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La MotoGP mi ricorda le domeniche al mare con gli amici. 
Mi ricorda i pranzi sotto l'ombrellone che finivano con i papà che non ti accompagnavano in acqua perché "C'è la gara, dopo andiamo."
Mi ricorda il non avere idea di chi fosse questo Valentino Rossi che impediva a noi bambini di andare a fare il bagno perché "Rischia di vincere il mondiale" e chissà come mai tutte le gare erano quella decisiva che non ci si poteva assolutamente perdere.
Mi ricorda il commento scricchiolante che proveniva dalle casse del bar e che si sentiva anche dai giochi che raccontava di sorpassi al cardiopalma e momenti di tensione.
Mi ricorda le volte in cui, senza saperlo (quasi senza volerlo), tutti noi bambini tifavamo Rossi per fare felici i nostri papà, perché vuoi mettere: "uno di qui che vince il mondiale? C'è più gusto a essere romagnoli."
Tutto questo per dire che ci sono posti in cui con la passione per i motori vieni cresciuto, ti svezzano al suono delle gare, ti insegnano per chi tifare (sempre gli italiani, possibilmente solo gli italiani come direbbe mio padre), ti inculcano l'attesa per la gara nel cervello.
A volta anche controvoglia, anche quando hai quattro anni e "Non mi interessa di Rossi io voglio fare il bagno!" e poi cresci e crescendo finalmente aggiungi una faccia al nome, impari il suono delle moto, il nome delle piste; impari ad amare l'attesa della gara; impari che alle volte stare tre quarti d'ora al bar con il ghiacciolo non è poi così male; impari cosa significhi fare il tifo, nel modo più corretto, quello che dice "Vorrei vincesse Rossi, ma l'importante è che sia una bella gara."
Cresci e, anche dopo anni, continui a tifare sempre per gli italiani, continui ad aspettare le gare, continui ad amare lo sport e non il pilota.
La MotoGP mi ricorda tutto questo, tutte le volte che la guardo, e ancora mi chiedono come faccia ad amarla.