𝐋𝐀𝐌𝐄 𝐃𝐈 𝐒𝐀𝐍𝐆𝐔𝐄...

By Chiarasaccuta_writer

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SECONDO CAPITOLO DELLA SAGA Dopo le terribili perdite avvenute nella società degli Shinigami, nuovi cambiamen... More

1(Parte I/II)
1(Parte II/II)
2 (Parte I/II)
2(Parte II/II)
3(Parte I/II)
3 (Parte II/II)
4 (Parte I/II)
4 (Parte II/II)
5 (Parte I/II)
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6 (Parte I/II)
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27(Parte I/II)
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28 (Parte I/II)
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By Chiarasaccuta_writer

Sia Itami che Momo avevano sperato che quello dell'Imperatore potesse essere soltanto un semplice reclamo, questione di pochi istanti, una sgridata come tutte le altre. Ovviamente, non era andata così.

"Avevi ragione." Mormorò lo Shinigami dai capelli rossi, sentendo gli sguardi dei Consiglieri, avvolti nei loro Kimono azzurri, su di sé. "Siamo fottuti."

Era così che aveva detto Itami nel momento stesso in cui avevano messo piede nella sala del trono, trovando il loro sovrano, posto sul suo scranno, con gli occhi pieni di rabbia e il corpo teso a causa del nervosismo.

Tachibana Kyoden era inginocchiato al lato destro della scalinata che lo avrebbe condotto al trono, indosso aveva degli Hakama neri e un Keikogi bianco coperto dalla stoffa pesante dell'Haori scuro che portava sulle spalle. Anche lui aveva sperato che quella situazione si risolvesse nel minor tempo possibile, contava di poter convincere Hideaki a rivalutare l'idea della reclusione di Mei, invece si era ritrovato a far da testimone alla vergogna di due Shinigami che non sapevano nemmeno quale guaio avessero provocato.

"Completamente fregati." Sussurrò a stento il compagno, rabbrividendo quando notò alcuni Consiglieri nascondere le loro bocche sotto la carta di riso dei ventagli decorati. Loro, al contrario, erano seduti sulla parte sinistra, al lato della scalinata. Sembravano tanti serpenti pronti ad affondare i loro denti aguzzi fra le carni dei due poveri malcapitati. "Saremo graziati se riusciremo a uscire da qui totalmente indenni."

"Chiudete quelle bocche, immediatamente." Hideaki si mise in piedi, cominciando poi a scendere le gradinate. La veste di seta nera aderiva perfettamente al suo corpo e risplendeva d'oro sugli orli delle maniche ogni volta che la luce delle lanterne si rifletteva su di lui. I capelli erano stati tirati e legati sopra la testa, tenuti fermi da un lungo spillone dorato che sottolineava la ricchezza di quell'uomo, talmente potente da far correre un brivido di terrore sulle schiene dei presenti. Quando fu davanti ai due incriminati, parlò con calma micidiale. "Avete idea della gravità delle vostre azioni? Di ciò che l'assenza dei Koide al Torneo Annuale degli Shinigami comporterà a me direttamente come nuovo Imperatore? Hai idea, Itami, di quali saranno le conseguenze del tuo mutamento in drago?!" I due si scambiarono un altro sguardo colmo di paura, che fece capire al sovrano la totale inutilità di quegli Shinigami che si erano ficcati in problemi più grandi di loro. "Suppongo che voi due idioti non abbiate parole per giustificarvi."

"No, siamo imperdonabili." Sussurrò Itami, sperando di poter far leva sulla pietà inesistente di quell'uomo. "Però..."

"Però che cosa?!" Lo bloccò nuovamente Hideaki, fissando gli occhi castani sopra di lui. I suoi pugni erano stretti in una morsa talmente serrata da far scrocchiare le ossa, portando Momo a parlare impulsivamente come a voler salvare il suo amico da una condanna che, a onor del vero, si sarebbe meritata.

"Songen, i Koide non facevano altro che insultarvi." Cominciò, tenendo gli occhi in direzione dei piedi. "Parlavano di voi come se non foste nemmeno l'Imperatore, dicevano cose orribili sul vostro conto e... non penso che si sarebbero degnati di presentarsi al Torneo Annuale."

