignoranza.

<<Non lo so.>>

Fa male non poter dare risposte a quesiti di cui la soluzione si sa.
O almeno, a me ha sempre dato fastidio non poter rispondere.

La paura è una brutta bestia, essa assieme all'ansia del giudizio altrui.
Non si risponde perché si ha paura di essere giudicati da chi si ha intorno, ecco perché amo la mia mente. Il mio piccolo spazio silenzioso dove niente e nessuno può giudicarmi.

Aphrodite's whisper Nơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