Urban Legends

By CactusdiFuoco

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[STORIA COMPLETA] Io sono Furiadoro e la mia esistenza è una sorta di... leggenda. Sono una donna lupo, una s... More

Prologo
L'inizio di un nuovo viaggio
Finto-Vampiro
Il sangue dei licantropi
Sospesa tra due mondi
Il corpo di un lupo
Il muso della ferocia
Di nuovo umana
Massacro di plenilunio
Ciò che mi ha dato la Luna
Una lupa tra gli umani
Il club degli animali
Incontro col mandante
La casa del mago
La routine della donna lupo
La ricompensa dei ratti
Cannibale
Il gabinetto pensatoio
L'omicidio di Mr.Mell
Illusioni di tempi andati
Licantropi for dummies
Una terribile bestia in abito elegante
Sebastian Barren
Cacciare cacciatori
Le risorse nascoste di un goldenwolfen
Un dottore immaginario?
Un dottore pazzo?
Un luminoso Sabato mattina
September Aster vs Franco Staretti
L'altra bestia d'oro
Tutti i mostri sono capricciosi
A caccia per vivere
Lupouomo
Violenza e mutazioni
Goldenwolfen
Il Natale anormale
Uno spettacolo di magia
Due mostri non possono scontrarsi senza conseguenze terribili per entrambi
Ritorno alla vita
Su Dio e sulla salvezza del genere umano
Lupo acromegalico
Primo intermezzo narrativo
September che parla a ruota libera
Una strana creatura trovata in un fosso
Sharazad
Un plenilunio con Cuscino
Fame di morte
Un nuovo autocontrollo
Il ritorno del cacciatore nero
E si aprirono le porte dell'inferno
Benvenuta nella tua tomba
In cui si ammazza una nosferatu
Conversazione con la Mater Inferorum
Un troll con vestiti nuovi
Santo Stefano di Camastra
Aldo, la bottega e l'uomo misterioso
Ci rivedremo in un'altra città
La Madre dell'Inferno
Solo un sogno in carne ed ossa
Lo squallore e la (gradita) separazione
Mack e Jack
L'orologiaio
Un vampiro diverso da tutti gli altri
Il portale di Miomarto
PARTE SECONDA
Un viaggio sabotato
La Città Senza Nome
Le Creature senza Nome
E il pericolo arriva anche sottoterra
Vampiri pazzi
Una foto di gruppo su una nave da crociera
Un vampiro addormentato su una nave da crociera
In comunione con il vampiro
Furio Dorati
Furio il supereroe
Un inganno riuscito
Quel che Lilith fece a Vlad
Vampiri con le mitragliatrici
Grande Crinos
Fullbeast mode
Intrappolata dalla magia
Di ritorno dall'Inferno
Mostri con le ali
I poteri "aldilà"
Un segno di Dio?
Finale di battaglia
Epilogo
Urban Legends #1: il mago e la donna lupo. Un ebook per voi!

Everybody was Kung Fu Fighting

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By CactusdiFuoco


Poi i tre giorni passano. La mia invincibilità decade e tutto ciò che sono è semplicemente "forte". Non abbastanza da distruggere chiunque, ma abbastanza da fare paura. Quando i tre giorni passano, tutto ricomincia.

Colazione, pranzo, cena. Fuori in strada, nella notte che diventa giorno dopo giorno sempre più fredda. Finalmente, l'odore di "polvere di stelle" aveva iniziato a scemare e in un paio di giorni scomparve del tutto. Rividi ancora una volta sola l'uomo con il colletto di pelliccia e mai più le due donne.

Altri uomini, insignificanti, uscivano ed entravano dai bar notturni. Un paio di ragazzi si baciarono all'angolo della strada. Due ragazzi, non un ragazzo e una ragazza come avevo sempre visto. Ero abbastanza incuriosita, credevo di stare imparando qualcosa sulla psicologia umana, notte dopo notte, ma in realtà non stavo imparando molto.

Era una sera come le altre quando vidi due tizi picchiarsi all'angolo della strada, un ragazzo dalla pelle del colore del cuoio conciato e uno con gli occhi sottili da orientale e la pelle leggermente abbronzata. Si colpirono con metodica precisione, ma non riuscii a capire per cosa si stessero battendo. Il sangue sgorgò dalle loro labbra tagliate e dalle loro narici, uno dei due tirò fuori da dentro il giaccone un coltello e l'altro si liberò del suo cappotto per schivare i colpi. L'orientale, quello con il coltello, prese da terra il cappotto del nero e scappò via, subito inseguito dall'altro uomo che urlò

«Ehi! Ridammela! Ridammela!».

