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 Le nebbie del mattino accarezzano le bianche pianure del silenzio e ampliano il vuoto che mi sento crescere nel cuore come un canto che si leva dai fondali ciechi di un mare che non ospita più creature viventi ma sogni infranti, solo memorie confuse di un mondo che ha per troppo tempo delirato e ora stanco si adagia nella tomba che i suoi figli gli hanno preparato. In quella vasta alba tanto chiara da sembrare invisibile emerge l'ombra minuta di un essere che riconosco fragile come me, anche nella distanza incommensurabile che ci separa vedo la sua bellezza nascosta e soffro per quanto mi è cara. Una donna che non mi guarda, che avanza tra lembi di nebbia come in cerca di qualcosa ma non di me, lo sento. Poi la grande stella sorge e la sua luce investe e cancella tutte le cose, restituisce al mio sguardo solo un paesaggio di ghiaccio e di ossa di un candore doloroso...

È giunta l'alba anche sul deserto del Vetar-mai, ma senza la violenza accecante di quella che ha abbreviato il mio sonno. Dopo aver passato la notte rannicchiato sotto un rovo fitoferroso, unico rappresentante della flora nello sterminato deserto di cenere, poter finalmente stendere le gambe è piacevole e atroce allo stesso tempo. Tutto indolenzito, cerco di mettermi a sedere, mi stropiccio gli occhi e la faccia mentre un ocropoide mi passa davanti con indifferenza, le zampette da gatto che non affondano nella fredda cenere nonostante il corpo massiccio con la corazza da scarafaggio che manda riflessi grigi e azzurri. Lo seguo con gli occhi per un attimo, poi prendo dallo zaino la dose giornaliera di tonico e i resti essiccati di krabot che ho rubato in quel villaggio di idolatri. Cerco di non pensare a cosa è successo in quel tempio quella notte, a quel miserabile sacerdote, a quella donna... Arsa viva quasi come quelle donne in certi antichi ologrammi che mi è capitato di vedere, memorie di un tempo tanto remoto da sembrare irreale, di un mondo tanto lontano da sembrare alieno. Invece lo stesso orrore sopravvive tenace agli eoni e il rimescolio degli atomi dell'universo per esso non è altro che una carezza che non lascia traccia. Appoggio a terra la fiala di tonico e il krabot e un po' di cenere soffiata da una lieve brezza gli finisce sopra.

Come sono solito, prima di nutrirmi offro in sacrificio il corpo del mio nemico. Esco carponi dall'ombra del rovo che mi ha protetto dal delirio del Vetar-mai, che striscia invisibile nelle nebulose notti del deserto in cerca di coscienze ancora ingabbiate nel loro guscio mortale e ne sugge il senno e il senso per poi lasciarle affondare nella cenere e in se stesse, inghiottite per sempre dall'oscurità invitta. Questi rovi dalla caratteristica struttura ferrosa formano una sorta di gabbia magnetica che il delirio non riesce a penetrare, e suppongo che del medesimo minerale sia infusa la corazza d'insetto degli ocropoidi, anch'essi immuni al delirio. I rovi fitoferrosi crescono solitari, un esemplare distante anche diversi chilometri dall'altro, motivo che ieri mi ha spinto a fermarmi ben prima del tramonto, timoroso di non trovare per tempo un altro riparo dal delirio letale.

Ma la nostra stella finalmente sta sorgendo, la sua luce rimbalza contro l'immane soffitto di nubi che perennemente sovrasta il Vetar-mai e ancora per poco il suo pallido tocco giungerà sulla terra non filtrato da quella cortina impalpabile che l'inverecondo abuso di energia ha eretto secolo dopo secolo. In quest'ora dorata devo compiere il mio rito: prendo dallo zaino le mie ultime catture, due 0-void neri come la notte del deserto, e nauseato li depongo uno accanto all'altro sulla cenere, la mia blasfema offerta a tutte le divinità solari. Un istante che l'occhio umano non riesce a cogliere, uno schiocco impercettibile di atomi che si fondono – o si disintegrano, non saprei dirlo – e i due diventano uno. Sulla cenere indifferente resta solo un 0-void; superstite o nuovo nato, questo rimane un mistero. In ginocchio di fronte all'uovo che non reca vita, penso ancora una volta alla completa vanità dei miei sforzi, per quanto il pensiero non sia mai riuscito a placare l'insopprimibile necessità di andare avanti su questo incerto sentiero. D'altronde che cosa può fare un uomo di fronte all'irriducibile insensatezza del tutto?

4. FermentatioDonde viven las historias. Descúbrelo ahora