Perfectly Wrong

By thiisiisme

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Quelle due lineette parallele, così semplici e banali, hanno distrutto il mondo apparentemente perfetto che a... More

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Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
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Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
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Capitolo 19
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Capitolo 42
Wattys 2020

Capitolo 7

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By thiisiisme

La prima cosa che io e Cole abbiamo fatto quando siamo rientrati nella nostra stanza d'albergo è stata infilarci nel letto, esausti. Lui è scivolato nel mondo dei sogni non appena il suo volto è entrato in contatto con il cuscino fresco, mentre io, purtroppo, non riesco proprio a fare altrettanto. 

Quando le palpebre si fanno pesanti, infatti, un bambino compare nella mia mente e mi tortura con i suoi occhioni così dolci da risultare penetranti. Lo vedo mentre prova a camminare per la prima volta, appoggiandosi ai mobili per non cadere; lo vedo correre in un grande prato verde mentre gioca a palla con gli altri bambini; lo vedo ridere e riesco quasi a sentire il suono puro e incontaminata della sua risata luminosa; lo vedo scoprire il mondo con le sue manine curiose ed innamorarsi della vita ogni giorno di più. 

Sono immagini che sfumano tutte nel buio non appena riapro gli occhi, decisa a non lasciarmi incantare. Figure che fanno persino più male delle tenebre che avvolgono il mio cuore in pezzi. 

Sogno di essere madre fin da bambina, ma non in questo modo. Tutto questo è più simile ad un incubo che alla realtà che ho sempre desiderato.

Sento le lacrime pungere, desiderose di invadere il mio viso come un fiume in piena e mi piacerebbe davvero tanto lasciarle libere, per una volta. Vorrei smettere di fingermi forte e lasciare che la mia maschera d'indifferenza si rompa in mille pezzi, permettendo all'uragano che soggiorna in me di distruggere qualsiasi qualcosa che non sia io. 

Fingere che vada tutto bene, che tutto è sotto il mio controllo, non fa che alimentare il dolore sordo che provo all'altezza del petto. 

Costringermi a sorridere quando vorrei solo piangere, dire che sto bene nei momenti in cui mi sento esplodere, alzarmi dal letto nelle mattine in cui vorrei solo sprofondare nelle lenzuola fino a scomparire fa male. Tremendamente male.

Così, anche se sono consapevole della presenza di Cole alle mie spalle, mi decido a sciogliere quell'unico nastro che mi mantiene in piedi e mi lascio andare. 

Permetto alle lacrime di scorrere indisturbate lungo il mio viso e ai singhiozzi di scuotermi il petto con violenza, sentendomi quasi felice di non dover fingere che tutto sia okay. Perché anche se continuo a ripetere di stare bene, non è affatto così. 

Mi copro la bocca con le mani per evitare di far rumore e svegliare il mio compagno di stanza, poi continuo a piangere indisturbata. Piango perché una parte di me sa che non sarò mai una brava madre, perché so che l'aborto è la scelta più giusta, anche se fa male. Piango perché questo bambino non potrà mai vedere la luce, non potrà mai respirare aria pura, non potrà mai vivere. Per colpa mia. Così i sensi di colpa per essere andata a quella festa e per aver fatto sesso con Cole riappaiono e piango ancora, sempre più forte.

"Cosa c'è che non va?" la voce assonnata di Cole riempie il silenzio della nostra stanza, congelandomi come se stessi commettendo un omicidio e fossi stata beccata con una pistola fra le mani. Mi prendo qualche istante per ritornare imperturbabile e per allontanare quegli occhioni dolci che continuano a fissarmi nel buio.

"Nulla" mi limito a dire, sicura che se dicessi anche solo una parola in più il moro noterebbe le tracce di pianto nella mia voce.