A quel punto, un silenzio surreale calò all'interno della struttura e persino Hideaki fece un passo indietro, come se fosse stato colpito dalla lama di una spada. I suoi occhi freddi e calcolatori scrutarono Momo per cercare un qualsiasi segno di cedimento nelle sue parole, eppure nessun movimento lo tradì e, dall'espressione che aveva cucita sul viso, non sembrava nemmeno che avesse accampato una scusa per aria solo per salvarsi la pelle.

Con il senno di poi, l'Imperatore voltò loro le spalle e cominciò a camminare in direzione della propria sedia dorata. Sentiva i Consiglieri parlottare, i loro occhi beffardi e compiacenti che lo osservavano dal basso. Sembrava quasi non aspettassero altro che vederlo cadere, come aveva fatto Shiba.

Quando l'uomo prese posto sopra il trono, uno dei Consiglieri si sollevò elegantemente dal suo cuscino, facendosi avanti in modo da poter conferire direttamente con lui. Chiuse il ventaglio, congiunse le mani innanzi al petto e si inchinò rispettosamente all'Imperatore, prima di sollevarsi e rivelare un viso raggrinzito dal tempo e attorniato da un'ordinata chioma di capelli bianchi. Si trattava di Osami Shuji, un uomo che nei suoi confronti si era dimostrato fin da subito neutrale. "Songen, chiedo il vostro permesso per parlare."

"Permesso accordato."

"È evidente che le Famiglie Nobili non vi vedano ancora come un sovrano."

"Solo per capriccio." Lo interruppe Hideaki, adagiando un gomito al di sopra bracciolo del trono per poggiare la guancia contro le nocche. "Non saranno certo quegli Shinigami a spodestarmi, non sono loro a comandare."

"In realtà sì, mio signore." La voce di Shuji era ancora calma e pacata, sembrava rigido ma allo stesso tempo rilassato. "Siete a conoscenza della gerarchia che vige alla Capitale e in ogni Feudo Nobile. Sono quei clan, di cui una volta anche voi facevate parte, a decidere se finanziare o meno questa corona."

"Allora me li ingrazierò, farò ciò che devo pur di farmi accettare, ma se oseranno tradirmi mi vedrò costretto a eliminarli e vi posso assicurare che non avrò alcun remore a sollevare la spada, anche a costo di apparire un dittatore. Sono stufo di correre dietro a coloro che non mi danno nemmeno occasione di dimostrarmi all'altezza del titolo che porto." Disse Hideaki, risoluto, senza rendersi conto di ciò che quelle parole avevano provocato nei presenti.

In Kyoden specialmente, ancora inginocchiato al suo posto e con gli occhi colmi di rassegnazione. Sapeva per certo che quell'uomo non sarebbe mai stato in grado di essere un buon sovrano. Aveva sbagliato a prendersi il potere con la forza, e avrebbe continuato a errare fino alla fine senza rendersene conto.

Itami, invece, aveva sorriso a quelle parole. Era convinto che fare a pezzi la nobiltà di Isao e costruirla da principio sarebbe stato un'ottima mossa che avrebbe portato al miglioramento di un mondo già distrutto.

Momo, al contrario, non capiva, e non perché fosse stupido. Era solo inorridito e sconvolto dal fatto che tutti quegli uomini trattassero le vite umane come se non rappresentassero nulla di valido in quella scalata al potere colma di sangue.

Fu allora che un secondo Consigliere, Okura, si sollevò dal suo cuscino e si inchinò davanti l'Imperatore. Dopo aver avuto il permesso di parlare, tenne lo sguardo basso e cominciò a dar fiato alla bocca. "Songen, non potete attentare alla vita dei Capostipiti delle Famiglie Nobili. Sono loro i pilastri della Città Celeste, se non ci finanziassero non potremmo vantare tutto il denaro che sappiamo di possedere. Dovete accettare le loro imposizioni e..."