Non rividi più neanche loro, ma scoprii che vederli combattere mi aveva fatto aumentare la pressione. Avevo bisogno di combattere. Decisi che avrei ascoltato il mio istinto e così accadde quello che io chiamo "la realizzazione della mia bilancia". Da un lato i libri, la luce del giorno, i cornetti, Cuscino e September, dall'altro la notte nera, i vicoli bui, le botte.

Aspettavo di fronte al bar, con le braccia incrociate. Vedevo uscire la gente e li analizzavo, i loro odori, le loro voci. Poi, se qualcuno non mi piaceva, lo picchiavo. Non mi importava se tutto ciò non era etico o se non aveva senso, era solo un bisogno forte, di violenza, che mi possedeva tutte le sere. In realtà, non tutte le sere picchiavo qualcuno, solo quando vedevo qualcuno di particolarmente antipatico.

La prima volta, fu quando vidi un tizio completamente ubriaco brancolare fuori da un vicolo laterale, barcollando sul fianco destro e battendo una volta un ginocchio per terra. Un ragazzo, appena quindici anni e capelli biondi, si trovava a passare per la stessa strada, uno sfortunato caso immagino. L'ubriaco, grosso il doppio di lui, castano, barbuto, capelli scompigliati, afferrò il ragazzo per il bavero nonostante quello stesse passando a un metro e mezzo di distanza da lui, buttandocisi letteralmente contro.

«Ehi! Ehi!» Strillò il ragazzino, cercando di divincolarsi

«Ehi! Ehi!» lo scimmiottò l'uomo, con voce da basso resa tremula «Ciao, finocchietto...»

«Ciao» dissi io, piano, ovviamente troppo lontana perché quello mi sentisse.

Il biondino prese a divincolarsi disperatamente, ma quello gli teneva forte la stoffa della felpa e lo attirò a sé, gridandogli in un orecchio

«Hai della roba?!»
«Cosa? Cosa signore?» strillò il ragazzino, quasi più fuori di sé dalla paura di quanto l'altro lo fosse per i troppi superalcolici

«Ti ho chiesto se hai della roba, piccolo bastardo»

«No signore! No! Io non prendo quelle cose, io neanche le conosco quelle cose!».

La roba. Sapevo di cosa si trattava, era un sinonimo colloquiale di droga, e sapevo anche che nel paese in cui stavamo ce n'era pochissima, costava cifre esorbitanti ed era illegale come ammazzare una persona. Il tizio con la barba doveva essere davvero molto, molto ubriaco per parlare in quel modo "della roba" in mezzo alla strada. Mi venne in mente un termine, "pericolo per la sicurezza pubblica". Non mi piacevano quel genere di persone, erano chiassose, inutili, infettavano i vicoli, il mio territorio, con la puzza disgustosa del loro alito e con l'orribile suono delle loro parole.

Così iniziai a camminare verso il marciapiede dall'altro lato.

«Io ho della roba» Dissi, ma non a voce troppo forte. Però il barbuto mi sentì e sollevò la testa come un serpente, guardandomi con le labbra aperte in un sorrisone ebete e orrendo, nuvolette di condensa che uscivano dalle sue narici e dalla sua bocca. Lasciò andare il ragazzo biondo, che prese immediatamente a correre dalla parte opposta, e venne verso di me, barcollando. Il suo puzzo disgustoso mi fece venire voglia di indietreggiare, ma c'era una parte di me, più forte, che prese immediatamente il sopravvento. Le mie mani si mossero da sole e afferrarono il volto dell'uomo. Aveva occhi grigio-bruni, grandi e offuscati. Chiusi strettamente le dita della mano destra, accarezzando lentamente con le nocche la guancia dell'ubriaco che stava borbottando parole incomprensibili. Poi iniziai a colpirlo con forza.

