Phàsia - le Isole della Tempe...

By Calypse_Moon

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I tradimenti comportano sempre conseguenze irreversibili. Le Isole della Tempesta sono dominate da un popolo... More

||Premessa||
Stemmi, Simboli, Casate, Marchi ed altro
• PARTE I •
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By Calypse_Moon

Quanto a Gareth, si avviò alla locanda vicino casa, nei pressi di BorgoVecchio, la parte nord orientale della città. Edificata centinaia d'anni prima, ospitava un numero irrisorio di abitazioni, costruite interamente con legna e pietra; la maggior parte di esse era ormai fatiscente, soggiogata dal vento e dalle intemperie che ne avevano compromesso l'aspetto. Vi abitavano per lo più contadini, mugnai ed allevatori di bestiame; tuttavia, vi era anche una minoranza elfica che preferiva vivere in quei pressi data la vicinanza ai boschi.

Durante il tragitto, Gareth si soffermò più volte ad osservare il paesaggio circostante, immerso in reconditi pensieri; la strada diramava in maniera disomogenea per via del boschetto di Ohèner e il giovane si sorprese rendendosi conto di star vagheggiando nei suoi pressi, alla ricerca di pace e serenità. Si sedette per qualche momento su di una panca incassata su di una spessa roccia, acquietando alla meglio lo spirito. Prese a compiere ampi e regolari respiri, sperando di calmare la tensione accumulata: la storia del tradimento, l'incursione del Khonnak, le sue minacce e poi quell'esplicita allusione ad eventi passati... Qualcosa non tornava ed era deciso ad andare in fondo a quella storia. Avrebbe desiderato ritornare sui suoi passi, raggiungere Legath e chiedergli ulteriori spiegazioni. Considerò l'idea ma preferì evitare ulteriori dibattiti, con la speranza di veder presto l'uomo.

Giunto alla locanda del Cavaliere Errante, fu investito da odori e suoni che, per un attimo, lo distrassero dagli angusti pensieri; vide con la coda dell'occhio la sorella, Eileen, la quale stava asciugando svogliatamente alcuni piatti. Gareth sorrise pensando a quanto fosse bella e, in particolare, a quanto le ricordasse la madre. Si avvicinò al bancone in pietra per salutarla ed ordinare una fumante tazza a base di erbe aromatiche e patate dolci quando, la sua attenzione fu richiamata da qualcuno che, ad un angolo della piccola sala, lo chiamava a gran voce: «Gareth, amico, vieni qui!», a reclamare la sua presenza era Yvor, una delle poche persone su cui il giovane poteva contare; egli non spiccava di certo per arguzia e valore, tuttavia era un leale compagno.

«Yvor, ti raggiungo subito!», urlò di rimando, sorridendogli di cuore. Si voltò in direzione di Eileen, pronto a ordinare qualcosa con cui cibarsi, ma vide che la ragazza era stata chiamata a servire ai tavoli, dunque pensò bene di andarsi a sedere, aspettando che lei passasse vicino a lui. Fu costretto a superare diversi ostacoli prima di giungere finalmente nel tavolo di Yvor, tra cui oltrepassare un Rhud ubriaco e scansare una donna con un ampio e traballante vassoio in mano. «Piacere di rivederti!», esclamò semplicemente il giovane, rivolgendosi all'amico e allungando la mano in segno di saluto.

Yvor ricambiò la presa del compagno e serrò le dita sulle sue, ricambiando con fervore il sorriso. «Dove ti eri cacciato? Ho temuto seriamente per la tua incolumità», esordì il compagno, ridacchiando di gusto, dopo qualche attimo di silenzio. «Io ho preferito svignarmela da quel covo di serpi, saranno sopraggiunti altri Khonnak, non è vero?», domandò con curiosità.

Gareth schioccò la lingua in segno di negazione alzò il mento per rafforzare il suo diniego. «Non è venuto nessuno; sono rimasto con solo Legath e Athèas», replicò con voce piatta, quasi innaturale. Non aveva intenzione di condividere con altri l'accaduto; avrebbe tenuto per sé le rivelazioni del Khonnak. Inoltre, era venuto alla taverna per riposare la mente, far due chiacchere con gli amici e soprattutto mettere qualcosa di caldo nello stomaco.

«Strano; avrei giurato di aver visto un manipolo di quei soldati aggirarsi nei pressi della casa di Legath. Mi sarò sbagliato», ragionò a voce alta Yvor, storcendo le labbra in segno di dubbio.

«Sicuramente», dichiarò, «che cosa hai ordinato?», aggiunse, cambiando volutamente discorso.