"Cosa dovrei accettare?" Hideaki inarcò un sopracciglio, la sua voce si fece più sottile, più velenosa. "Sono io l'imperatore, e loro i sottoposti. Se non mi vorranno se ne andranno, o dalla Nobiltà o da questa vita. Forse i ruoli si sono invertiti a causa dei Kajitani... Certo, non posso però negare di essermi costruito l'immagine di un sovrano dedito ai massacri, specialmente dopo ciò che è successo ai Koide. Saranno ancora più riluttanti, e io non posso cambiare le menti di nessuno."

"Sbagliate nel dire così, mio signore." Esordì Eiko, nello stesso istante in cui le porte d'entrata si spalancarono con un boato generale. I presenti si voltarono in direzione di quei tre giovani Shinigami che si stavano avviando a passo sicuro all'interno della sala del trono. "Io non penso che l'intervento di Itami e Momotarō sia stato vano."

Quest'ultimo si voltò immediatamente verso la ragazzina. Lei procedeva al centro, con Shin e Ichiro che la distanziavano di qualche passo. "Cosa intendi dire?"

"Che essere temuti non deve essere per forza qualcosa di negativo." Sorrise Eiko, fermandosi accanto i Consiglieri. "Le loro azioni potrebbero servire come monito per gli altri."

Hideaki rifletté per un attimo su quelle parole, scrutando il viso rilassato di quell'esorcista per poi chiedersi come facesse a mostrarsi sempre così calma quando per lui risultava ancora complicato evitare di esternare totalmente i propri sentimenti. "Voi che ne pensate?" Domandò alla fine, rivolgendosi ai due anziani posti davanti a sé.

Okura decise di prendere di nuovo parola, era palese che Shuji non avrebbe fatto poi molto per migliorare quella situazione. "Noi la pensiamo come Eiko-sama. Ciò che questi giovani hanno commesso non è un errore, dovremmo bensì considerarlo un esempio." L'anziano prese una pausa, permettendosi di sollevare il viso verso quell'uomo che ora sembrava avere tutta la sua attenzione. "Nessuno vi vedrà mai come un buon sovrano, Kōtei, per quanto vi sforziate. Avete osato molto, persino quando avete deciso di prendervi questo trono, nessuno vi loderà mai per la vostra bontà d'animo."

"Questo lo so bene, Okura." Sibilò l'Imperatore, per niente contento di quelle parole. "Ma l'amore del mio popolo mi preme fino a un certo punto. Prima o poi, la benevolenza viene scambiata per stupidità."

"Sono d'accordo con le vostre parole." Si affrettò a dire Shuji, cercando di correre ai ripari. "Io e miei compagni siamo però dell'idea che voi non possiate più farvi conoscere come un sovrano benevolo. No, dovrete governare usando il pugno di ferro e conquistare il popolo con un altro metodo. Far vedere cosa significa stare dalla vostra parte o meno. Questo vale sia per cittadini che per i membri delle Famiglie Nobili."

Eiko abbassò lo sguardo per nascondere un sorriso. Era consapevole che quelle vecchie serpi avessero già compreso la sua idea, non c'era quindi alcun bisogno di celarla. "Io consiglio di lasciare che la notizia della morte dei Koide si diffonda velocemente, in modo che tutti possano comprendere il rischio di mettersi contro l'Imperatore. Raggiungerà per prima gli Uchigawatana nel quartiere di Soju, serpeggerà fino a Kantō e arriverà alle orecchie degli Atobe, si spingerà fin nel Kansai dove troverà terreno fertile fra i Daiki e, infine, giungerà nella regione di Kyūshū, e anche gli Usui sapranno. Tutti, conosceranno la vostra potenza. Incluse le famiglie minori degli Shinigami, i Togashi, i Seki, i Jiaru e persino ciò che è rimasto di quella feccia dei Nakamura. Vi temeranno e si piegheranno, Songen, statene certo."