"Sei sicura di non volerne parlare?" percepisco i suoi occhi sulla mia schiena che mi chiedono di voltarmi e rivelare il mio viso segnato dalle lacrime, cosa che non farò "Sfogarti ti farebbe bene"

"Sono incinta" vorrei dirgli "E non riesco a capire se sono pronta a rinunciare ad ogni cosa per pagare il conto delle mie azioni dettate dal troppo alcool o se devo ammazzare questo bambino per poter riavere indietro la mia vita. Ho preso una decisione, stasera, mentre tu eri in fila per prendere lo zucchero filato, però adesso non riesco a smettere di chiedermi se sia la scelta giusta. Se questo è quello che voglio davvero. Continuo a domandarmi come andrà il colloquio di domani con il dottor Clyde, se scoppierò a piangere come una disperata o se riuscirò ad essere abbastanza fredda da chiedergli di uccidere mio figlio. Perciò non c'è nulla che vada bene, cazzo. Assolutamente nulla" queste parole mi rimbombano nella testa, ricordandomi che non sono abbastanza forte per affrontare davvero questa discussione.

"Voglio aiutarti" m'incita a parlare, il tono di voce dolce.

"Ho preso la mia decisione" rispondo in un sussurro, alludendo al discorso dell'altro giorno "Però, così come hai detto tu, sarò costretta a sacrificare qualcosa e..." deglutisco, nella speranza di ricacciare le lacrime "Fa così male"

"Ti prometto che un giorno tutto questo sarà solo un ricordo lontano" mi parla con delicatezza, come se temesse che le sue parole possano rompermi più di quanto già non lo sia "Un giorno la ferita si rimarginerà, il dolore si attutirà e sarai ancora felice" la sua mano mi carezza i capelli come se fossi una bambina che ha solo bisogno di essere rassicurata "Te lo prometto" un piccolo sorriso fa la sua comparsa nonostante le lacrime abbiano ripreso a scorrere.

"Adesso dormi un po', ci sono io con te" mi abbraccia forte ed io, con il volto ancora rigato dalle lacrime, riesco finalmente a prendere sonno.

Stamattina mi sono svegliata presto, stanca di tutti quegli uomini in camice bianco desiderosi di uccidermi che hanno popolato il mio sonno. Mi sono alzata dal letto mentre il sole sorgeva e mi sono fatta una lunga doccia rilassante, sicura che di lì a poco la paura di aver preso la decisione sbagliata mi avrebbe invasa con veemenza.

Invece, contro ogni mia previsione, non è successo. Non ho pianto, dubitato della mia scelta, né mi sono torturata nell'immaginare la conversazione che avrei tenuto di lì a poco con il dottor Clyde. Mi sembra di essere stata avvolta in una bolla in cui non riesco a sentire nulla, ad eccezione di un immenso senso di vuoto. È come se ogni tipo di emozione fosse scivolata via assieme alle lacrime ieri notte. 

Ho indossato un paio di jeans a vita alta ed un maglioncino rosa pastello in modo meccanico e mi sono fissata negli occhi attraverso lo specchio alla ricerca di qualsiasi traccia di debollezza o ripensamento, ma nelle mie iridi non ho trovato altro che vuoto.

Ho preso un post it con il logo dell'albergo dalla scrivania ed ho lasciato un messaggio per Cole, in modo da non farlo preoccupare e soprattutto per impedirgli di iniziare a cercarmi e tempestarmi di telefonate e messaggi.

Scusami per non averti avvisato, però avevo davvero bisogno di una boccata d'aria e sono uscita a fare due passi. Ho la necessità di trascorrere un po' di tempo da sola con i miei pensieri, perciò ho impostato il non disturbare al telefono. Non preoccuparti per me, sto bene. Krystal.

Prima di raggiungere un risultato abbastanza credibile, ho scritto e riscritto quelle poche righe un'infinità di volte. Ho buttato nel piccolo cestino sotto la scrivania una mostruosa quantità di post-it che non mi convincevano in quanto, almeno riletti da me, mi sembrava che urlassero, dalla calligrafia al contenuto, quanto stessi male in quel momento.

Infine, dopo aver posato il biglietto sul comodino di Cole, mi sono presa qualche momento per osservare il suo viso tranquillo e beato mentre dormiva. Stranamente non mi sono sentita in colpa, però mi sono ritrovata ad invidiarlo un po'. Ignaro di tutto e con la facoltà di scegliere se e quando allontanarsi da questa realtà, da quella che ormai è la mia realtà.

Una volta fuori dall'hotel ho ignorato tutti i taxi neri parcheggiati davanti all'ingresso e mi sono avviata a piedi verso l'ospedale Saint George, desiderosa di qualche attimo di pace prima dell'inevitabile tempesta. 