«Non c'era molta scelta... Ho preso questa sorta di minestra giallastra che, ahimè, non ha per niente un bell'aspetto; per non parlare del sapore!», rispose il compagno, con una smorfia disgustata il volto. «Tua sorella non sa proprio cosa consigliare!».

«Mai fidarsi delle donne», annuì Gareth, con un mezzo sorrisetto, «non riescono a comprendere il giusto modo d'accontentar un pover'uomo, non è vero Eileen?», aggiunse, enfatizzando con un timbro di voce più alto l'ultima frase, affinché la gemella, avvicinatasi a loro, sentisse distintamente.

«Buonasera signori!», salutò divertita, facendo con innata abilità una riverenza. Notò il labbro tumefatto del gemello, eppure non volle interrompere quel momento di gaudio. Un portavivande era poggiato sulla testa della giovane, trattenuto con sapienza grazie all'ausilio di una mano. «Che cosa vi porto, mio caro forestiero?», continuò a dire, sorridendo più di prima. Poggiò il vassoio sul tavolo e abbracciò con impeto il fratello, baciandolo su fronte e guance. «Che ti porto?».

«Sicuramente non la minestra riscaldata», esclamò lui di rimando, compiaciuto dall'affetto che la sorella gli mostrava. «Gradirei, mia cara, un piatto di patate dolci; il piatto della casa per intenderci», concluse, strizzandole l'occhio. Da quando Eileen lavorava come inserviente presso la l'osteria, Gareth aveva iniziato a frequentarla assiduamente: ai più diceva che adorava il cibo che servivano alla locanda, tuttavia il motivo delle sue frequenti visite era legato a qualcosa di più affettivo: desiderava tener d'occhio la sorella. Per quanto quel luogo fosse frequentato da brava gente, Gareth si sentiva in dovere di dover proteggere il suo stesso sangue e, essendo lui il capo famiglia, tentava con tutte le sue forze di garantire che Eileen fosse trattata con rispetto. In più, grazie al suo lavoro, il giovane mangiava bene e pagava poco; un motivo in più per passare le serate al Cavaliere Errante.

«Come desidera, signore. Gradisce del vino?», replicò raggiante, mimando il suo verso, sostenendo così il gioco. Adorava il fratello: era l'unico familiare ancora in vita e, soprattutto, quando lui era presente, lei si sentiva protetta. Nonostante fossero diversi, i due rappresentavano i lati di una stessa medaglia, un compendio inscindibile di arguzia ed ingenuità. Poggiò il portavivande sul grande tavolo e si accomodò su di un angolo di esso.

Per tutta risposta, Gareth prese una coppa vuota e la protese in direzione della sorella, seguito subito da Yvor che, fino a quel momento, aveva assistito all'allegra scenetta dei due consanguinei.

«Certo che siete strani voi Cernil; una famiglia davvero stramba», constatò Yvor, tra le risa generali.

«Hai visto Dagonet?», chiese la giovane, rivolgendosi al gemello, «avrebbe dovuto essere qui alle sette».

«Non ho la minima idea di dove sia», ribatté contrito, ricordando la situazione spiacevole di qualche ora prima. «I Khonnak non sono i benvenuti qui, Eileen».

«Questo non significa che non abbia il diritto venire!», protestò stizzita ma, prima di poter continuare a ribattere, fu chiamata da altri clienti. «Ti porto quello che hai ordinato», concluse frettolosamente, prendendo nuovamente sul capo il vassoio e dirigendosi verso altri commensali.

In un banco non molto lontano, alcuni abitanti dell'isola parlottavano a voce bassa di un episodio particolare, avvenuto qualche giorno prima: «non è un buon segno, te lo dico io, amico. Non si vedeva un'incursione del genere da parecchi anni ormai», disse un uomo di bassa statura, dal volto largamente segnato dal tempo.

«Per la miseria, Gerkàn!», esclamò uno dei suoi vicini, «non puoi fare una tragedia per ogni nuova cosa che accade in questa maledetta terra!».

«Abbi il buonsenso di farti gli affaracci tuoi!», borbottò Gèrkàn, fulminandolo con lo sguardo. «È difficile che i lupi bianchi si spingano fino alle coste; qualcosa li turba. Qualcosa di grosso, signori; mi ci gioco la testa», sentenziò con voce solenne. «Non ho mai assistito ad una scena così prima d'ora, ve lo posso assicurare».

