CIRQUE - KFA2019

By danbixx

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|| KPOP FANFICTION|| Un orribile delitto sconvolge il Circo delle Meraviglie: il direttore, il famosissimo K... More

TRAILER!
PLOT ;
S L O T S + M O D U L O + R E G O L E
S L O T S M A S C H I L I + I N F O ;
C H A R A C T E R S (part I)
C H A R A C T E R S (part II)
× | P R O L O G U E
A2 - Secondo
A3 - Terzo
A4 - Quarto
A5 - Quinto
A6 - Sesto
Avviso
Ciao

A - Inizio

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By danbixx

A – Inizio

La stanza odorava di rose. Un mazzo di queste ultime, dai petali rossi come il sangue, era posto sulla scrivania lignea collocata al centro del piccolo studiolo, con accanto un plico di carte ed una lampada a gas. Le pareti erano tappezzate di dipinti e fotografie raffiguranti i diversi componenti del circo; un divanetto di pelle, ricoperto da cuscini finemente ricamati a mano, stanziava accanto al tavolino.

Donghyun indossava un paio di occhiali rotondi e passava in rassegna le informazioni trascritte su di un foglio. Aveva il volto contratto in un'espressione concentrata: la fronte era aggrottata ed aveva l'indice piegato davanti al labbro superiore.

— Non puoi chiamare la polizia. — Sunggi ruppe il silenzio che si era creato. La ragazza era stesa sul divano, con solo una vestaglia bianca a coprirle il corpo formoso. Incrociò le braccia al petto, per poi accarezzarsi con lentezza il profilo delle gote. — Possiamo risolvere il caso da soli. Non ci servono gli umani.

Lui sospirò. — Ne abbiamo già parlato, tesoro. — La sua voce era piatta, incolore. — L'intervento della polizia di Seoul è indispensabile. — Detto questo, tornò a concentrarsi su ciò che stava leggendo.

Sunggi non demorse. — Rifletti, Donghyun. Tuo padre è appena stato ucciso, e quelle non sembravano ferite, — mimò le virgolette con le lunghe dita, — normali. Non è stato un umano, è stato uno di noi. Se dovessero scoprire la nostra vera natura? Ci hai pensato?

— Sì, ed anche parecchio. — Il giovane si tolse lentamente gli occhiali, per poi riporli con cura nel cassetto. L'iride del suo occhio destro era diventato color ghiaccio e faceva a pugni col sinistro, di un intenso carminio. — Il loro intervento ci serve. Posso darti anche dei validi motivi.

Lei mise una ciocca dei suoi lunghi capelli neri dietro l'orecchio. — Sentiamo. — Appoggiò il gomito sul bracciolo e pose guancia sul dorso della mano, così da fissare intensamente il bel volto dell'interlocutore.

Passò un minuto di silenzio assoluto, rotto solo dal ritmato ticchettare dell'orologio a pendolo. — Quando mi guardi in quel modo, mi viene voglia di darti ragione — confessò Donghyun, mentre un sorriso sornione gli affiorava sulle labbra.

Sunggi ricambiò il ghigno. — Allora non sei del tutto immune al mio fascino.

— Al contrario.

Lei roteò gli occhi. — Non cambiare discorso.

Il ragazzo chiuse la mano a pugno e poi sollevò il pollice. — Ragione numero uno: gli umani possiedono tecnologie a noi Jadoos sconosciute. Ad esempio, dei rilevatori di impronte digitali. Ed a noi farebbero molto, molto, molto comodo. — Alzò l'indice. — Numero due: chiamare la polizia ci renderebbe meno sospetti. L'urlo disperato e — fece una smorfia, per poi stringere i denti, — irritante — quasi sputò l'ultima parola, — di Minjee ha fatto accorrere numerosi testimoni.

Sunggi ascoltava attentamente. Erano tutti presupposti validi e logici; tuttavia lei era ancora restia a coinvolgere altri umani. Temeva che la paura che questi ultimi provavano nei confronti dei Jadoos si trasformasse in odio: in quel caso, niente e nessuno avrebbe vietato loro di uccidere la sua comunità senza alcuna compassione. Perché dare la caccia ai Jadoos era lecito. Si veniva anche ricompensati.