Passo la maggior parte del tempo a cercare d'immaginare come sarà il volto del dottor Clyde ed a chiedermi se riuscirà o meno a farmi sentire a mio agio. Nel suo blog personale, il medico definisce questo tipo di colloquio come una semplice chiacchierata, in cui posso – anzi devo – sentirmi libera di esprimere ogni pensiero, di condividere ogni dubbio o paura. Eppure dentro di me so che ogni cosa che dirò sarà riferita al giudice tutelare e, se dovessi fare anche un solo passo falso, potrei non ottenere l'autorizzazione per interrompere la gravidanza. 

In un certo senso l'idea di non avere il permesso del giudice mi tranquillizza. È strano anche solo pensarlo, però sapere di aver fatto tutto il possibile, ma non aver ugualmente ottenuto l'approvazione necessaria mi esornerebbe dal prendere questa decisione difficile e mi farebbe sentire più leggera.

L'inquietante sensazione di vuoto che mi ha accompagnata per tutto il tragitto si dissolve non appena mi ritrovo di fronte all'enorme struttura che è l'ospedale. Lo stomaco sembra annodarsi in modo contorto ed incredibilmente doloroso, mentre i muscoli s'irrigidiscono, contraddicendo l'improvviso desiderio di scappare via. 

Faccio un bel respiro profondo e mi costringo a spingere la porta d'ingresso ed entrare nell'ospedale.

L'odore pungente del disinfettante mi pervade le narici con violenza, facendo riaffiorare nella mia mente una serie di dolorosi ricordi legati a mio nonno. Paul, così si chiamava mio nonno, si è spento qualche anno fa a causa di un aggressivo cancro alla tiroide. Ha passato l'ultimo periodo della sua vita in ospedale ed io gli sono stata accanto, vedendolo spegnersi piano piano, perdere le forze gradualmente fino ad addormentarsi in un sonno senza fine. 

Permetto ad un'abbondante quantità d'aria di entrarmi nel naso, nella speranza di ricacciare le lacrime che mi hanno riempito gli occhi.

In cerca di distrazione per non lasciarmi soffocare da queste dolorose memorie, mi avvicino al bancone al centro della hall e mi rivolgo ad un ragazzo dai capelli ricci e dall'aria gentile.

"Buongiorno, come posso aiutarla?" il suo tono di voce è così morbido che per una breve frazione di secondi mi ritrovo a chiedermi se non sia così gentile per via del mio volto spento.

"Ho un appuntamento con il dottor Clyde stamattina e vorrei sapere dove posso trovarlo" gli dico "Sono Krystal White" aggiungo poi e lui, dopo un "controllo subito" corredato da un grande sorriso, inizia a picchiettare le dita sulla tastiera del pc.

Deduco che abbia trovato il mio appuntamento dal modo in cui i suoi occhi schizzano verso di me, poi verso il computer per un paio di volte. Sono più che sicura che la sua sorpresa derivi dalla mia data di nascita e dal motivo per cui mi trovo qui. Resta a fissarmi imbambolato, come se avesse appena letto che sono un'aliena proveniente da Marte.

"Se è questo che si sta chiedendo, ho diciassette anni e sì, sono incinta" la mia voce è affilata come una lama "Adesso può per favore smetterla di giudicarmi ed indicarmi dove devo andare oppure devo chiedere a qualcun altro?"

"Io non..." le sue guance si tingono di rosso acceso ed io lo fulmino con lo sguardo, ponendo così fine al suo disperato tentativo di arrampicarsi sugli specchi "Quarto piano, corridoio a sinistra, seconda porta sulla destra. L'assistente del dottor Clyde la chiamerà non appena sarà il suo turno, nell'attesa può accomodarsi sulle poltroncine che si trovano nel corridoio" mi allontano dal bancone senza ringraziare e, mentre salgo le scale mi accorgo che, forse a causa del sangue che mi ribolle nelle vene, ogni movimento mi costa una fatica immensa. 

Mi sembra di avere i piedi di cemento armato, infatti ci metto una quantità di tempo sproporzionata per percorrere le quattro rampe di scale che mi separano dalla mia meta. 