«Ciò che non mi convince sta nel fatto che i lupi non hanno toccato le bestie, è ridicolo!», intervenne un giovane dalle gote arrossate. «Non lo trovate anche voi strano?», aggiunse, rendendosi conto d'aver parlato con troppa enfasi.

I presenti annuirono all'unisono; benché nessuno, eccetto il vecchio Gerkàn, si prestasse veramente a quel racconto.

«Tempi duri ci aspettano; a breve verranno eletti anche i nuovi Yandest e sono proprio curioso di conoscere i volti di chi ci governerà d'ora in avanti», disse quasi tra sé.

«L'Alba Efed è vicina, presto l'inverno sopraggiungerà e con esso anche un'imminente carestia». Decretò un uomo incappucciato, seduto ad un tavolo vicino. Aveva ascoltato la conversazione con scarso interesse, tuttavia sembrava curioso di saperne di più riguardo i nuovi Capi Supremi dell'isola. «Chi pensate verrà scelto?», domandò con una certa dose di non curanza.

Un uomo baffuto si alzò in piedi e, dopo aver attirato l'attenzione della maggior parte dei bancali, battendo con veemenza i pugni sul tavolo, iniziò: «sono qui per fare un annuncio importantissimo; la massima attenzione!», esclamò impettito e, per rimarcare la solennità del suo discorso, stampò cinque dita sulla nuca di un commensale, troppo svampito dall'alcool per poter rispettare la sua richiesta di silenzio. In verità, un numero non indifferente di presenti non diede peso alle sue parole. L'uomo, irritato dalla scarsità di seguaci, iniziò il suo discorso, lanciando qua e là sguardi furiosi. «Volevo solo annunciare che, comunque vada, i nostri futuri capi saranno dei caproni effeminati che si piegheranno come giunchi al vento al volere di Ogmah; per cui, cari amici, non disperate. La nostra situazione di stallo non muterà, la nostra sottomissione non verrà mai meno!», e concluse il suo particolare discorso con una risata così fragorosa che quasi affogò con la sua stessa saliva.

«Abbassa la voce, idiota!», ringhiò un compagno, infastidito dalla sua condotta, «se ci sentono, farai passare guai pure a noi!».

Da più di cent'anni, Kernonos, assieme ad altre isole, viveva attanagliata nella stretta morsa di Ogmah. I suoi abitanti, i Khonnak, avevano persino invocato il diritto di arrogarsi una parte della vasta isola. La zona sud-est era divenuta oramai il loro quartier generale e, persino le festività a loro più importanti, venivano non di rado festeggiate ad Almas. Kernonos era il loro avamposto preferito, sito al centro del Mar dei Venti, permetteva loro il dominio completo di tutti i territori. I nativi del luogo, incapaci di cacciarli via, avevano dunque accettato passivamente il loro comando, limitandosi alla sola invettiva.

Gareth, dal lato opposto della stanza, ascoltò con attenzione le parole del suo concittadino e, nonostante fosse chiaro che le sue parole fossero alterate da quantità indefinite di alcool, si rese conto che il suo discorso era veritiero: chiunque fosse salito ai vertici non avrebbe sicuramente apportato delle modifiche a beneficio della patria. Scosse la testa, rapito dai soliti pensieri che si facevano strada con insistenza nella sua mente e, si rivolse all'amico: «belle parole».

«Già, belle quanto infauste! Se lo sentissero passerebbe seri guai. Non dovrebbe mettere in discussione il loro operato. Una persona intelligente si farebbe i fatti suoi».

«Una persona stupida sottostarebbe ai loro ordini; una persona intelligente, invece, troverebbe il modo di cambiare questo sistema corrotto», ribatté Gareth, con occhi infuocati.

«Una persona intelligente si farebbe ammazzare!», obiettò, con voce roca, Yvor; la testa era inclinata, con i lunghi capelli castani legati malamente in una coda, ma gli occhi grigi si rivolsero all'amico, con fare ammonitorio. «Occupiamoci dei nostri affari, ti dico; non ne verrà nulla di buono ad immischiarsi negli affari dell'ordine, te lo posso garantire», decretò infine, orgoglioso del suo discorso.

«Meglio la morte, che una vita di schiavitù», ribadì l'altro, scandendo le parole. I suoi pugni erano talmente chiusi che le dita affondarono inevitabilmente nella carne, lasciandogli spessi segni rossi su ambo i palmi.

«A proposito di farsi ammazzare; che ti è successo? Hai la faccia di uno che è stato pestato per bene», domandò l'altro, trattenendo a fatica una risatina.