Quei cognomi fecero calare il silenzio all'interno della sala del trono, come se in essi fosse racchiuso molto più di quanto dessero a vedere. Momo e Itami erano rimasti paralizzati al solo sentire prima quello degli Uchigawatana e, in seguito, quello degli Usui. Pensarono a Shiori e Hiyori con il cuore colmo d'angoscia e solo successivamente si premurarono di scambiarsi uno sguardo complice. Per Momo, sapere di possedere lo stesso cognome di una Famiglia Nobile significava annegare in un'altra marea di dubbi da cui non sarebbe riuscito a emergere.

Kyoden, invece, aveva chiuso gli occhi, lasciando che l'immagine di Minari si palesasse sotto le sue palpebre, che il suono severo della sua voce venisse ricordato dalla sua mente e che i contorni delicati del suo viso si mostrassero a lui come a volerlo accusare della sua morte. Strinse gli occhi e abbassò il viso, in preda a dei sensi di colpa gli fecero ribollire il sangue nelle vene. Non poteva lasciarsi andare alle emozioni ora che era davvero vicino a parlare con lo stesso uomo che ancora non riusciva a reputare del tutto innocente.

"Non penso che la Famiglia Atobe si piegherà, Eiko-sama." Disse Okura, sorridendo sottecchi. "Si sono ritirati dalla vita politica da quando la loro primogenita, Atobe Akira, ha trovato la morte..."

"Non pronunciare quel nome." Ordinò Asano, irrigidendosi. "So perfettamente di chi stai parlando."

Shin deglutì, sentendo il peso dei ricordi rappresentare un ostacolo troppo alto da poter superare. Per anni aveva sottovalutato l'effetto che quelle parole potessero provocare nella psiche del padre, senza capire il motivo del suo continuo rifuggirne. Ora comprendeva benissimo il dolore provato, visto che lo stava sentendo anche lui.

Okura abbassò di nuovo il capo, come se volesse chiedere un perdono forzato. "Perdonatemi, Kōtei, sappiate però che in qualsiasi maniera voi desideriate agire troverete sempre la mia totale devozione."

Disgustato da quel comportamento da ruffiano, Settan decise di alzarsi a sua volta. Camminò lentamente innanzi al trono e, dopo essersi dilungato nel consueto inchino da porgere al sovrano in segno di rispetto, decise di parlare liberamente. Non aveva intenzione di farsi piacere quell'uomo, ma finché avrebbe indossato la corona scoprire maggiori informazioni su di lui sarebbe stato fondamentale. "Chiedo il permesso di parlare, Songen."

"Permesso accordato."

Settan inspirò profondamente, si sollevò e cercò di discorrere con tutta la pacatezza che sentiva di possedere nel suo animo in realtà tumultuoso. "Mi sono sempre chiesto che cosa abbia rappresentato per voi Akira Atobe. Per quale motivo abbiate deciso di giocarvi il tutto per tutto, strappandola dalle grinfie di un Capostipite che vi odierà per sempre."

"Questi non sono affari che vi riguardano, Settan." Sibilò Hideaki, cercando di sviare il discorso senza successo. Quel vile consigliere sembrava avere più assi nella manica di quanto pensasse.

"Dobbiamo collaborare, Kōtei. Vi ricordo che Isao si è retta in piedi non solo grazie all'ausilio dei sovrani, ma anche per merito della saggezza dei Consiglieri. Non possiamo aiutarvi se non conosciamo la vostra storia, le vostre azioni, quello che ci avete celato nel momento in cui avete deciso di voltare le spalle alla Città Celeste quindici anni fa. Se è vero che siete stato voi a uccidere quella donna, dovete assolutamente..."

"Io non ho ucciso Akira!" Hideaki batté una mano sul trono, sollevandosi in balia della rabbia. Aveva sbagliato, si era lasciato andare a una rabbia e a un dolore che continuavano a perdurare nonostante il tempo. Glielo avevano detto, ripetuto fino allo stremo che si sarebbe abituato all'assenza della sua donna con il passare delle stagioni, ma non era stato così. Il tempo non guariva il dolore, quella era solo una bugia. "Io l'amavo, l'amavo più della mia stessa vita e lei... se non fosse stato per quella malattia sarebbe ancora con me!" Urlò, prima di lasciarsi cadere di nuovo sul trono. Le sue mani raggiunsero la testa e i suoi occhi si chiusero, mentre tutta la buona volontà prendeva a scivolare lungo le sue spalle come se non fosse stata altro che pioggia.

