Il gioco dell'ostrica

Od ethelincabbages

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[Edito per Words Edizioni, disponibile in formato digitale e cartaceo su Amazon] Beatrice Bianchi ha ricevuto... Více

Premessa
Ouverture (I)
Ouverture (II)
Per continuare a leggere...

Ouverture (III)

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Od ethelincabbages

Aveva i piedi doloranti. Feste di nozze, balli scatenati e intolleranza ai tacchi alti erano una combinazione perfetta per le fitte ai piedi. Era scappata via dalle danze per rinfrescarsi le idee all'aperto, dopo la piccola débâcle con Benedict e l'ammonizione di sua sorella. Secondo Nina essere sgarbati non era mai corretto. Secondo Bea essere sgarbati, talvolta, era proprio quello che ci voleva, soprattutto per quelli come Benedict Devereux.

Il giardino del Roseto si rivelò un posto abbastanza piacevole a quell'ora della notte. Piccole lampade tonde illuminavano le aiuole di narcisi gialli, gli albicocchi in fiore e le poche panchine. A dispetto dei rumori che sarebbero dovuti provenire dall'interno dell'albergo, in quel piccolo angolo di universo regnava una calma surreale.

Bea tolse le scarpe, quegli strumenti di tortura, e lasciò che l'erba fresca le accarezzasse i piedi nudi. Sentirne il solletico tra le dita la rilassava. Amava le feste, la gente, le chiacchiere e le risate. Non amava, invece, i vestiti stretti e corti, anche se le mettevano in risalto la figura; non amava i ferrettini che le stringevano i capelli, anche se le sistemavano al meglio i boccoli intorno al viso; e non amava le scarpe alte, anche se facevano sembrare le sue gambe vertiginosamente lunghe. Vertiginosamente era un avverbio uscito dalla bocca di Lucia, perché i tacchi slanciano. Se fossi nanerottola come te non mi permetterei mai di snobbarli. E le sorelle minori servivano a ricordare queste cose.

Sorrise tra sé e sé, mentre passeggiava con calma verso il gazebo alla fine del viale. Il suono distinto di qualcuno che si schiariva la gola le fece notare la presenza celata tra gli alberi nella penombra del giardino. Ben. Perché le sembrava una cosa così ovvia, ora che lo aveva visto? L'anima in pena se ne stava in solitudine nell'oscurità. Quasi un Heathcliff di ultima generazione.

Bea si avvicinò. Forse, gli doveva delle scuse. O forse no. Una nuvola di fumo gli incorniciava il viso, tra le dita stringeva un tubetto che aveva tutta l'aria di essere una sigaretta elettronica, una di quelle con gli aromi impensabili.

«Marshmallow, vaniglia e...?»

«Cannella» concluse lui, piegando il capo verso di lei. Si allontanò dall'albero contro cui era poggiato e le andò incontro.

«Hai un pacchetto di Parliament One nella tasca interna della giacca.»

«No shit, Sherlock

«Hai sempre un pacchetto di Parliament One nascosto da qualche parte. E cerchi sempre di non prenderle, ma non ti riesce spesso.» Benedict sospirò e si lasciò andare a un sorriso quasi aperto. «Non sei l'unico che osserva senza farsi notare.»

«Posso offrirtene una?»

Bea arricciò il naso e scosse la testa inorridita. I suoi approcci col fumo? Fallimentari esperienze di gioventù. Meglio non rinvangare. Reminiscente di una conversazione simile, specificò: «Il fumo uccide.»

«Lo so» accordò lui, quasi rattristato dalla cosa. «Continua pure la tua passeggiata» disse, invitandola a proseguire. «A meno che... ti andrebbe di parlare?»

«Parlare, Ben?»

«Adesso sono di nuovo Ben?» ghignò appena, prima di rivolgere lo sguardo ai piedi nudi di Bea. Il sorriso accennato di prima si allargò con una naturalezza che gli aveva visto sul volto ben poche volte. Lei se ne andava in giro con le scarpe in mano, anziché al loro posto corretto, e lui? Sorrideva.

Beatrice odiava osservare quei cambiamenti repentini di umore sul suo volto: quei sorrisi erano rari e sinceri, gli rilassavano i muscoli del viso e gli illuminavano lo sguardo. Diventava più giovane e più umano. Sapeva fin troppo bene in quanti e quali guai avrebbe potuto condurla un numero più elevato di quei sorrisi, guai serissimi.

Ben mise via la sigaretta elettronica e le porse una mano. «Ti va di andare in un posto?» bisbigliò.

«Come, scusa?»

«Voglio mostrarti un posto» ripeté con calma. Era sempre così attento quando parlava in italiano; scandiva con chiarezza ogni sillaba, ma non riusciva mai a liberarsi dell'inflessione inglese. E non essere perfetto nel suo eloquio lo infastidiva, anche questo Bea aveva notato.

