Another (The Again Serie #2)

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ANOTHER
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FINALE

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Al nostro secondo incontro per le ripetizioni di spagnolo sono molto più agitata della prima volta, ma in modo diverso. Prima avevo paura di quello che sarebbe potuto succedere, di quello che Connor poteva pensare di me e della figuraccia in mensa. Adesso invece, mentre suono il campanello, sento le budella attorcigliarsi, mi sudano le mani e ho le palpitazioni.

Questi ultimi giorni sono stati stranissimi sotto molti punti di vista. Per prima cosa mi sto ancora abituando all'idea di essere stata accettata al college. Papà è entusiasta e continua a ripetere che con la mia ottima media era impossibile che fallissi. Mamma ha riempito le casse del portatile di urla e risate all'idea che io potrò finalmente godermi quella parte di giovinezza che è stata negata a lei. Si può dire che stiamo festeggiando il mio successo praticamente tutti i giorni a casa. Anche Patricia si è congratulata con me e devo ammettere che mi sta sempre più simpatica ora che ha svestito i panni della mia terapista per assumere quelli di "fidanzata di papà".

Sono invece preoccupata per Malek. Passato l'entusiasmo iniziale dell'ammissione a Yale è diventata quasi apatica. A scuola è silenziosa e distratta. Anche Alfie mi ha detto che è cambiata. Hanno festeggiato e lei sembrava la persona più felice del mondo, salvo cambiare radicalmente un paio di giorni dopo. E me ne sono accorta anche io. Non riusciamo a fare un discorso, quando le parlo sembra distratta da altro, da qualcosa di angosciante perché gli occhi lucidi non riescono a nascondere il suo bisogno di piangere. Ho chiesto ad Alfie se avessero litigato e mi ha detto di no. Ho chiesto a lei se fosse successo qualcosa a casa coi suoi, una notizia del genere dovrebbe essere un regalo per il signor Oufkir, ma mi ha detto che i suoi non c'entrano. Forse sta affrontando un momento di stress, magari sente l'importanza di Yale e teme di non essere all'altezza, ma non ho mai visto Malek dubitare delle sue capacità. Anzi.

In più, notizia fresca delle ultime ore, Connor ha lasciato Isabelle e io non posso che esserne felice. Lei non fa che andare in giro per la scuola aggredendo tutti, lanciando sguardi di fuoco e perseguitando quelli del primo anno. Anche la squadra di football è in subbuglio perché Connor non si presenta a scuola da qualche giorno e ha saltato l'ultima partita senza avvertire nessuno. Ho sentito che il coach Burnes è furioso con lui e sicuramente ci saranno delle ripercussioni, soprattutto perché il campionato è quasi finito. Logan ha colto subito l'occasione per sostituirlo e guidare la squadra alla vittoria.

Ho mandato un sms a Connor per chiedergli se andasse tutto bene, ma non ha risposto. Sono sicura che dipenda dalla nostra conversazione, dalle cose che mi ha detto e ho un po' paura che nel frattempo abbia scoperto qualcos'altro sulla sua famiglia che l'abbia sconvolto. In più non c'è stata alcuna allusione al nostro bacio. Me lo sono immaginato? Oppure lui l'ha interpretato solo come un gesto affettuoso dovuto al momento? So che Isabelle sospetta qualcosa perché mi ha fermata nello spogliatoio e mi ha detto che ci hanno visti insieme in caffetteria.

«Se Connor mi ha lasciato per colpa tua, sappi che ti renderò la vita un inferno da qui alla consegna dei diplomi», ha abbaiato. Sanne era presente, insieme a Camille e Ava.

Io mi sono limitata ad ignorarla perché non so bene come stiano davvero le cose. È ovvio che la loro rottura dipende in parte anche da quello che c'è o non c'è tra di noi, ma non voglio illudermi per l'ennesima volta.

La porta di casa Brown si apre e compare Muriel.

«Salve signora, cerco Connor.»

Lei mi fa cenno di entrare con il suo sorriso dolce e accomodante che mi fa ben sperare. Se ci fosse qualche tragedia familiare in atto non sarebbe così serena.

Mi accomodo di nuovo nella biblioteca, questa volta i sandwich sono già nel piatto. Mi siedo e aspetto Connor tamburellando nervosamente con le dita sul tavolo. Mi vibra il cellulare.

"Ti devo parlare. È urgente." Un messaggio da Malek. Le rispondo velocemente di venire da me stasera. L'istinto mi dice che non saranno buone notizie.

«Sei qui da molto?» alzo la testa e guardo Connor. Scatto in piedi presa alla sprovvista. Ha i capelli in disordine, la faccia distrutta e profonde occhiaie violacee sotto gli occhi, ha l'aria sbattuta.