Shin strinse le pergamene che reggeva ancora nella mano destra, chiuse gli occhi e cercò di non emettere nessun fiato. Il padre non l'aveva incolpato, non si era nemmeno azzardato a rivolgergli un'occhiata astiosa e ciò lo aveva stranito. Non lo aveva fatto nemmeno con Kyoden, che si era finalmente voltato a fissarlo con uno sguardo pressoché compassionevole. Forse, aveva sottovalutato il legame che Hideaki aveva stretto in passato con quella donna. Persino ai suoi occhi era palese che l'avesse amata davvero, molto più di quanto avesse fatto con Minari.

L'Imperatore sollevò di nuovo il viso, incrociando lo sguardo dello Shinigami Reale, colmo di tenerezza. "Non ho bisogno della tua pena, risparmiati la recita, Kyoden."

Lui scosse la testa, lasciando che i lunghi capelli corvini adagiati su una sola spalla gli sfiorassero le scapole liberamente. Alcune ciocche ribelli abbellivano ancora il suo volto, dagli zigomi marcati e dall'espressione costantemente seria. "Posso richiedere il permesso di parlare o mi vedrò costretto ad attendere il mio turno in questa sequela infinita di problemi a cui non troverai una soluzione, oggi?"

"È sarcasmo quello che sento nella tua voce?" Hideaki gli lanciò un'occhiata per niente amichevole, era palese che nemmeno Kyoden fosse riuscito ad accettarlo come sovrano. "Oh, parla e facciamola finita."

"Vorrei sapere il motivo della reclusione di mia moglie nel Palazzo della Regina." Disse senza giri di parole, senza mezzi termini, senza perdere tempo.

Nemmeno l'Imperatore, però, ne perse. "Non fare finta di non saperlo."

"Cosa dovrei sapere?"

"So benissimo che hai avuto contatti con lo spirito di Shiba, di recente. Come anche tuo figlio, Nobu, lo ha fatto. Non cercare di nasconderlo, non ti servirebbe." Hideaki lo guardò senza distogliere mai un attimo gli occhi dal suo corpo. Aspettò di vederlo vacillare, ma in lui trovò solo un'espressione adirata, tipica del Ronin che continuava a essere. Privo di onore, anche in quel momento.

"Questa è una menzogna."

"Non a detta di mio figlio." Sibilò il sovrano. "Non penso che Shin sarebbe in grado di mentirmi, e anche Ichiro ha confermato il ritorno di Shiba. Ammetto di essere stato disattento, avrei dovuto seppellire il suo corpo sotto strati di letame invece di lasciarlo in balia dei corvi."

Kyoden non si scompose, incassò il colpo ma continuò a tenere gli occhi fissi su quel trono dorato che non avrebbe mai desiderato per sé. Sapeva di dover perseverare nella menzogna, per il bene di Mei, e per quanto non gli piacesse dichiarare il falso, questa volta doveva farlo. "Io non ho avuto alcun contatto con lo spirito di Shiba, è la verità."

"Sia come sia, ti basti sapere che non libererò Mei finché non mi sarò assicurato la tua totale fedeltà. Non temere, non le torcerò nemmeno un capello, sempre se tu ti comporterai adeguatamente. In tal caso, vedrai la mia benevolenza svanire." Hideaki sorrise, consapevole di averlo in pugno. "So come e dove colpirti."

Kyoden sentì lo stomaco contorcersi, la rabbia salire fino al cervello e la voglia di ucciderlo afferrarlo con forza. Non poteva credere alle sue orecchie, era davvero inconcepibile ciò che quell'uomo stava dicendo. "Quindi... hai ridotto mia moglie a una semplice pedina da sfruttare contro di me?"

"Sì, è un ostaggio nelle mie mani visto, ma se l'ho resa tale hai solo dai incolpare te stesso." Asserì, consapevole d'avere il coltello dalla parte del manico. "Se tu mi fossi stato fedele fin dall'inizio ti avrei lasciato tornare a Nara con la tua famiglia, invece... ti sei messo a complottare con uno Yūrei."