Benedict era infastidito da un sacco di cose: la confusione, la gente, la volgarità, le risate e i poveracci che non avevano avuto l'onore e l'onere di nascere in famiglie altolocate. Ma più di tutto, a Bea sembrava che talvolta Ben fosse infastidito da sé stesso. Come un Heathcliff di ultima generazione, appunto.

«Dov'è che andremmo?»

«Se vuole seguirmi, signorina» disse lui, inchinandosi alla maniera dei gentiluomini di qualche epoca perduta.

La fece girare attorno all'albergo, tra gli alberi del giardino; attraversarono anche il roseto, che esisteva realmente nella parte più protetta della proprietà. Infatti, dietro una distesa di aiuole punteggiate da diverse specie di rose, trovarono un cancelletto che si apriva sul viale diretto alla spiaggia.

«Credevo che l'ingresso alla spiaggia privata fosse dall'altro lato» Bea diede voce al proprio stupore.

«Questo è l'ingresso originale. A mia zia non è mai piaciuto molto, credo pensi sia troppo poco sontuoso. Io lo trovo molto pittoresco, invece» ammise lui e Bea si sorprese a condividere la sua opinione. Era uno sbocco semplice, talmente ben curato da apparire naturale.

«Adesso sì che vale la pena togliere le scarpe» e, così dicendo, iniziò a slegare i lacci delle sue Oxford, prima di sfilare i calzini. Per la ragazza era molto più facile, via una fibbia, via anche l'altra.

Il contatto con la sabbia fredda fece rabbrividire Bea. Si sorprese a osservare l'uomo accanto a lei mentre, rimanendo in maniche di camicia e panciotto, si toglieva la giacca e la posava in terra. Lucia sarebbe sbiancata di fronte a una visione del genere: chi era il folle che osava compiere un tale sacrilegio verso una giacca dal taglio così pregevole? Ma Beatrice non ebbe il coraggio di fare alcuna osservazione in proposito; per quanto provocarlo fosse in ogni caso uno dei suoi passatempi preferiti, la sua disinvoltura la colpiva in maniera non prevista e la lasciava senza parole. La invitò a sedersi accanto a lui.

Il mare era mosso, scuro, la schiuma bianca delle onde che si infrangevano sulla riva si intravedeva appena nel chiaroscuro della luna. Sembrava quasi un mostro infuriato, lo si sentiva ruggire, come un leone chiuso in gabbia che ti avverte della sua potenza frustrata. Finché un giorno non riesce a fuggire via, e a quel punto nessuno sa quello che può accadere.

«E adesso?»

«Adesso? Guardiamo il cielo.»

Stelle. Un'infinità di puntini, là sopra, a guardarci. E noi a guardare loro. Luci che credi siano lì in quel momento e invece non è dato sapere, potrebbero anche non esserci più. Ma la loro luce continua a camminare, a correre per anni e anni, e millenni qualche volta, fino ad arrivare a te. Quella sera, in quel preciso istante.

La vista era fantastica. La lontananza delle luci artificiali permetteva al cielo di mostrarsi in tutto il suo splendore notturno. Bea si sentì sopraffatta, era uscita per prendere una boccata d'aria, per sfuggire al chiacchiericcio di amici e conoscenti, non si aspettava questo Benedict. Lo stesso uomo scostante e pragmatico fino all'esasperazione che ora la invitava a guardare le stelle. Perché?

Si girò di scatto verso di lui e si accorse troppo tardi della pericolosa vicinanza che avevano i loro visi. Benedict era però concentrato a fissare il cielo e non si accorse dell'imbarazzo dipinto sul volto di lei.

«Che mi combini, Ben? Scappare da una festa per nasconderti dagli altri e metterti a guardare le stelle? Perché non ho mai conosciuto questo lato di te?»

«Sometimes» disse piano.

Poche volte Bea lo aveva sentito lasciarsi sfuggire qualche parola nella sua lingua madre. Il suo tono, quando parlava in inglese, aveva una sfumatura più trasandata, meno costruita.

«Lo sai che non sono al mio meglio in mezzo a troppa gente. È... non so» continuò, «rilassante. È più facile chiedersi cosa ci sia lassù che...» Si voltò anche lui verso di lei. Si ritrovarono occhi negli occhi, fin troppo vicini, fin troppo chiari. I suoi occhi non erano poi così gelidi, quando s'impappinava sulle parole e accorciava le distanze tra sé e il resto del mondo. Erano occhi chiari e limpidi, come i cristalli di neve che si sciolgono a contatto con l'acqua più calda. «Non credo di possedere il talento per conversare con facilità del più e del meno. Pensavo lo avessi capito, ormai.»

