Rifiuto e seduzione

By Alexandra-writes

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Inghilterra, 1840. Allyson Stevens ha sedici anni e possiede un'intelligenza e cultura inusuali per ragazze d... More

Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
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Leggete!
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Capitolo 41
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Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Epilogo
Leggete! Nuova storia!

Capitolo 1

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By Alexandra-writes

Inghilterra, 1840.

Dal promontorio su cui sostavo, le distese del Bedfordshire sembravano dormire pacificamente, eppure un bagliore di luce proveniente da est era intento a destare le sue campagne meditabonde. La brezza del mattino di maggio accarezzava la mia pelle e inspirai la felicità che aleggiava nell'aria. Era la stessa gioia che provavo solamente durante una battuta di caccia. Tuttavia, quel dì non fioriva di selvaggina: non avvistammo alcun tipo di animale selvaggio e mio padre, con fare affranto e deluso, osservò, al mio fianco, il panorama dinanzi a noi. Reggeva il il peso del suo corpo sullo spigoloso bastone da caccia, con il quale -di tanto in tanto- sfregiava le sottili spirate di vento.

"Il mattino è giunto, Allyson." Egli sospirò amaramente. "Torniamo a casa."

"È ancora così presto! Guardate, padre, come si librano gli uccelli in volo! Volete forsi privarmi di una tale libertà?" Il tono della mia voce appariva compunto, tinto di una mortificazione oramai rassegnata. "Sono certa che mia madre non sará neppure sveglia, inoltre quest'oggi non attendiamo alcuna visita dai signori Chapman," protestai.

"Sei in errore, figliola."

Lo seguii, mentre scendeva lungo il sentiero che riportava allo stretto e ricurvo viottolo acciottolato dal quale ci eravamo incamminati. "Cosa intendete dire?"

Egli trasse un profondo sospiro, accarezzando gli accenni di barba grigia sulle sue guance. "A più di una visita deve prepararsi la nostra famiglia, quest'oggi."

"Non vi credo." Inclinai il capo, determinata. "Mi avevate promesso che saremmo partiti per Londra, questo pomeriggio, per far visita alla zia Kathleen!"

Ma l'uomo continuò a camminare, lasciandosi alle spalle l'aria pungente del promontorio. "Mi dispiace, ma la visita è rimandata. E -ah!- non opporti, figliola! Non voglio essere solito a riprendere i tuoi istinti, per l'amor del Cielo!" Alzò una mano, chiudendo gli occhi, intimandomi di tacere nel ribattere. "Non possiamo rifutare un simile incontro." Il suo sguardo divenne fiero e determinato, quando si voltò e il suo viso virile fronteggiò la mia espressione delusa.

"E per quale ragione? Le nostre confidenze con i Chapman si sono intensificate, in questi ultimi tempi," ragionai, scostando distrattamente un sasso al margine del sentiero. "Quale affare di questione sociale mi state nascondendo?"

Mio padre scoppiò in una fragorosa risata, accarezzandomi il capo. "Non è dovuto ad alcun tipo di affare l'incontro che terremo oggi con i Chapman e il loro ospite. O perlomeno, nulla di sociale."

"Ospite? E chi è costui che ci fará visita?" Mentre mi apprestavo a porgli le mie più curiose domande al riguardo, notai quanto velocemente fossimo già giunti a casa.

Questa era ridotta oramai ad un piccolo cottage imprigionato dalle fronde ricurve di un bianco mandorlo, del quale ammiravo i frutti ad ogni fioritura; il sole ne baciava il tetto di mattoni e ne faceva risplendere l'intonaco candido, in cui era impresso fervidamente il dolce sentore delle violette, dei tulipani e delle azalee che si affacciavano titubanti nel piccolo cortile antistante.
La casa non declamava affatto la sua smodata gloria: nella sua semplicità, pullulava di serenità.
Gli appezzamenti di terreno dappresso non erano altro che lo specchio della sobrietà: era la natura che sedeva sul trono.
Così, come in quella mattinata di sole, la primavera spumeggiava annunciando il suo arrivo e sfidava in bellezza il manto iridato del piccolo lago poco distante, sul quale l'ombra di un tiglio selvatico dondolava tediosa, oscurandone il variopinto.

Trascorsero alcuni istanti di visibilio, prima che notassi le parole uscire dalla bocca di mio padre.
"Avrai modo di fare la sua conoscenza a pranzo."

Sgranai gli occhi, sorpresa e improvvisamente irritata dalla sua brusca interruzione dei miei pensieri.

Raccolsi le mie gonne e, nel voltarmi rapidamente, i miei capelli fenderono l'aria. "A pranzo?" dissi. "Credevo sapeste mantenere le promesse!" Precendolo, mi avviai verso la veranda, con passo amareggiato, lo sguardo appositamente contrariato, nella speranza di ricevere una richiesta di perdono. Bussai freneticamente alla porta di casa, borbottando frasi incomprensibili quando un membro della servitù aprì la porta.

"Ero certa di partire alla volta di Londra, oggi!" esclamai irascibile, lanciando un'occhiata in tralice alla buona governante, cavia incerta delle mie rabbie improvvise.