«Trovavo curioso che ancora non me lo avessi chiesto!», replicò sospirando; volse le iridi verdi al cielo, chiedendosi il perché si trovasse lì; "avrei fatto meglio a ritornarmene a casa" pensò a voce bassa.

«Ecco a voi, signore!», intervenne improvvisamente Eileen, appoggiando un piatto fumante in uno spazio creato dai gomiti del fratello, «mangia e mettiti comodo; stasera ne sentirai delle belle!», continuò a dire sorridendo. Era preoccupata per il fratello, ultimamente si comportava in maniera curiosa: spesso si rintanava nella sua camera, sommerso da libri che sembravano apparire dal nulla, salvo poi svanire improvvisamente. Da tempo aveva compreso che il gemello era versato in arti che lei non sarebbe stata in grado di comprendere, tuttavia questo le dispiaceva immensamente: aveva sempre sperato che loro fossero uguali in tutto e non solo nell'aspetto; avrebbe voluto condividere con lui i più reconditi segreti. Accarezzò con dolcezza i capelli setosi del fratello, facendo in modo che esse scivolassero poi sui suoi perfetti zigomi. Baciò con delicatezza la sua fronte, ancora aggrottata da sconvenienti pensieri e sussurrò parole confortanti al suo orecchio.

«Vi ringrazio, dolce pulzella dalla chioma aurea e splendente!», replicò lui, chinando il capo in segno di rispetto. Si divertiva non poco a scherzare con la sorella e, pur non volendo ammetterlo, quando era con lei, tutto ciò che lo rabbuiava improvvisamente svaniva. «A che ora finisce il tuo turno?», aggiunse, cambiando tono. Era molto stanco e, benché non volesse ritirarsi a casa senza di lei, comprese che in poco tempo sarebbe collassato sul tavolo.

«Non so dirti; stasera c'è più movimento del solito», rifletté lei a voce alta.

«Stai tranquillo, Gareth; l'accompagno io una volta che avrà finito le sue mansioni», lo rassicurò con prontezza Yvor, affibbiandogli una pacca sulla spalla. «Vai pure; mi sembri particolarmente sotto tono questa sera».

«No, resisto. Non preoccuparti», replicò Gareth, guardando di sottecchi la gemella. Sicuramente l'avrebbe affidata a Dagonet, ma di Yvor non aveva alcuna fiducia. Se si fosse presentato qualche problema, se qualche Khonnak avesse improvvisato una rappresaglia alla taverna o se ci fosse stato qualsiasi tipo di pericolo, Yvor sarebbe sicuramente fuggito a gambe levate, senza voltarsi indietro. Era un caro amico, onesto e di buona indole, ma era imprevedibile; e Gareth non amava l'imprevedibilità.

«Ne sei sicuro?», chiese ancora una volta l'amico, con una smorfia di apprensione in volto.

«Più che sicuro», lo rassicurò lui, con occhi lucidi.

«Faccio il giro dei tavoli; se vi serve qualcosa, chiamatemi», esclamò Eileen, stiracchiando le braccia alla meglio.

«Portami altro vino, per favore», ordinò Yvor sbadigliando.

Eileen annuì e si apprestò a prendere un'altra brocca in cantina; avvisò frettolosamente l'oste, domandandogli se avesse bisogno di altra carne secca, ma lui scosse la testa, con un burbero brontolio. Sollevò una torcia poggiata al muro e scese lentamente le fredde e buie scale che conducevano a una piccola cantina dall'olezzo di muffa e carne avariata. La ragazza arricciò il naso, disgustata. Con fatica selezionò il vino da servire ai commensali ma, dopo averlo afferrato, adocchiò furtivamente un otre pregiato, proveniente dalle incantevoli terre di Maeve. Volle fare un omaggio agli amici; dunque pose la ghirba destinata all'uso comune al posto del recipiente prezioso e, con una repentinità innata, corse su per le scale, ritornando su. Era in procinto di richiudere la porta dello sgabuzzino quando sentì distintamente dei passi furtivi provenire dal suo interno. Scosse la testa, credendo di essersi sbagliata e richiuse l'uscio con uno scatto deciso.

Si passò una mano lungo il viso reprimendo con difficoltà uno starnuto e rassettò alla meglio la sua capigliatura, pronta a sostenere altre lunghe e interminabili ore di duro lavoro. Nonostante la giovane età, era stata costretta a trovarsi un impiego per aiutare Gareth a supportare le onerose spese di casa Cernil e, quantunque il gemello avesse opposto la più strenue resistenza, alla fine cedette alla sua volontà, più per bisogno che per desiderio di assecondarla.  


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