«Che ti è successo?» domando. Di sicuro non è influenza.

Lui si siede di fronte a me e appoggia la testa sul tavolo.

«Connor ti prego, dimmi qualcosa.»

Lui in silenzio poggia sul tavolo un plico di fogli.

«Che cosa sono?»

«Li ho già fatti esaminare da un avvocato non legato a mio padre.»

Sembrano documenti ufficiali. «Come li hai trovati?»

«Sono andato dritto alla fonte.»

«Hai frugato nell'ufficio di tuo padre?» spalanco gli occhi.

Connor si passa una mano tra i capelli. «Com'è andata a scuola?» chiede improvvisamente.

«Lo sapresti se fossi venuto»

«Non ero dell'umore giusto.»

«Non puoi nasconderti.»

«Non lo sto facendo, infatti. Ma non avevo la forza di fingere che tutto andasse bene, mentre aspettavo le risposte che avrebbero potuto cambiare la mia vita.»

«E l'hanno cambiata?» mi mordo il labbro. Quest'attesa è logorante.

«Ho lasciato Isabelle.»

«Lo so.»

«Non voglio stare con lei.»

«Non sembra averla presa molto bene.»

«Non me ne frega un accidenti. Così come a nessuno importa niente di me.»

«A me importa», dico di getto.

«A tutta quella gente interessa solo chi sono, le feste che organizzo, le partite che vinco. Ma quando ci sono i problemi, spariscono. Non ho amici. Connor Brown non ha amici, ci crederesti?»

«Connor, cosa dicono questi documenti?».

Lui si alza e raggiunge un armadietto dal quale prende una bottiglia di vetro con del liquido ambrato dentro. Se ne versa una generosa dose e torna da me.

«Avere un'alcolizzata in famiglia può fare comodo: le scorte sono ovunque.»

«Non dovresti bere a quest'ora», dico, ma lui mi ignora. È completamente fuori di sé.

«Non sono chi ho sempre creduto di essere»

«Il signor Brown non è tuo padre?» mi porto le mani alla bocca.

«No. Il signor Brown è l'uomo che ha deciso di darmi il cognome in quanto sposato con mia madre.»

«Quindi tua madre aveva un amante?» Mi pento subito di queste parole: accidenti, Rachel, cerca di avere più tatto!

«Esattamente.»

«Connor mi dispiace.» Immagino che per lui scoprire che sua madre non era perfetta come ha sempre creduto dev'essere un brutto colpo. «Non so cosa dire. Non so cosa pensare.» Mi sento inutile e impotente.

«Sono un figlio illegittimo. Mio padre di fatto ha deciso di non creare uno scandalo.»

«L'ha fatto per amore»

«O per egoismo.»

«Si sa niente sul tuo padre biologico?»

«No. Mio padre sa fare bene il suo lavoro. Gli accordi sono stati presi in totale segretezza.»

«Accordi?»

Non mi guarda, ma continua a fissare i fogli disseminati sul tavolo davanti a noi. «Non so di che tipo. Quello che è certo è che il signor Brown non è tipo da perdonare uno smacco come questo. Dev'esserci per forza qualcosa sotto. Il mio vero padre potrebbe essere chiunque, ma potrei scommettere che era comunque molto ricco. Non sarebbe la prima volta che l'avvocato Brown si fa corrompere per soldi. Chissà quanto l'hanno pagato per riconoscermi.»

«Non potrebbe averti riconosciuto semplicemente per amore di tua madre? Magari lei non voleva lasciarlo. Oppure questo sconosciuto le ha dato il ben servito una volta saputo della gravidanza. Non hai informazioni, non possiamo fare congetture.»

«La mia famiglia è più complicata di quello che immagini. Grazie al suo lavoro papà ha conoscenze e amicizie ovunque. Anche potenti. E soprattutto ha molti nemici.»

«Connor, la vita reale non è un film. Tua madre potrebbe aver preso una sbandata per il panettiere ed essere rimasta incinta. Perché devi per forza pensare a scenari loschi?»

Scola il resto del bicchiere. «Mi sento uno schifo.»

«Smettila con quella roba.»

«Rachel, ma non capisci?» sbotta. «Tutto quello in cui ho sempre creduto non esiste. Tutto quello che ho sempre pensato di essere è una bugia. L'amore dei miei genitori è una bugia. L'immagine che ho di mia madre è una bugia. Che razza di famiglia è quella in cui viene sottoscritto un contratto per crescere un bambino?»

«Hai parlato con tuo padre?» sussurro.