***************************

"Siete incantevole, signorina Stevens!" esclamò la signora Chapman, osservando come il morbido tessuto del mio abito porpora si stringeva sotto i seni.

Era una donna di buona presenza, raffinata e formale, dalla capigliatura sempre impomatata e ordinata. Si poteva anche notare con quanta impressionante frequenza fosse accomagnata dal marito, il nobile Charlie Chapman. Avevano da tempo stretto un saldo legame di amicizia con la nostra famiglia, accompagnando e sorreggendo questa anche nei periodi di buio. Forse, a ciò si doveva la munificenza che i miei genitori esternavano nei loro confronti.

"Vi ringrazio, signora."

Mia madre, eccitata e gioiosa all'idea di poter sfoggiare le bellezze che rimanevano della nostra dimora, si apprestava a guardarsi attorno, irrequieta. "Ma dov'è il vostro tanto atteso ospite? Ne avete parlato così tanto, mia cara, che fremo dalla voglia di fare la sua conoscenza!" Ella congiunse speranzosa le mani, sorridendo leziosa.

La signora Chapman gesticolò, descrivendo un arco in aria con l'indice, pur conservando la sua eleganza. "Il signor Wilkinson giungerà qui a breve. Credo abbia avuto un contrattempo."

"Dio non voglia che mancherà a questo pranzo! Ma prego, accomodatevi." Mentre mia madre mostrava la sua più sincera cortesia nei loro confronti, decisi di udire le loro conversazioni.
Talvolta, era un passatempo efficace per uccidere il tedio.

"Come avete conosciuto questo signor... Wilkinson?" domandò mio padre, lisciando il tessuto del bavero della sua camicia, mentre soppesava la robustezza dei braccioli della poltrona sulla quale si era appena appollaiato.

"È da poco giunto nel Bedfordshire per questioni di affari, dopo la morte di suo padre. Precedentemente viveva a Londra e... questa caratteristica ha influito notevolmente sui suoi comportamenti..." ammiccò il signor Chapman, con il notevole sforzo di apparire impassibile, ma il suo tono improvvisamente acuto tradiva il suo intento.

Serrando le labbra in una linea tremula, sua moglie aggiunse: "Ha così tanti possedimenti da far invidia a tutta l'Inghilterra!"

Nella mia mente comparve l'immagine di un uomo di età avanzata, dai lunghi baffi scuri e dalla pelle consunta e rugosa, pertanto repressi un gemito di disgusto.

"Ciò farà sicuramente di egli un uomo incantevole! Chi eredita tali possedimenti non passa inosservato alla società inglese," ragionò mia madre, stringendosi nelle spalle, e sorseggiando il residuo della seconda tazza di té inglese della giornata.

Incurvai le sopracciglia nel dedurre come ella fosse indirettamente legata al denaro e catalogasse le persone in base al rango sociale cui appartenevano. Era stato sempre così. Potevo solamente accettare il flusso sconnesso dei suoi pensieri e ringraziare quel Qualcuno, che non mancava mai di assistermi, per poter vantarmi di avere ragionamenti giustamente differenti dai suoi.

"E la vostra bella figliola? A chi sarà data in moglie?" domandò la signora Chapman, sfogggiando un sorriso.

Rabbrividii.

"Oh, e chi può saperlo?" Mia madre finse una profonda sconsolazione.

Mio padre rimase in silenzio ed alzò lo sguardo solamente quando udì l'avvicinarsi di una carrozza.

"Dev'essere il signor Wilkinson!" Mia madre si alzò velocemente dalla poltrona su cui sedeva, agitata. "Fitzwilliam, andate ad accoglierlo!" disse poi, rivolgendosi a mio padre e incurvando le sopracciglia sottili sulla sua fronte avvizzita.

Rimasi composta, evitando di lasciar trapelare una finta eccitazione che non provavo.

"Ne rimarrete colpita, signora Stevens," commentò la sua amica, stringendo gli occhietti in due fessure rubizze.

Notai con quanta velocità tutti i presenti si alzarono, con la mia eccezione, pronti ad accogliere il signor Wilkinson. Alcuni passi risuonarono in cortile e mio padre, dopo aver controllato come scivolava la sua giacca lungo i fianchi, aprì la porta, lanciando un vago cenno alla governante, intimandole di uscire dalla stanza.
Cacciare una povera donna!

Si udì una serie lenta di passi sulla veranda. Stivali, si sarebbe detto. Da cavalcata. Stivali da cavalcata, riuscivo perfettamente a riconoscerne la sinfonia melodica che essi producevano sulle assi in legno. Poi la camminata si arrestò. Seguì un profondo silenzio, un silenzio che attendeva bramante. Pochi istanti dopo, l'ospite fece il suo ingresso. "Buongiorno."
Notai solamente come si profuse in cenni del capo, poichè la sua figura era coperta dalla presenza del signor Chapman dinanzi a me, che sostava in piedi, rigido e attento. Tuttavia, quando quest'ultimo si chinò per raccogliere in mano il suo bicchiere di vino, osservai di sfuggita quello che doveva essere il signore tanto atteso.

Non era un uomo di mezza età. Era un... giovane.

"Allyson," disse mia madre, congiungendo le mani e girando sui tacchi, "non vieni a dare il benvenuto al signor Wilkison?"

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