"Io non mi sono messo a complottare con nessuno." Ripeté Kyoden, consapevole che né Shin né Ichiro avrebbero potuto accusarlo del contrario. A parte Nobu, non aveva riferito ad anima viva dei suoi contatti con Shiba. "Non ho scambiato una sola parola con lui e ho sempre raccomandato a mio figlio di fare altrettanto. Ciò che stai attuando nei miei confronti non fa altro che portarmi più rabbia."

"La covi da quando hai scelto di schierarti dalla parte di Minari ed Eijiro."

"Ora sei tu quello che dovrebbe stare zitto." Kyoden lasciò che il rispetto volasse via per un attimo. Strinse i pugni, incredulo davanti a quella bugia di proporzioni gigantesche. "Io non ti ho mai isolato, sei stato tu ad allontanarti da tutti e a rinchiuderti nel tuo dolore e nella tua follia. Ho rispettato i tuoi silenzi, i tuoi spazi e non ho mai fatto nulla per ostacolarti e tu mi ripaghi in questo modo? Togliendomi mia moglie? Vietandomi di vederla? È così che vuoi conquistarti il mio rispetto e quello della gente?! Con il terrore?"

Hideaki continuò a guardarlo dall'alto del suo trono, sopprimendo quello che sarebbe potuta essere un'altra risata amara. Il divario fra i due era evidente, come lo era anche il fatto che la vecchia amicizia che, in passato era stata in grado di unirli, fosse totalmente scomparsa. Non erano più due adolescenti, erano due adulti. Cresciuti e cambiati sia nella mentalità che negli ideali.

"Se non verrò rispettato, verrò temuto." Dichiarò alla fine l'Imperatore, quasi volesse fare di quelle parole un impegno su cui basare la sua intera permanenza sopra quello scranno. "La liberazione di Mei dipenderà unicamente dalle tue azioni. Finché non sarò sicuro della tua sottomissione, lei resterà sotto la mia custodia e non ti permetterò di vederla fino a nuovo ordine. Per quanto mi riguarda, questa conversazione è finita e non ritornerò sui miei passi. Puoi congedarti."

Kyoden si lasciò andare a uno sbuffo indispettito, consapevole di non poter fare altro che abbracciare ciò che Shiba aveva cercato di inculcargli fin dall'inizio. Quello Yūrei aveva ragione: Hideaki era ormai pervaso dalla sua stessa oscurità e nulla lo avrebbe salvato. Nemmeno il ricordo di quella donna che era morta dando alla luce lo stesso ragazzino che ora stentava a guardarlo negli occhi.

Lo Shinigami Reale se ne andò e, di nuovo, nella sala calò il silenzio totale. Un silenzio troppo pesante e ricco di sconforto da parte del sovrano. Nulla stava andando come aveva immaginato, e governare dopo un assedio si stava rivelando essere più difficile del previsto. Solo Shuji lo distolse da quei pensieri, pronunciando delle parole che sapeva essere veritiere.

"Quell'uomo è pericoloso, vi consiglierei di eliminarlo mio signore. Non penso che basterà allontanarlo da sua moglie per tenerlo a bada. I cani finiscono sempre per mordere i loro padroni, se questi gli negano il cibo."

"Se uccido lui, avrò il figlio contro e allora non avrò concluso nulla." Mormorò Hideaki, posandosi una mano sul volto. "Devo trovare un modo per eliminare i Tachibana alla radice."

Ichiro sentì un brivido correre lungo la schiena. Il suo pensiero corse immediatamente a Nobu e Mei. A quel fratellastro con cui continuava a mantenere rapporti freddi e a quella donna che aveva sempre rispettato i suoi silenzi. Non era riuscito a stringere chissà quanto con loro, ma sapeva per certo che non avrebbe mai voluto vederli sopperire a causa dei timori del suo sovrano. "Potreste costringerli all'obbedienza in un altro modo."