Quando arrivo al quarto piano ed imbocco il corridoio a sinistra come da istruzioni, la voglia di schiaffeggiare il ragazzo nella hall viene sostituita da un mix di sensi di colpa, dolore, paura, voglia di scappare e di urlare. Voglia di proteggere il mio bambino dai medici che cercano di strapparlo via dal posto sicuro che costituisce per lui il mio utero; voglia di essere un adolescente come tutti gli altri; voglia di tornare indietro nel tempo per non essere mai costretta a prendere una simile decisione. 

Nonostante ci sia una parte di me che non approva la scelta presa e che mi sta urlando di correre il più lontano possibile da questo posto, raccolgo tutto il coraggio che mi resta e mi costringo a camminare in direzione delle poltroncine bianche e asettiche come tutto il resto.

Mentre cammino a passo deciso verso l'unica sedia vuota rimasta, il dolce suono di un pianto cattura la mia attenzione. 

Senza nemmeno rendermene conto, supero la porta con la targhetta del dottor Clyde ed inizio a seguire questo suono, come un serpente seguirebbe le note del pungi. 

Quando raggiungo l'origine di questo pianto così delicato da sembrare angelico, dimentico ogni cosa. Poso le mani sulla parete in vetro della stanza dove ci sono i bimbi appena nati e resto a guardarli, ammaliata dai loro visini dolci. Tanti piccoli bambini dai tratti delicati popolano questa stanza che, a differenza di tutte le altre, sembra essere colorata e piena di vita. 

Le cullette sono disposte una a fianco all'altra, con il nome del bambino che ospitano in bella vista. Dopo essermi lasciata ipnotizzare dai loro corpicini così piccoli ed innocenti, riesco ad individuare il bambino di cui ho seguito il pianto.

Sembra più piccolo degli altri e, a differenza di loro che se ne stanno tranquilli a guardarsi attorno, continua a piangere. 

Vedo le lacrime che gli scorrono lungo il viso e gli occhietti stringersi in una richiesta, più che un'espressione. Desidera un abbraccio, una carezza, una qualsiasi cosa che gli dimostri che non è solo in questo mondo crudele. 

Così, fregandomene di tutte le regole che infrangerò e della strigliata che mi prenderò se mi beccano, entro in quella stanza in cui regnano pace e purezza. Perché, almeno per me, è la cosa giusta da fare. 

Mi avvicino alla culla del bambino a piccoli passi, per evitare di spaventare gli altri con la mia improvvisa intrusione.

"Ciao piccolo" la mia voce è un sussurro "Sono Krystal" avvicino la mia mano alla sua e gli permetto di studiarmi per decidere se fidarsi o meno di me "Non c'è bisogno di piangere, adesso non sei più solo. Io sono qui con te e, a meno che qualcuno non mi scopra e mi cacci via, non ho intenzione di andarmene. Te lo prometto" i suoi occhietti chiari incontrano i miei ed il mio cuore fa un doppio salto mortale all'indietro "Che ne dici, ti va se ti prendo in braccio e ti cullo un po'?" il bambino mi stringe l'indice con la sua piccola manina ed io lo interpreto come un segnale di assenso. 

Così lo prendo fra le braccia con delicatezza e lo stringo a me, mentre gli carezzo i capellini sottili con fare affettuoso. Gli canticchio una ninnananna che mia mamma mi cantava tutte le sere prima di andare a dormire e lui smette di piangere, come per magia. 

E mentre si rilassa e posa la piccola testa sul mio seno, per la prima volta da quando è iniziata questa terribile giornata, sento qualcosa che non sia ansia né paura. Percepisco il mio cuore che batte, come se questo piccolo bambino fosse riuscito a sciogliere la lastra di ghiaccio che lo avvolgeva. Mi sento calda e viva come non mi succedeva da tempo mentre ascolto il battito del suo piccolo e forte cuoricino. 

Questa sensazione è diversa dall'adrenalina provata durante i miei giorni da diciassettenne, eppure è ugualmente bella. Un'iniezione di felicità allo stato puro. Mi abbandono nel percepire il suo profumo e nell'udire il suo respiro regolare e calmo.

"Ciao" una voce fa irruzione in quello che definirei il mio paradiso personale e mi fa voltare di scatto verso l'ingresso, spaventata. Mi ritrovo davanti ad una donna a cui attribuirei circa trent'anni e che, nonostante il viso provato dalla stanchezza, trovo molto bella. A renderla splendida sono gli occhi, luminosi e splendenti di gioia.