Sangue, sangue, sangue. Il suo profumo coprì quello dell'alcool, dapprima, poi vi si mescolò. L'ubriaco non gridava, troppo spaventato e confuso per fare anche una cosa così elementare, ma si rannicchiò su se stesso, tenendosi le ginocchia. Non tentò di reagire come avevo sperato, fu alquanto penoso. Gli spezzai le ossa di una mano e due costole con il chiaro intento di spezzargli una mano e due costole, dunque rimanendo assolutamente soddisfatta del mio operato, e poi lo lasciai sul marciapiede, disgustata. Erano questi gli umani? Non avevo letto di creature simili nei miei libri. Di umani disgustosi che puzzavano di alcool e non sapevano neanche tirare un pugno in reazione, che riuscivano a tiranneggiare solo i più piccoli e i più spaventati. Il ragazzino biondo, se avesse voluto, avrebbe potuto anche picchiare l'ubriaco, ma aveva avuto paura e le sue preferenze erano ricadute su una fuga rapida e indolore dove non bisogna affrontare qualcuno di più grosso, cattivo e abituato a trafficare con "la roba".

Iniziai a scegliere con più cura le mie vittime, guardavo chi era più alto, più forte, chi aveva lo sguardo più duro. Scoprii che gli sguardi da duro non servono a niente e che chi ce l'aveva, in genere, era una mezza calzetta a combattere. Scoprii che le persone allegre combattevano meglio e riuscivano a parare i colpi, anche se spesso i miei colpi spezzavano loro le ossa. Imparai a colpire chi era brillo ma non troppo e a nascondere il volto sotto il cappuccio della felpa, imparai che mostrare le cicatrici poteva incutere timore e che bisognava essere rapidi, silenziosi, efficaci. Imparai a cambiare zona spesso.

La mattina guardavo pensierosa September che leggeva preoccupato le notizie sul giornale, articoli che parlavano di un gang a piede libero in città e di regolamenti di conti fra extracomunitari. Era più facile non farsi beccare, se si colpivano gli extracomunitari, perché sembrava che a ben poca gente importasse di loro o che tutti credessero che quella povera gente fosse riunita in bande che adoravano picchiarsi fra loro e sfregiarsi con i coltelli. La preoccupazione sul volto del giovane mago mi faceva sorridere, ma solo perché era completamente infondata: nessuno lo avrebbe colpito mentre passeggiava di sera. In ogni caso, lui era una persona molto, molto cauta e non usciva mai di notte. Inoltre, e questo era un motivo per cui stare tranquilli, non faceva parte di alcuna banda né di stranieri né di autoctoni.

Una volta il giornale riportò persino un mezzo identikit completamente sballato di me, scritto da uno dei pochi non-extracomunitari che di tanto in tanto assalivo perché trovavo antipatici. Ero descritta più o meno così: uomo sulla quarantina, capelli castani chiari, forse biondi, cicatrici in faccia e sulle mani, alto dai due metri ai due metri e dieci, probabilmente di provenienza russa. Io non ci arrivavo a due metri, ero femmina e bionda, quarant'anni non li dimostravo di sicuro e non conoscevo il russo, ma September mi guardò in modo strano lo stesso per una decina di secondi prima di convincersi che non potevo essere io.

Stavo attenta a non sporcare la felpa di sangue, ma a volte succedeva e scoprii così di essere brava a mentire, ma non troppo, sull'origine di quelle macchiettine. C'era sempre un coniglio fittizio, un topo, un gatto che avevo immaginariamente squartato a giustificare quel sangue, e September sospirava e smacchiava.

Amavo picchiare gli esseri umani, non riuscivano neanche ad arrivare a farmi cadere il cappuccio sulle spalle. Una volta ne incontrai uno piccoletto, con i capelli rossicci, che mi girò intorno come un granchio, tenendosi basso sulle gambe, e mi sferrò un calcio dritto sulla clavicola e posso giurarvi che mi fece male. Fu bellissimo. Mi abbassai sulle gambe come lui e sollevai le mani mettendomi in guardia. Lui indietreggiò rapidamente, sembrava un serpente. Colpii basso, mirando con un calcio alle ginocchia, e lui saltò, riatterrando poi a gambe aperte e sollevando fulmineamente il piede in un colpo altissimo, che mi colpì sul mento. Era veloce ed era arrabbiato, ma non aveva paura. Annuii e mi ritrassi. Avrei potuto ucciderlo, ma cosa ci avrei guardagnato? Lui non aveva paura ed era bravo a combattere, non sarebbe stato bello neppure rompergli le ossa. Mi girai e feci per andarmene quando mi accorsi che, invece, rompergli le ossa sarebbe stato bellissimo. Ma non quella volta, quella volta volevo solo vedere un po' di sangue. Voltandomi di nuovo, corsi verso di lui, caricando a testa bassa, e lui si spostò con una velocità quasi sovraumana, roteando sulla punta dei piedi come un ballerino di danza classica. Volteggiai anch'io, con molta meno grazia a onor del vero, e lui si spostò di nuovo, si buttò su un fianco e scivolando per terra come un diavolo di pinguino sul ghiaccio mi calciò gli stinchi, destabilizzandomi e facendomi capitombolare come un grosso, inutile sacco di patate marce. Nessuno mi aveva mai fatto questo. Mi misi a ridere, rialzandomi piano, quando lui unì la mano destra alla sinistra e scaricò tutta la forza delle sue braccia contro la mia schiena, rallentandomi. Non sapevo neanche come avesse fatto ad essere di nuovo dritto in piedi accanto a me, non l'avevo visto riprendersi, sembrava un maledetto fantasma. Risi ancora e balzai su, ringhiando e cercando di colpirlo. Lui schivò uno, due, tre, quattro, cinque colpi come se potesse prevedere in anticipo dove sarebbero finiti, come se nel suo campo visivo le traiettorie dei miei pugni fossero evidenziate da linee rosse incandescenti. Infine, e solo perché stava iniziando a stancarsi più rapidamente di me, lo beccai con una gomitata allo stomaco, buttandolo per terra. Con un poderoso colpo di reni, lui si sollevò da terra sembrando attaccato a fili invisibili, una marionetta manovrata da mani troppo esperte, emettendo un breve grido strozzato e mi colpì dietro il ginocchio sinistro con il piede. Mi piegai battendo con le rotule per terra e senza fiatare mi risollevai. Lui mi colpì con un pugno in mezzo alle scapole.

