Changes.

By Chloette_

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|Completa| A ventinove anni, Amanda stava riuscendo a costruirsi una vita lontana dal passato solitario della... More

Una giornata insolita
L'Inizio
Mercoledì
Pace
Dubbi
Segreti Svelati
Di Male in Peggio
Il crollo
Conforto
Luke
Ritorno a casa
Il Confronto
Sorprese Inaspettate
"Cosa è successo?"
Tensioni
Il Ballo
Segni Indelebili
Nuove Esperienze
Una Serata Diversa
Caos
Qui per Te
Amicizia
Decisioni Fatali
Il Viaggio
Inghilterra
Scontro con il Passato
Dialoghi Inaspettati
Imbarazzo e Rivelazioni
Casa
Anniversario
Dicembre
Vigilia
Natale
Confessioni
Capodanno
Ospedale
Nuova Vita
Incomprensioni
Dettagli Importanti
Erba Cattiva
Impulsi
Famiglia
Sentimenti
Conferma
Appuntamento
Incertezze
Amore
La Proposta
Bisogno
Argomenti Delicati
Limite
Pasqua
Nuvole
(Non Più) Sola
Verdetto
Foto
Weekend
Piccole Verità
Arrivederci
Ringraziamenti e...
•SEQUEL•

Visita

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By Chloette_

«Piccola mia, non piangere.» Mia madre provava inutilmente a farmi calmare, ma non c'era verso; dopo essermi tolta tutti i pesi dalla coscienza, anche i miei occhi sembravano intenzionati a liberarsi dalle lacrime di troppo.
«Lo supererai, amore mio, dai... tu sei forte, sei la mia piccola Amma.» Sentendo quel nomignolo mentre mi accarezzava la schiena, le lacrime cessarono lentamente di scendere sul mio viso e sulla sua spalla.
Mi fece ricordare la mia infanzia, di come quel buffo appellativo divenne il nome con cui mi chiamavano i miei genitori: quando ero piccola non riuscivo a pronunciare Amanda, quindi per comodità dicevo Amma.
Quando i miei genitori lo sentirono, scoppiarono a ridere, chiedendomi il motivo di quel nome strano; io mi ero messa a piangere perché mi sentivo stupida a non riuscire a pronunciare Amanda, così avevano deciso di chiamarmi sempre così, anche quando, finalmente, la mia pronuncia migliorò. Con il tempo era diventato una sorta di segno affettivo nei miei confronti.
Me ne dimenticai quando rimasi lontano da casa per così tanti anni e sentirlo di nuovo mi fece sorridere.
«No, mamma, non sono forte, sono debole e stupida.» Sospirai, staccandomi da lei per asciugarmi le guance.
«No, sei diventata una donna meravigliosa e sarai anche una mamma meravigliosa.» Mi accarezzò la guancia, sorridendo; dal suo sguardo sembrava quasi contenta.
«Ho paura... e poi non è solo quello.» Abbassai lo sguardo, prendendo un respiro profondo. «Mi trasferisco in Pennsylvania» dissi di getto, sentendomi ancora più libera.
«Cosa? E come mai? Per il bambino? Il padre lo sa?» Le avevo spiegato tutto: che ero incinta di Luke e che, soprattutto, aveva dieci anni meno di me.
«No, non lo sa, non voglio dirglielo. Deve finire gli studi, a me si è presentata questa occasione e ho colto questa gravidanza per andarmene.» Il suo sguardo confuso mi ricordò che avendo concentrato il racconto sul padre e sul mio ex, non le avevo accennato nulla riguardo il lavoro.
Le spiegai tutto il resto per filo e per segno, senza tralasciare nulla; il suo viso era un miscuglio di emozioni diverse: dallo sconcerto all'incredulità e infine solo dispiacere.
«Se credi che sia la scelta giusta, fallo, anche se capisco quanto ti costerà lasciare questo ragazzo...» La mia espressione divenne talmente allarmata da essere l'opposto del sorriso malinconio che sfoggiava mia madre.
«Cosa vorresti dire?» chiesi, degluendo a fatica.
«Lo vedo dai tuoi occhi, piccola... sei innamorata.» Rimasi a bocca aperta, fissando le sue labbra nuovamente piegate in un sorriso; credeva che fossi innamorata di Luke?
Non sapevo cosa volesse dire amare; era una parola troppo grossa da attribuire alle mie poche esperienze. Amore avrei potuto provarlo per James, forse addirittura per Francisco.
Ma Luke?
No, non lo amavo.
«Ti sbagli» le comunicai, alzandomi dal divano e iniziando a girovagare per il salotto. «Mamma, ha dieci anni meno di me» dissi più a me stessa che a lei; era come se volessi autoconvicermi che ciò che avesse appena detto non potesse essere reale per il fatto dell'età.
«Lo so, me lo hai detto, ma ciò non significa che non possa esistere un sentimento anche con della differenza d'età.» La guardai sbalordita, mentre il suo sorriso sembrava più sincero.
«Mamma, ma... scherzi?» Come poteva una donna di altri tempi poter capire una cosa del genere rispetto alla società moderna?
«No, tesoro, non scherzo.» Sospirò per poi alzarsi e venirmi accanto, sotto il mio sguardo titubante. «Tua nonna, ovvero mia madre, mi raccontò una storia, una volta...» Sorrise più spontaneamente e percepii la sua totale immersione in un ricordo.
«Mi disse che quando era giovane e aveva all'incirca vent'anni, s'invaghì di un uomo più grande di quindici anni, ossia un trentacinquenne...» fece una pausa, osservando la mia espressione completamente smarrita, «sapeva che era sbagliato, soprattutto a quei tempi, ma non poteva bloccare i suoi sentimenti... alla fine incontrò tuo nonno, ma mi confessò che quell'uomo non l'ebbe mai dimenticato» terminò, appoggiandomi una mano sul braccio; gli occhi le si erano leggermente inumiditi, mentre i miei erano semplicemente fissi nei suoi, seri.
«Quindi la nonna era innamorata di quest'uomo?» le chiesi, non sapendo che altro fare.
«No, certo che no; lei amava tuo nonno, con tutto il cuore, semplicemente quel signore le era rimasto dentro l'anima, probabilmente era stato un sentimento tanto forte da non abbandonarla mai.»
«Io non amo Luke.»