— Numero cinque... Sunggi? Ma mi ascolti? — Fu la voce di Donghyun a riportarla alla realtà. Sunggi riportò lo sguardo sul viso del giovane e scosse il capo, come per scacciare quei pensieri. — Sì, sì, ti ascolto. Dicevi?

— Se il colpevole fosse davvero uno di noi... Beh, tutti si concentrerebbero su di lui. Ed il Circo verrebbe dimenticato. — Prese nuovamente il pezzo di carta ingiallito che aveva lasciato e continuò a passare in rassegna le righe.

La ragazza emise un risolino privo di allegria. — Il Circo non verrebbe mai dimenticato. — Abbassò lo sguardo sull'intrico di ricami dorati disegnati sul cuscino. — Ti ricordo che è stato assassinato il direttore. E poi, — tirò via un filo di seta e lo osservò attentamente in controluce, — insieme alla polizia, arriverebbero i giornalisti. I giornalisti sono fastidiosi.

Donghyun sbottò: — Occorre solamente adattare un basso profilo. — E fece un seccato gesto con la mano, come per scacciare un moscerino.

— Se dovesse venir fuori che siamo tutti Jadoos, — ora Sunggi stava usando un tono minaccioso ed alto, — ci porterebbero a Frejir. — Sapeva di aver appena toccato un nervo scoperto; tuttavia doveva proseguire al fine di convincerlo a non far intervenire la polizia. — E tu non vuoi tornare a Frejir, dico bene?

La palpebra del giovane ebbe un guizzo. — No — rispose, atono. Aveva stretto il foglio con talmente tanta forza da avere le nocche bianche come il marmo.

Frejir era il carcere di massima sicurezza nel quale venivano rinchiusi i Jadoos più pericolosi prima di essere condannati a morte. Costruito in America, invisibile sulle cartine e dalla locazione misteriosa, Frejir ospitava più di diecimila individui, i quali vivevano in condizioni spaventose. Nessuno, oltre Donghyun, era mai uscito vivo da lì. Il ragazzo ricordava i momenti passati in quell'inferno con puro dolore: non riusciva ancora a parlarne, sebbene fossero passati tre anni dalla sua cattura.

Sunggi espirò rumorosamente. — Nessuno di noi è forte come te — insistette, quasi con un tono di supplica. — Ti prego, Donghyun.

Lui si mise le mani nei capelli, visibilmente scocciato. — Porca puttana, Sunggi! — eruppe, sbattendo la mano aperta sulla scrivania, — Da quando sei diventata così vigliacca?!

La ragazza scattò in piedi, indignata. Non le aveva mai affibbiato quell'appellativo, dal momento che la sua indole era del tutto differente: si trattava di una ferita profonda nell' orgoglio. Sentì la rabbia montare dentro il cuore come se fosse fuoco. — Da quando un pazzo ha ucciso tuo padre! — urlò. Assottigliò lo sguardo, fino a tramutare gli occhi scuri in due minuscole fessure. — Hyunwo era mio amico, Donghyun! — Strinse i pugni lungo i fianchi. — Scusami — scimmiottò, inarcando la schiena e tirando fuori la lingua, — se temo per la mia vita e per quella di tutti i componenti del Circo!

— Chiamare la polizia, — Donghyun aggirò il tavolo e si mise davanti a lei con fare intimidatorio, — potrebbe aiutarci a scovare quella testa di cazzo!

Sunggi sbatté le palpebre più e più volte. Egli appariva proprio convinto di ciò che stesse dicendo; eppure la domatrice conosceva fin troppo bene la natura malefica e doppiogiochista dell'amico per accettare a pieno la sua decisione. Inclinò la testa di lato, diffidente. — Tu mi stai nascondendo qualcosa — concluse.