Erano così vicini da lasciare a Bea la possibilità di sentire il suo respiro sulle labbra. Sapeva di vaniglia e marshmallow e vino, il suo respiro. Ed era quello il problema, era sempre stato quello.

Ben la osservava concentrato, prima gli occhi, poi la bocca; aspettava una sua mossa.

Bea si girò dall'altra parte.

«Non volevi parlare?»

«Stiamo parlando» specificò lui.

Un sorriso non del tutto sincero le si disegnò sul viso, inalò quanta più aria possibile prima di tornare a fronteggiarlo. «Che ci fai qui, Ben?»

«Te l'ho detto, Pas—»

«Perché sei tornato? Dov'è il tuo amico?»

«In giro» borbottò appena lui, non sembrava voler affrontare l'argomento, ma evidentemente lo sguardo che lei gli dedicò lo indusse a farlo. «Carlo è in quel periodo della vita in cui tutto è eccitante e complicato allo stesso tempo. La sua indole e il suo mestiere gli impongono di cercare sempre qualcosa di nuovo da fare.»

«Incredibile» Bea serrò il pugno e sentì la sabbia fredda penetrarle tra le dita e sotto le unghie. Gliel'avrebbe buttato in faccia, un pugno di sabbia. A lui e al suo amico assente.

«Pensavo potessimo... I mean... non ti...» Benedict piegò la testa di lato, quasi volesse osservarla meglio. Schioccò la lingua contro i denti, prima di sfiorarle piano il viso con due dita, invitandola a guardare di nuovo lui e non la nera sabbia sotto la sua mano. «Non ti manca un po'?»

«Siamo alticci, Benedict?» chiese lei, per evitare una risposta onesta: sì, le mancava. L'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento era ricadere nel loro stupido gioco suicida. Era stato stuzzicante all'inizio, eccitante, persino divertente. All'inizio.

Benedict si lasciò andare a un ghigno fuori luogo. «Cosa succede se dico di sì?» Avevano scordato entrambi quanto poco educato fosse rispondere a una domanda con un'altra domanda.

«Non potresti dire quello che vorresti dire e chiuderla qui?»

«Mi piacerebbe tornare indietro allo scorso autunno.»

Tornare indietro all'autunno appena passato. Non sarebbe facile, Bea? Così facile. Rimase impietrita di fronte al significato implicito di quell'affermazione. Si rifiutò di voltarsi a guardarlo in viso, tentando di scacciare i ricordi che le si accavallavano in mente.

«Mi hai quasi uccisa lo scorso autunno.» Cercando di obliare tutto il resto, scelse di punzecchiarlo sull'evento più semplice tra quelli che avevano condiviso all'inizio della loro conoscenza: il suo incontro ravvicinato del terzo tipo con la motocicletta di Benedict per le strade di Torrelunga.

«Non me lo perdonerai mai, vero?» Lui si dimostrò disposto ad accettare lo scherzo. Più di quanto lei ricordasse. «Non ti ho neanche sfiorata» borbottò, in ogni caso, alzando gli occhi al cielo.

«Sei stato comunque un gran maleducato» chiarificò lei, rammentando parole come Non ho nessuna intenzione di chiedere scusa per qualcosa che non ho fatto.

«Sarei più fedele alla cortesia inglese, questa volta» confessò lui. Era la prima volta che ammetteva di essere stato scortese, la discussione su chi dei due fosse stato più distratto quel pomeriggio si era già protratta all'infinito. Ora Benedict la guardava, contrito e pentito.

Beatrice dovette resistere alla voglia di passargli le dita tra le pieghe stupide di quel suo ciuffo morbido. Sì, decisamente: mancava anche a lei.

Benedict Devereux, Bea ormai lo sapeva, era bravissimo a incartarti con i suoi mezzi sorrisi enigmatici e i suoi occhi di ghiaccio. Gli riusciva bene attirare gli sguardi su di sé, non lo faceva neanche con malizia. Era naturale. Era fisica, pura fisica, come il campo gravitazionale terreste che tiene in orbita la luna.

L'autunno precedente Benedict aveva cercato una distrazione dal triste luogo in cui Carlo l'aveva trascinato, trovandola in Beatrice, unico soggetto degno di attenzione. Soggetto che, risoluzioni drastiche o meno, non aveva potuto, in coscienza, rifiutare l'idea di distrarsi senza altre implicazioni.

Avevano deciso insieme di giocare.

Ma tutti i giochi finiscono prima o poi.

«Io torno alla festa, signor Devereux.» E scandì con precisa lentezza ogni lettera del suo nome.

Dovevano ristabilire le giuste distanze.

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Copertina a cura di @martywattpadiana su Instagram