SOTTO LE PERSONE

By peesca

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Vincitrice premio #Wattys2020 categoria New Adults ๐Ÿซถ๐Ÿป "Una nuova cittร , una mansarda malconcia, l'universit... More

Prefazione
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
SPAZIO AUTRICE
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Capitolo 55
Ringraziamenti
Playlist Spotify

Capitolo 25

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By peesca

«Cristo, Ryan!» urlo, girandomi di scatto per evitare di vedere il suo corpo nudo. Mi porto le mani sugli occhi, scuotendo la testa.

Sento sbattere cassetti e oggetti, sbuffa piano mentre si veste, e io incrocio le braccia al petto, ancora girata.

«Voltati, ragazzina.»

Mi giro, facendo parecchia fatica a lasciar perdere il tono autoritario con cui mi ha parlato.

Osservo la sua maglietta bianca fasciargli il busto, i pantaloni neri di una tuta cadergli morbidi sulle gambe lunghe e il pacchetto pieno di scritte da cui sta estraendo accendino e sigaretta.

Mi fissa con sguardo ardente, sembra incazzato anche lui. Inizia a fumare, facendo apparire quella fastidiosa e incredibilmente attraente fossetta. I suoi occhi si piantano nei miei, minacciosi.

«Ti ho fatto una domanda» dico, dopo aver buttato l'iPhone sul letto, presa da una serie di strane emozioni che non riesco a comprendere.

«Non devo spiegazioni a nessuno, men che meno a te» risponde a tono, per poi fare un tiro nervoso.

«Dovevi pensarci prima di portarmi a casa tua, e di baciarmi, e di trattarmi come se importassi qualcosa.»

«Ti ho solo fatto un favore.»

«Potevo cavarmela benissimo da sola.»

In risposta, Ryan sbuffa una risatina incredula. Il messaggio mi arriva forte e chiaro, e non ci vedo più dalla rabbia. Essere considerata un'incapace mi urta davvero tanto. Sorrido per prenderlo in giro, gli faccio degli applausi lenti e sfacciati.

«Complimenti, Ryan, davvero complimenti. Tu sì che sai come conquistare una ragazza, tu sì che sai come trattare le persone. Mi porti qui con l'obiettivo di scoparmi, poi mi pianti in asso per andare a giocare a Fight club col tuo amico, e ora mi dai pure dell'incapace.»

«Ti ho conquistata, infatti» risponde lui, lasciando perdere il resto del mio sfogo.

E io che mi sono confidata con lui, penso, sentendomi davvero ridicola.

Mi mordo le labbra, aggrotto le sopracciglia, cerco di non fargli capire che è vero, che è davvero così, che ci sono cascata in pieno, e forse è proprio per questo che sto dando i numeri, ora. Continua a studiarmi, fa cadere un po' di cenere per terra, e si riporta lentamente la sigaretta alle labbra. Sa bene che quello stupidissimo gesto mi manda in tilt, manderebbe in tilt chiunque. Ogni suo movimento è una fottutissima trappola.

Sono troppo arrabbiata per pensare lucidamente, così raccolgo la sfida, cosa che inizia a succedere troppo spesso. Mi avvicino a lui, mantenendo gli occhi fissi nei suoi. Porto le mani sul suo addome, e i suoi occhi brillano, velandosi di passione. Faccio correre le dita della mano sinistra sul suo fianco, alzo leggermente la maglietta.

«L'unica cosa che hai conquistato è il mio accendino» dico, estraendogli l'aggeggio dalla tasca. «E ora non hai più nemmeno questo» mormoro poi, aumentando la distanza tra di noi.

Ryan rimane immobile, non aspira nemmeno più, lascia che il suo viso si indurisca e non riesce a mascherare quanto è incazzato. Raccolgo in fretta le mie scarpe e il cellulare, ed esco dalla camera, galoppando verso l'uscita.

Sento dei rumori provenire dalla stanza di Ryan, e la mia testa deve aver immaginato la sua voce imprecare.

Non l'ha fatto davvero, penso, convincendomi che non ci tiene così tanto da incazzarsi per le mie parole.

Esco a piedi scalzi, con gli occhi gonfi e bruciata, bruciata, bruciata da capo a piedi.

Per cosa, poi? Mi infilo le scarpe prima di uscire dal cancello in ferro battuto. Mi avvio sulla strada silenziosa, il vento fresco che mi accarezza le guance accaldate.

Forse perché io gli ho detto tutto, mentre lui non mi dice mai niente, lascio vagare i miei pensieri. Forse perché credevo potesse capire, invece non ha capito proprio un cazzo. Forse perché mi sono preoccupata per lui, quando avrei dovuto fregarmene e basta. Tanto, chi cazzo lo conosce.

Dopo aver seguito la strada per una decina di minuti, mi ritrovo davanti a una fermata del tram. Decido di aspettare l'arrivo di qualcuno, per potergli chiedere informazioni. Mi passo il dorso della mano sul viso, per asciugarmi le poche lacrime che non sono riuscita a trattenere. Accendo la fiamma dell'accendino, me lo passo, insieme al telefono, da una mano all'altra, per infinite volte.