L'angolo destro delle labbra di lui si incurvò verso l'alto. — Assolutamente no — sussurrò. Le prese il viso tra le mani e le accarezzò entrambe le guance coi pollici. — Ti ho detto tutto ciò che ti conviene sapere. La polizia arriverà a breve.

Sunggi sospirò rumorosamente, rassegnata. Non era per niente d'accordo, ma riconosceva l'inutilità di un'ulteriore discussione: era difficilissimo far cambiare idea a Donghyun. Puntò le iridi scure in quelle cangianti del ragazzo. — D'accordo. Che devo fare? — Tentò di non dar retta al tarlo del dubbio che si era insinuato nella sua testa, però non fu molto facile. Negli occhi di Donghyun vi erano così tanti segreti, così tante emozioni, così tante cose non dette, che Sunggi faceva molta fatica a fidarsi nuovamente di lui.

Lui la studiò attentamente dalla testa ai piedi; poi le sbottonò con lentezza la camicia all'altezza del seno. — Innanzi tutto, va a vestirti. — La lasciò andare e si sedette di nuovo alla scrivania. — Sarai tu ad accogliere i nostri ospiti umani.

Sunggi annuì. — Bene. — Si diresse verso il divanetto e raccolse un paio di pantaloni aderenti neri che erano scivolati a terra. Li indossò, per poi passare al corpetto rosso ed il cappello a cilindro dello stesso colore.

Donghyun non alzò gli occhi dalle carte quando disse, con una punta di divertimento celata nelle parole: — No, non puoi giocherellare con i loro cervelli.

Lei sbuffò rumorosamente. — Dio, — sogghignò, — come fai a sapere cosa stessi pensando?

— Magia. — Pausa. — Oh, — aggiunse, a voce incredibilmente alta, — e dì a Genevieve, Kwangmin e Youngmin che origliare è da maleducati.

Sunggi inarcò un sopracciglio, confusa. — Cosa? — domandò. La risposta venne da sola: la voce acuta, allegra, in quel momento colma di paura ed imbarazzo della giovanissima lanciatrice di coltelli le esplose nella mente: "Merda, merda! Mi ha scoperto? Ora cosa faccio?", seguita dal pensiero irritato di Youngmin: "Perché devo condividere la mia aria con questi due idioti?"

La domatrice emise un ringhio infastidito e si avviò a grandi falcate verso la porta lignea; afferrò il pomello e lo girò. Genevieve ed i gemelli Pulikal erano seduti a terra, a gambe incrociate. Il viso della prima era viola come una melanzana a causa dell'imbarazzo: — Sunggi-unnie! — squittì, forse con troppa enfasi. Il suo corpo magro ed allenato si librò in aria, per poi tornare in posizione eretta. — Come va? Spero bene! Ci sono novità? Perché, sai, io vorrei sapere di più. Hyunwo era il mio mentore e vorrei capire contro chi stiamo lottando. — Non aveva respirato nemmeno una volta durante lo sproloquio: le parole si susseguivano da sole, veloci come saette. — Avete qualche idea? E gli umani? Quando arriveranno? — Saltellava prima su un piede e poi sull'altro, leggiadra come un uccellino.

Kwangmin si intromise nella discussione, dopo essere scattato in piedi. — Noona! — Sorrise calorosamente, ed il suo volto apparve ancora più bello e radioso del normale. — Ha ragione Gwen, insomma, io anche vorrei partecipare alla caccia! Quindi, sì, cosa, — prese a gesticolare a destra ed a manca, — dobbiamo fare?

Troppe parole tutte assieme. Sunggi si prese il setto nasale tra le dita ed inspirò con forza dalla bocca. La parlantina di quei due le stava facendo venire un forte mal di testa. Si chiuse la porta della carovana alle spalle al fine di non disturbare Donghyun. — Prima di tutto, chiudete il becco. Siete alquanto irritanti.

Youngmin incrociò le braccia al petto e sbuffò, guardando un punto lontano alla sua destra. "E tu sei acida." La domatrice, una volta captato il senso della frase, gli lanciò uno sguardo glaciale. — Guarda che riesco a sentire i tuoi pensieri, genietto.