«Non sento nieeeente!» Dissi, allargando le braccia, e lui mi colpì allo stomaco due volte in rapida successione «Ancora niente, bellezza, ancora niente! Più forte, piccolo!»

«Hai il giubbino?» domandò lui, saltellando sul posto, sempre con la guardia alzata

«Giubbino? Gli antiproiettile non proteggono dai pugni, bellezza» ridacchiai, poi lo colpii a tradimento con un pugno dritto allo stomaco, forte abbastanza da sollevarlo da terra e piegarlo in due.

Il mio avversario ricadde sull'asfalto con un rumore raschiante, tenendosi la pancia con le mani che gli stringevano la carne come artigli. Mi acquattai accanto a lui, accovacciata sui talloni, accarezzandogli i capelli

«Alla prossima volta» gli dissi, mentre tossiva spasmodicamente «Hai combattuto bene, molto bene. Sei stato il migliore fino ad oggi, eccetto per uno strano cacciatore che avevo visto mesi e mesi fa. Quand'è che rifacciamo?».

Quello sollevò lo sguardo verso di me. Ero sicura che l'ombra del cappuccio coprisse bene la mia faccia, ma al contrario del mio, il suo sorriso sporco di sangue si vedeva benissimo.

«Facciamo...» tossì «... Facciamo venerdì a mezzanotte?»
«Facciamolo. Sei un grande, amico»

«Tu sei completamente pazzo, invece» mi rispose, ma nel frattempo rideva. Se pensava che fossi un pazzo e rideva, evidentemente il pazzo era lui. E io, per la cronaca, non ero affatto un uomo.

Mi allontanai nella notte che erano quasi le cinque del mattino, meravigliata dallo stile di combattimento di quel ragazzo e pensando, che diamine, se anch'io avessi imparato a combattere come lui, con la forza che avevo, quanto sarei stata invincibile? Anche nel mio corpo umano, nessuno avrebbe saputo come sconfiggermi. Dovevo imparare e l'avrei fatto, notte dopo notte, guardando i suoi colpi. Era così... elegante. Così bello.

A proposito di eleganza, tornando a casa vidi per strada un uomo in giacca e cravatta, chiaramente straniero vista la sua faccia da nordico e i capelli biondo-grigi, un misto fra acciaio e filigrana d'oro, che si ripuliva le punte delle dita sporche di sangue con un fazzoletto di stoffa rossa. Sembrava interessante, ma non avevo tempo per rimanere ancora a lungo fuori e poi, da parte mia, avevo già trovato il mio personale maestro nella notte.