Hideaki rimase sconvolto da quelle parole, lasciando cadere il suo sguardo sulla figura di Eiko. La sua espressione era seria, segno che aveva intercettato il problema: Ichiro non avrebbe dovuto provar nulla nei confronti di quelle persone a causa dello Yokai che Hana gli aveva immesso tempo addietro.

"Non c'è un altro modo." Si immischiò Itami, che fino a quel momento aveva preferito tacere. Lui e quel Samurai non sarebbero mai andati d'accordo, era ormai chiaro. "La morte è un buon metodo per cancellare dalla faccia della terra i tuoi nemici, ovviamente quando quest'ultima viene scambiata per una casualità."

Un sorriso maligno increspò le sue labbra nello stesso istante in cui sollevò il viso, solo per notare i Consiglieri confabulare fra loro. Momo gli rivolse uno sguardo stranito, mentre Eiko un'occhiata distratta. Aveva capito, ma stavolta si sarebbe astenuta dal commentare. C'erano già quei vecchi saggi a proporre nuove idee al sovrano e, per il momento, lei avrebbe semplicemente ascoltato.

Fu Settan a parlare, visto che l'organizzazione dell'evento che avrebbero potuto sfruttare a loro favore sarebbe stato di sua competenza. "Songen, cosa ne pensate di usare il Torneo Annuale come scusa?"

"Cosa intendete?" Domandò Hideaki, improvvisamente interessato.

"Sapete che ogni anno gli Shinigami migliori di Nihon si battono nell'Arena del Ricino e molti di loro perdono la vita fra le sue mura. Perché non portare gli Shinigami Reali e i loro figli sul campo?"

"Questo comporterebbe anche la partecipazione di Shin." Si oppose Eiko, con voce ferma. "Sarebbe troppo pericoloso, il Torneo Annuale è paragonabile a un bagno di sangue."

"Di cosa si tratta? Una battaglia?" Domandò Shin, dando voce ai suoi pensieri. Il suo tono però era ancora basso, incrinato da lacrime che non aveva avuto modo di versare. "Qualcuno mi spieghi."

Hideaki fece cenno al figlio di avvicinarsi alle scalinate, stancamente. "Eiko non ha tutti i torti, questo posso dirlo con certezza. Il Torneo si festeggia all'inizio dell'anno nuovo, pochi giorni dopo il Capodanno, e comporta una serie di combattimenti all'interno dell'Arena del Ricino contro degli Yokai molto potenti e pericolosi. Ovviamente, non ai livelli di un Gashadokuro, ma si parla sempre di bestie indomite." Il sovrano lanciò uno sguardo ai Consiglieri, come a ricordargli ciò che era stato in grado di fare a Isao l'estate prima. "Non so se possa essere una buona idea. Da un lato mi alletta l'idea di far fuori una volta per tutte Kyoden e suo figlio, a quel punto Mei non sarebbe certo una minaccia. Dall'altro, vista la tua poca esperienza, non me la sentirei di farti combattere contro esseri del genere."

"Parteciperemo anche io e Kotori, vero?" Domandò Ichiro, sperando in cuor suo di ricevere una risposta negativa che, ovviamente, non arrivò. Quando alzò gli occhi verso il suo Imperatore, sul suo volto trovò solo un'espressione più rilassata.

"Sì, e sarete a rischio anche voi, insieme a tutti quelli che vorranno partecipare. Non posso far gareggiare solo gli Shinigami Reali, visto che l'unico rimasto in vita è Kyoden. Allora il mio piano di eliminarlo sarebbe palese." Hideaki sospirò, senza però chinare lo sguardo. "Mi dispiace, Ichiro. Tu e Kotori non rappresentate una minaccia, ma non posso sapere quale piega prenderanno i vostri combattimenti."

"Songen, non starete parlando sul serio." S'intromise di nuovo Eiko, preoccupata per Shin più che degli altri. "Vostro figlio non sarà in grado di..."