Lui scuote la testa. «Non riesco neanche a guardarlo in faccia, ma lui non sembra essersene accorto.» Sbuffa. «E lo sai qual è la cosa ridicola? Che mi sento proprio uno stupido, adesso. Ho organizzato tutto il mio futuro per inseguire il ricordo di mia madre e adesso non ho più niente.» Cerca tra i fogli e tira fuori un altro documento. Ha il timbro dell'università di Stanford. È stato ammesso.

«Connor, ma è quello che volevi», esclamo.

«No, è quello che desideravo più al mondo», mi corregge. Sorride, ma non c'è nessuna allegria nei suoi occhi. «Ho fatto domanda solo a questo college, perché volevo studiare dove ha studiato lei. Ma adesso mi fa schifo. Ho schifo per lei, ho schifo per mio padre. Avrei dovuto farmi raccomandare per Harvard e mandarli tutti quanti al diavolo.» Si porta le mani alla testa e chiude gli occhi. «Non so più chi sono», mormora a voce bassissima.

«Lo sai benissimo chi sei», dico. Mi alzo e lo raggiungo. Lo costringo ad accogliermi tra le sue braccia, mi siedo a cavalcioni su di lui e lo abbraccio forte, la testa poggiata sulla sua spalla. Lui ricambia la stretta, mi passa la mano ripetutamente sulla schiena e dopo qualche secondo di silenzio lo sento singhiozzare. Sta piangendo. Il suo corpo sobbalza al ritmo delle lacrime, cerca di trattenersi, forse perché ci sono io, ma non ce la fa. Deve sfogarsi.

«Tu sei Connor», sussurro. «Solo Connor.» Non riesco neanche a immaginare la sua confusione, il suo dolore, la sua rabbia. «Devi parlare con tuo padre», aggiungo. «Devi chiedergli di spiegarti come stanno le cose. Magari dopo si sistemerà tutto. Forse anche il signor Brown sta tenendo un peso da una vita.»

Connor non risponde. Piano piano si calma, i singhiozzi si placano, ogni tanto lo sento tirare su col naso, poi sembra calmarsi. Quando sciogliamo l'abbraccio e lo guardo, mi sembra quasi un bambino indifeso. Ha il naso rosso come gli occhi gonfi e lucidi. Mi guarda e scoppia a ridere imbarazzato.

«Penserai che sia un idiota»

«Penso che sei bellissimo», lo correggo. La sua espressione è diversa adesso. «È come se ti vedessi per la prima volta. Di nuovo», aggiungo. È strano. Molto strano. Ma mi accorgo solo adesso di non averlo mai amato così tanto. Non importa quanto male mi abbia fatto. Non importa tutti gli sbagli del passato. Siamo qui ora, io e lui, e non c'è nessun altro posto al mondo dove vorrei essere.

Lui si alza in piedi e mi afferra la mano. Lo seguo lungo il corridoio silenzioso, su per le scale immacolate fino alla porta della sua stanza. È tutto in ordine, cosa strana per un adolescente, nessun vestito buttato sul pavimento o abbandonato sulla sedia. Pochi poster alle pareti e tutti dell'università di Stanford. Chissà se dopo oggi Connor li strapperà. Che cosa succederà nella sua vita?

Connor si avvicina, mi prende dolcemente il viso tra le mani e mi bacia con dolcezza. Le nostre labbra si muovono allo stesso ritmo. I miei sensi sono in allerta, percepisco ogni singolo suono, ogni minimo odore. Il mio cuore accelera i battiti e mi rimbomba fin nelle orecchie. D'istinto poggio una mano sul petto di Connor, voglio vedere se è lo stesso anche per lui, e sento il suo cuore battere come un tamburo, dare il ritmo al nostro contatto. Schiudo le labbra e lascio che entri con la lingua, voglio sentire di nuovo il suo sapore nella mia bocca. Sorrido. Non ho certo dimenticato come sia baciarlo. Il suo respiro si fa irregolare e mentre il bacio diventa vorace si sfila la maglietta. Mi manca il fiato. Non abbiamo mai superato certi confini. Ci siamo sempre tenuti entro determinati limiti e l'intimità non era tra questi.

Ha una pelle bellissima, leggermente abbronzata per il tempo trascorso all'aperto. Lo osservo con calma e a lui non sembra dispiacere. Il suo fisico è tonico e delineato, gli addominali scolpiti dal duro allenamento di questi anni, le spalle larghe. Seguo il tatuaggio che ha sul braccio fino sulla spalla e poi dietro, sulla schiena. Sgrano gli occhi davanti ai suoi lividi. Alcuni sono freschi e devono essere dolorosi, altri più vecchi.