Se c'era una cosa che avevo capito era che basta osservare con attenzione una città di notte per vedere cose che neppure immaginavate e non parlo solo delle persone strane o del pericolo dietro ogni angolo. In realtà parlo di cose molto più pacifiche. In quelle notti, senza neppure farci caso, avevo visto tante volte bambini affacciati alle finestre e madri e padri che indicavano le stelle o la gente che passava di sotto in strada. Avevo visto cani che vagavano randagi trovare qualcuno che offre loro del pane, come se di notte fossero tutti più disposti a donare qualcosa, e una volta un paio di barboni che univano i loro vecchi rifugi di cartone e di stracci per crearne un'unico, più grande e confortevole, per poi dormirci insieme dentro, abbracciati come due bambini. Ma quella sera, quella in cui avevo trovato il mio maestro, riuscivo ad accorgermi di tutte le sagome alle finestre e di ogni singola luce accesa nella notte, di ogni falena infreddolita che svolazzava pigra e di ogni cane addormentato. Tutto era bellissimo. Mi tolsi il cappuccio e gettai indietro la testa per respirare a fondo. Un paio di grossi ratti nerastri comparvero ai bordi della strada ed io li salutai allegramente. Anche loro erano belli, sapevano di acqua e sangue, in quella notte sfavillante e senza nubi in cielo, cosicchè le poche stelle che non erano state uccise dalle luci erano ben visibili.

Incontrai ancora due volte l'uomo con i capelli rossicci e per due volte ancora vinsi.

Poi, la terza volta, mi diede appuntamento e non si ripresentò, forse stanco di essere picchiato ogni volta. Potevo quasi capirlo, ma anche se non l'avessi mai più rivisto gli sarei comunque stata grata per quello che mi aveva insegnato.

Ed in ogni caso, mi sbagliavo: lo rividi l'indomani mattina del giorno in cui mi aveva dato buca, andando al supermercato con September. Il mio maestro di arti marziali, con un lieve alone scuro di ematoma sulla guancia destra, stava decidendo se comprare fusilli, farfalline o mezze penne rigate ed era così concentrato da essere quasi buffo. Mi avvicinai a lui

«Prendi le farfalline» gli consigliai «Adoro il modo in cui il centro rimane un pochino più crudo».

Spalancando gli occhi, lui mi guardò, sicuramente avendo riconosciuto la voce

«Tu sei...»

«Mi hai dato buca!» esclamai, poi abbassai la voce «Ma non fa niente. Ciao» gli tesi la mano «Sono Furiadoro».

Lui mi prese la mano con una presa vagamente incerta e iniziò a balbettare senza però parlare, sapete quando si muovono solo le labbra ma non si dice niente...

«Lascialo stare» Mi intimò September, da lontano, con una certa noncuranza

«Ma ci conosciamo!» risposi «Mi ha insegnato un po' di arti marziali»

«Arti marziali?» il mago sollevò la testa dall'espositore dei Ferrero Rocher, che stava fissando precedentemente con intensità «Che arti marziali?»
«Boh...»

«Kung fu» rispose prontamente l'uomo, con un sorriso.

Alla luce del giorno, e delle lampade del supermercato, i suoi lineamenti sembravano vagamente orientali nonostante fossero abbinati con quegli strani capelli castano-rossicci. I suoi occhi erano di un colore a metà fra il castano scuro e il dorato.

«Oh, adoro il kung-fu!» Strillò September, senza neanche pensare ad avvicinarsi, anzi, allontanandosi con il carrello verso il settore del pane «Anche se non lo pratico, eh! Ma dovrei, dovrei, fa molto bene alla salute!» e sparì dietro una fila di scaffali.

Io e l'uomo del kung-fu ci guardammo e lui rise un po', poi mi diede un colpetto sulla spalla

«Sei una ragazza, vero?» domandò, facendo vagamente finta di non essere sorpreso come un cervo con un faro abbagliante in faccia «Una donna»

«Si» risposi, stringendomi nelle spalle «Non sembra tanto, di notte, però»

«Incredibile. Assolutamente incredibile».

Potevo capirlo. Non avevo dimensioni propriamente umane, le loro femmine erano generalmente un po' più piccole ed erano anche più aggressive, anche se, per quanto riguarda l'ultimo punto, poteva sembrare il contrario.

«Vederti è stato un piacere» Gli dissi, fronteggiando la sua espressione che si faceva sempre meno velatamente sorpresa e sempre più confusa.

Poi mi allontanai. Sebbene fosse stato fantastico poter finalmente vedere così da vicino il suo volto, alla luce del giorno, non volevo che le mie due vite si confondessero o, cosa ancora più importante, che September capisse come avevo conosciuto quell'uomo. Lui non doveva sapere, altrimenti sarebbe stato in pericolo: lì fuori c'erano ancora barboni ubriachi che aggredivano i ragazzini o eleganti assassini che si sarebbero potuti ripulire dalle punte delle dita il sangue di September Aster.


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