Dopo quelle che sembrano ore, un tram si ferma davanti a me, scaricando cinque, sei persone. Mi fiondo dall'autista, che mi lancia un'occhiataccia schifata, e mi dice che posso prendere questo mezzo per arrivare a Venezia. Pago con il contante che ha resistito nella cover del mio cellulare, e mi siedo vicino a un finestrino.

Farà il giro del globo, ma almeno mi porta dove serve, penso, cercando di specchiarmi sullo schermo nero del telefono. Capisco il perché della faccia schifata dell'autista, e provo inutilmente a rimediare.

Ordino i capelli in una coda alta, con l'elastico che tengo sempre al polso, mi raddrizzo per bene il vestito, mi inumidisco le labbra. Dopo una mezz'ora, scendo in Piazzale Roma, e mi avvio verso casa, a testa bassa.

Squadro l'edificio in cui abita Ryan, prima di imboccare il mio ingresso e salire in mansarda.

Sono distrutta, penso, mentre mi guardo allo specchio del bagno. Ho tirato dritto, quando sono passata dalla porta dei ragazzi.

Non voglio mi vedano così.

Mi butto in una doccia calda, dopo aver messo a caricare il cellulare. Una volta uscita, mi occupo della valanga di messaggi che mi sono arrivati. Sorrido alle minacce di Alice, a tutte le parolacce che mi ha scritto, e arrossisco alle chiamate di Thomas.

Chiamo Alice, mordicchiandomi le labbra già a pezzi. Al secondo squillo risponde, urlando: «Dove cazzo sei?!»

«Sei a casa?» le chiedo di rimando, la voce spezzata.

Lei pare capire che qualcosa non quadra, e mi chiede: «Sì. Chi devo picchiare?»

«Vieni su» mi limito a dire, abbozzando un sorriso.

Poco dopo, Alice varca la porta del mio appartamentino. Sospirando, mi abbraccia forte e mormora: «Dobbiamo fare qualcosa per quelle occhiaie». Ridacchio, e tiro fuori dei biscotti. «Racconta. Tutto, mi raccomando. Ci hai fatto prendere un infarto quando sei scesa in quelle condizioni, ieri sera.»

«Ho avuto una piccola disavventura con due coglioni e mi sono lasciata prendere da un attacco di panico. Ryan mi ha aiutata a rimettermi in sesto. Per quello ero così, quando sono venuta in cerca del mio cellulare.»

Alice non si sofferma sul mio problema degli attacchi di panico, e la ringrazio in silenzio per questo. Non ho decisamente voglia di parlarne.

«Dove siete andati, così di corsa?»

«A casa di Ryan.»

«Sei stata qui di fronte tutto questo tempo?» inizia a scaldarsi Alice, offesa.

«No, no. A casa sua, a Mestre. Ha una villa enorme vicino all'amico di Mas, Alessandro. Siamo rimasti lì tutta la notte, ci siamo addormentati e...» esito, prima di raccontarle della stupida sfuriata che ho fatto al ragazzo del 32.

«Ah, ah, riavvolgi il nastro, biondina. L'avete fatto?» mi chiede, lasciando trapelare tutta la sua curiosità.

«No» dico, arrossendo, «ci siamo solo baciati un paio di volte.» Cerco di togliermi l'espressione ebete che sento avere in faccia.

«Non ci credo.»

«Marco ci ha interrotti ogni volta» sussurro, e faccio di tutto per scacciare certi pensieri. Il fatto che avrei tanto voluto che non lo chiamasse ventimila volte, rompendo il cazzo, per esempio.

«Marco?!» Pede diventa sempre più interessata.

Io annuisco, per poi aggiungere: «Ha chiamato un sacco di volte. Avevano chissà che problema, Ryan poi l'ha raggiunto non so dove, non l'ho sentito rientrare perché dormivo, e stamattina l'ho ritrovato con un livido in faccia».

«Oh, cazzo. Allora era lui!» esclama Alice, la bocca spalancata. «Ieri sera qualcuno ha pestato un amico di Alessandro. Anche Mas lo conosce» prosegue, tirandosi indietro i capelli per liberarsi la fronte.

«Noi eravamo in casa, siamo rimasti in taverna tutto il tempo. Dopo un po' se ne sono andati tutti, e abbiamo visto entrare Ale con 'sto ragazzo aggrappato a lui. Era ridotto male.»

Lascio proseguire Pede, mentre sento il cuore appesantirsi.

«Alessandro non ha voluto dirci chi è stato, ma ho visto Marco mille volte discutere con Enrico, nell'arco di tutta la serata.»

Aggrotto le sopracciglia, prima di chiederle: «Chi è Enrico?»

«Il ragazzo pestato.»

Butto fuori tutta l'aria che ho nei polmoni. Riprendo in mano l'accendino, ci gioco ancora e Pede tira fuori le sue Winston Blue.

Me ne porge una, e accetto volentieri. Fumiamo insieme, silenziose, pensando a ciò che è accaduto la notte appena trascorsa.

«Scusa, ma... come siete tornati a casa?» butto fuori il fumo, aspettando che la mia amica faccia lo stesso.

«Michela ci ha dato un passaggio» risponde Alice, con un sorriso soddisfatto.

«Non ci sono tram, la sera tardi?»

«L'ultimo in quella zona passa alle ventitré e trenta, credo.»

Annuisco di nuovo, facendo due conti. Almeno Ryan non mi ha mentito su questo.

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