"Smettila di sottovalutarmi, Eiko!" Esclamò il ragazzino, senza riuscire a trattenersi. Si voltò verso di lei e la fissò con uno sguardo carico di rabbia. "Sono uno Shinigami anche io e non mi fanno paura gli Yokai. Ci sono cresciuto, sono io stesso uno di loro! Se non mi sporcherò le mani di sangue, come potrò crescere?! Come potrò essere all'altezza di mio padre?!"

Hideaki osservò il figlio ergersi al di sopra della ragazza che si era preso cura di lui con una potenza tale da lasciarlo sbigottito. C'era determinazione nei suoi occhi, la stessa usata da Akira quando aveva rigettato il cognome del suo clan davanti i suoi genitori solo per restargli accanto. "Tu non sei uno di loro, Shin."

"Non ancora." Sussurrò il Principe Ereditario, prima di abbassare lo sguardo sopra la pergamena che reggeva fra le mani. Un sorriso spontaneo si dipinse sulle sue labbra, un sorriso incredibilmente triste. "E poi... se Kotori può farlo, anche io voglio farlo."

Eiko sentì le gambe cedere, gli occhi riempirsi di lacrime i pugni stringersi dalla rabbia. Persino Ichiro aveva inarcato un sopracciglio e Itami e Momo si erano voltati a fissare quel ragazzino dalle guance imporporate di rosso. Anche Hideaki pareva aver capito la situazione, e, a giudicare dall'espressione serena presente sul volto del figlio e da quella adirata che sembrava aver mutato completamente i tratti di Eiko, realizzò di trovarsi nel bel mezzo di una vera e propria centrifuga di sentimenti. "Shin, devi stare lontano da Kotori prima che ciò che provi si ingrandisca più del necessario. Dona le tue attenzioni a chi ti ha sempre aiutato, a chi non ti tradirà mai."

"Kotori non mi tradirà mai, lei è buona e mi vuole bene e..."

"E io non ti voglio forse bene?" Chiese Eiko, sentendo la propria voce acuta incrinarsi a causa del pianto che stava trattenendo in gola. "Non ti sono forse stata vicino molto più di quanto abbia mai fatto lei? È appena entrata a far parte della tua vita, e sta già dalla parte sbagliata della fazione. È solo una... piccola stupida."

"Non osare insultare mia sorella." La difese seduta stante Ichiro, voltandosi per lanciarle un'occhiataccia. "Ha passato molto più di quanto tu possa minimamente immaginare."

Eiko rise appena, di sdegno, e voltò il suo corpo in direzione di quel ragazzo per cui non nutriva alcuna simpatia. I suoi occhi erano velati di lacrime, ma riusciva a distinguerlo chiaramente. "Io non posso immaginare?" Gli chiese, con una voce che a stento riconobbe come propria. Anche lei, quel giorno, aveva perso il controllo sulle proprie emozioni. "Tu non sai niente di me, Ichiro. Ti sorprenderà sapere che posso immaginare benissimo ciò che tua sorella ha vissuto, ma ciò che io ho passato e che continuo a passare non lo capirà mai nessuno."

Incapace di dire altro, la giovane esorcista si limitò semplicemente a inchinarsi davanti il suo sovrano e i Consiglieri, prima di dissolversi negli ormai consueti petali di crisantemo in cui era solita a mutare. Questi ultimi sfiorarono il viso di Shin per un attimo, prima di scomparire oltre le porte ancora aperte della sala del trono, facendolo sentire incredibilmente in colpa.

Kotori gli piaceva, ma non quanto Eiko. Non ancora almeno. Si stava solo trattenendo perché sapeva quanto quella ragazza dagli occhi azzurri fosse vicina a Ryo e, soprattutto, a Nobu. Eppure, si era affezionato a lei per merito di quelle semplici e spontanee attenzioni che era stata in grado di donargli senza che nessuno glielo chiedesse, o la costringesse, o la obbligasse.

Attenzioni che avevano portato Eiko a soffrire, per colpa sua.

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Hakama: Pantaloni larghi. 

Keikogi: è un'uniforme per l'allenamento utilizzata nelle arti marziali giapponesi, dalle maniche strette e dal tessuto solitamente bianco.

Songen: Maestà 

Kotei: Imperatore

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