"Scusami... Io... Non volevo... Davvero..." provo a dire qualcosa di sensato, ma dalle mie labbra fuoriescono solo parole sconnesse. Cosa si dovrebbe dire quando si è appena stati scoperti in un posto in cui non si ha il permesso di essere? Non ne ho la più pallida idea e forse è per questo che non riesco nemmeno a pensarla, una frase di senso compiuto.

"Sta' tranquilla" la mia interlocutrice sorride per il mio vano tentativo di dire qualcosa di sensato "Visto che Mike ti ha permesso di prenderlo in braccio senza mettersi a strillare come fa di solito, è evidente che gli piaci molto"

"È tuo figlio?" chiedo curiosa e subito dopo mi accorgo che questa è la frase meno appropriata che potessi dire.

"Sì", la mamma del bambino che ho tra le braccia mi sorride ancora ed io riesco a percepire la stessa luce degli occhi anche nelle sue labbra che s'incurvano verso l'alto "È nato tre giorni fa e stasera potremo finalmente tornare a casa" le sorrido anche io, contagiata dal suo entusiasmo.

"È davvero un bambino splendido" mi prendo qualche attimo per assaporare la tranquillità ultraterrena che il piccolo riesce a trasmettermi, poi lo poso con dolcezza nella sua culletta azzurra "Scusami ancora per averlo preso in braccio senza la tua autorizzazione, però stava piangendo e non potevo restare a guardarlo senza fare nulla"

"Non devi preoccuparti, al tuo posto avrei fatto la stessa cosa" la sua voce è sincera e dolce "E poi mi basta guadarti per capire che le tue erano solo buone intenzioni" un altro sorriso.

"Nel caso in cui volessi sapere chi stava tentando di rapire il piccolo Mike, sono Krystal" le porgo la mano.

"Jennifer" mi risponde lei, per poi scoppiare in una fragorosa risata.

"So che ci siamo appena presentate e probabilmente ti sembrerò inopportuna, però mi piacerebbe chiederti una cosa... Posso?" le domando mentre usciamo dalla stanza.

"Certo che puoi" m'invita a parlare.

"La gravidanza è difficile?"

"Non ti nego che sia un percorso lungo e complesso, però quando avrai il tuo piccolo tra le braccia tutte le tue fatiche saranno ricompensate e ti sentirai bene come non lo sei mai stata" mi guarda comprensiva per un attimo, poi l'imbarazzo le tinteggia le guance, rivelando il suo timore di aver capito male. Così le rivolgo uno sguardo eloquente che sembra rassicurarla.

"Grazie" la abbraccio forte, grata di averla incontrata. 

Grazie a lei e al suo bambino oggi ho capito cosa voglio davvero. La risposta che cercavo da così tanto tempo era racchiusa in quegli occhietti dolci, in quelle guanciotte paffute. La strada da seguire era negli occhi scintillanti di gioia di Jennifer, nelle sue labbra che scattavano verso l'alto quando si soffermava a guardare il suo bambino. 

So che sarà molto difficile e che dovrò sacrificare la mia adolescenza per essere una brava madre, però ora so di essere disposta a farlo. Nel mare di punti interrogativi che è la mia mente, in quell'insieme di pensieri confusi e incomprensibili, è comparsa una certezza ed ho intenzione di aggrapparmici con tutte le forze. Non ucciderò mio figlio.

E proprio davanti alla stanza dove ho incontrato il piccolo Mike, in quest'ospedale che profuma di detersivo e disinfettante, faccio una promessa all'esserino che mi cresce dentro. 

Gli prometto che, anche se probabilmente non sarò mai la mamma migliore di questo mondo, anche se sarò un vero e proprio disastro, ci proverò con tutta me stessa e gli darò tutto l'amore di cui dispongo. Resterò al suo fianco sempre, pronta a schierarmi dalla sua parte e a tendergli la mano quando ne avrà bisogno. Sarò il suo faro quando crederà di essersi perso nel buio e il suo salvagente quando avrà paura di affondare. 

Io ci sarò. Ed è questo l'importante.

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