Youngmin non si scompose. — E tu sei acida — ripeté.

Kwangmin scoppiò a ridere di gusto e gettò un braccio attorno alle spalle muscolose del fratello. — Andiamo, noona, sta scherzando! A lui piace scherzare! Guarda, — agguantò il viso apatico ed incolore del malcapitato e lo costrinse a voltarsi in direzione di Sunggi, — non sprizza gaiezza da tutti i pori?

Genevieve si lanciò su Youngmin, stringendolo in un abbraccio mortale. — Ooh, che carino! — E gli stampò una serie di rumorosi baci sulla guancia.

"Aiuto."

La domatrice rimase un attimo sconcertata nell'assistere a quella scena, la quale ebbe però il potere di sciogliere il suo cuore di ghiaccio per una manciata di secondi.

I gemelli Pulikal non potevano essere più diversi: uno era felice, allegro, spiritoso, un po' infantile e stupido; l'altro serio, composto, ombroso, sempre sulle sue, sarcastico ed antipatico. E poi c'era Genevieve, la Winder più logorroica ed estroversa di tutto il creato. Kwangmin e quest'ultima adoravano in modo quasi maniacale il silenzioso Youngmin, e non lo lasciavano mai da solo. Il motivo? Non lo conosceva nessuno.

— Andate ad esercitarvi — ordinò Sunggi, incrociando le braccia al petto. — O meglio, Genevieve. — La ragazza si mise subito sull'attenti. — Raggiungi Jaymin. Voi due, invece, — indicò i fratelli con un cenno del capo, — andate nelle vostre gabbie e trasformatevi. Stanno per arrivare gli umani.

Kwangmin fece un mezzo passo avanti, senza perdere il sorriso. — Non potremmo evitare? — Congiunse le mani. — Sai, tramutarci in pantere richiede molte energie e Youngmin non si sente molto bene oggi.

— Posso farcela — replicò l'altro. Tuttavia sembrava abbastanza pallido e provato, e si teneva convulsamente l'addome con la mano destra.

Sunggi si avvicinò all'infermo e posò le labbra sulla sua fronte. Scottava. — Hai mal di stomaco? Sei ferito? — Gli abbassò le braccia e sollevò la maglietta: il busto del giovane era cosparso da lividi bluastri e tagli ormai cicatrizzati. — Ma che diavolo hai combinato?! — ululò, sconvolta.

Fu Genevieve a rispondere: — Due o tre notti fa siamo usciti a fare un giretto per le carovane. Era una bella serata, limpida, temperata, c'era anche un buon profumo...

— Taglia corto, Gwen — sbottò acidamente la domatrice. Nel frattempo, aveva aiutato il ferito a sedersi ed aveva iniziato ad asciugargli con un fazzoletto il sudore dalla fronte.

— Oh, sì, sì. Abbiamo visto un tizio che usciva dalla carovana di Hyunwo-ajusshi. Ci siamo avvicinati e lo abbiamo seguito, anche perché non capita tutti i giorni di avere un visitatore "privato". — Genevieve si picchiettò il mento con l'indice. — Però a lui non è piaciuto ed ha cercato di colpirci. Youngmin-ssi se le è prese di santa ragione per permetterci di fuggire.

Silenzio. — Perché cazzo non ci avete detto nulla?! — strillò Sunggi, furibonda.

Kwangmin si grattò nervosamente la nuca. — Beh, Danhee, Ira e Tatjana ci hanno aiutato e... insomma, sì, pensavamo che, dal momento che... — balbettò, mentre le gote si tingevano di rosso, —... l-lui era uscito dallo studio di Hyunwo, quindi abbiamo pensato che non fossero affari nostri.

Le rotelle di Sunggi avevano iniziato a muoversi. Doveva assolutamente parlarne con Donghyun e discutere sul da farsi. — Portate Yougmin a letto. Io devo fare una cosa. 

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