«Questi te li fai al campo?» chiedo sfiorandone alcuni con le dita.

«Diciamo che io e i ragazzi non ci andiamo leggeri», sorride. Sfioro l'elastico dei suoi pantaloni e mi fermo. «Vieni qui», mi dice lui.

Mi fa stendere lentamente sul letto. Mi accorgo che sono rigida. Non so bene cosa devo fare, non voglio fare figuracce. Connor mi bacia di nuovo e mi lascio guidare. Scende sul mio collo e trattengo il respiro mentre inarco la schiena. Mi fa il solletico, ma allo stesso tempo è bellissimo.

«Non farò niente che tu non voglia», mi sussurra.

«Ma io voglio», sento la mia voce dire.

«Sei sicura?»

«Non vorrei farlo con nessun altro.» Ed è vero. In maniera molto audace che non è da me, lo imito e mi sfilo la maglietta rimanendo solo con il mio semplice reggiseno bianco da brava ragazza. Quante volte mamma mi ha detto che era il caso di comprare qualcosa di più adulto? Ma lui sembra non farci caso. Mi guarda solo per un attimo prima di affondare il viso tra i miei seni e mandarmi nell'iperspazio.

Il resto è tutto strano, confuso e bellissimo insieme. Le sensazioni si accavallano guidate un po' dalla paura, un po' dalla gioia. È chiaro che lui ha esperienza, sa cosa fare e come. Io sono molto più impacciata, invece lui è perfetto. Si muove dentro di me senza fretta, adattandosi al mio corpo e alla mia inesperienza, vuole che mi piaccia tanto quanto sta piacendo a lui. E io non capisco più niente, mi abbandono al momento e al nostro contatto che sembra infinito, i nostri corpi uniti come uno solo. La mia prima volta che mi resterà marchiata sulla pelle per tutta la vita.

Dopo rimaniamo un po' sul letto, abbracciati, in silenzio, lui mi bacia dolcemente i capelli, io chiudo gli occhi e mi rilasso, pensando a quello che abbiamo appena fatto, rivivendo ogni attimo come so già che farò più tardi a casa. Quindi è questo che intendono quando parlano di fare l'amore? Sorrido felice.

Il rumore di una macchina ci risveglia dal torpore.

Connor si mette seduto. «Credo sia arrivato mio padre», dice. La voce di nuovo tesa. Una portiera sbatte e dopo pochi istanti sentiamo delle voci al piano di sotto. Ci rivestiamo in fretta. Mi guardo allo specchio per cercare tracce di diversità in me. Chissà se papà si accorgerà che qualcosa è cambiato. Sicuramente se ci fosse mamma le basterebbe un'occhiata per capire che la sua bambina è diventata donna. Seguo Connor al piano di sotto e torniamo in biblioteca dove i libri di spagnolo sono ancora chiusi nella mia borsa.

«Credo che dovremmo rimandare la nostra lezione», dice sorridendo.

«Credo di sì», rispondo. «Ma non farti strane illusioni: mi hai promesso una A.» Lui per tutta risposta mi prende per una mano, mi attira a sé e mi bacia ancora. Rimarrei qui ore e ore, sempre incollata alla sua bocca, ma uno squillo del cellulare mi ricorda che Malek mi sta aspettando.

«Devo scappare», dico afferrando le mie cose. Connor mi guarda confuso. «Malek. Mi sta aspettando a casa.» Mi accompagna alla porta e mi segue fino al pickup. Si sporge dal finestrino aperto e mi guarda intensamente.

«Che c'è?» chiedo scoppiando a ridere.

«Grazie», dice. «Sarei perso senza di te.»

Sì, probabilmente è vero. 

***

Quando arrivo a casa trovo Malek seduta sui gradini del vialetto. Mi vede, scatta in piedi e mi corre incontro.

«Perché diavolo non rispondi alle mie chiamate?» urla sconvolta.

«Ero da Connor per le ripetizioni», mi giustifico anche se non è proprio la verità. «Ti ho detto che ci saremmo viste dopo.»

«Rachel è successo un casino! Uno stramaledetto casino.» Scoppia a piangere, si accascia per terra.

«Malek!» esclamo. «Che succede?» Lei scuote la testa. «Hai litigato con Alfie?» I suoi singhiozzi aumentano. «È successo qualcosa ai tuoi genitori?» Ormai è irrefrenabile. La lascio piangere perché è chiaro che non è in grado di parlare, intanto l'angoscia mi assale. Non capisco cosa sta succedendo.

«Non andrò a Yale», dice infine. «Il mio futuro è finito. La mia vita è completamente rovinata.»

«Che stai dicendo?»


«Sono incinta!»

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