La conversazione con mia madre mi aveva lasciato l'amaro in bocca; le sue parole erano lame che si erano insinuate nel mio cervello: non poteva davvero pensare che fossi innamorata di Luke.
Il resto della giornata lo passai con lei e quando mio padre tornò dalla sua gita con dei suoi coscritti, gli comuncammo del trafersimento, ma chiesi a mia madre di non accennargli nulla di Luke e la gravidanza; si era resa conto anche lei che si sarebbe arrabbiato e soprattutto sarebbe stato confuso. Meglio farlo in un altro momento.



La settimana riprese normalmente; lunedì e martedì Victor mi diede maggiori dettagli per il mese successivo e più l'ora della partenza si avvicinava più mi sentivo soffocare. Sapevo che prima o poi avrei dovuto dirlo a Luke, ma avevo paura di come avrebbe reagito, quindi continuavo a rimandare la questione.
«Il dieci maggio è fissato il colloquio con il proprietario dell'edificio che ci ha venduto, tu parlerai con lui e ti occuperai di tutto.» Victor concluse il suo discorso in quel modo e io spalancai gli occhi.
«Io? Perché io?» Lui rise, scuotendo la testa.
«Sarai affiancata dal mio collaboratore che coordinerà l'altra azienda, non ti lascerò tutto il compito, tranquilla.» Mi appoggiò una mano sulla spalla, sorridendo.
«Va bene.» Abbassai gli occhi sulle mie mani, intrecciate sul grembo.
«Grazie di aver accettato.» Rialzai lo sguardo, incrociando i suoi occhi; le rughe dell'età erano molto più marcate: si vedeva che aveva superato i cinquanta.
Mi limitai a sorridere e raccogliere tutti i documenti che mi aveva affidato per il trasferimento per poi uscire dal suo ufficio e raccattare le mie cose, uscendo finalmente dal lavoro.
In quei giorni mi sentivo più stanca e non potevo neanche affidarmi alle tenerezze di Luke, dato che era occupato a studiare per un esame.
Tornai a casa che erano le otto passate e la fame si faceva sentire, così mi preparai qualcosa di leggero, sperando di non rimettere tutto poco dopo.



Il giorno seguente avevo il pomeriggio libero, come sempre, ma non mi ero impegnata per nessun progetto in particolare; l'idea di stare chiusa in casa mi faceva sentire soffocata, ma d'altronde non avevo nessuna occupazione.
Entrai in bagno per sistemarmi e sciacquarmi il viso, quando l'occhio mi cadde sulla pancia che traspariva dal tubino che indossavo.
Un pensiero fisso si stagliava nel mio cervello: sarei diventata madre.
Poi realizzai qualcosa che ancora non avevo del tutto elaborato: mi sarei trasferita entro qualche settimana, lontano da tutti, e avrei partorito e cresciuto mio figlio senza nessuno accanto, completamente sola.
«Staremo bene» mi ritrovai a dire, massaggiandomi la pancia, anche se in fondo non ne ero sicura nemmeno io.
Mi sdraiai sul letto provando a rilassarmi e nel caso dormire qualche ora, ma il telefono si mise a vibrare con insistenza, facendomi imprecare contro chiunque fosse.
Luke.
«Pronto?» Ero leggermente irritata.
«Hey, aggressiva? Successo qualcosa?» Sentivo delle voci in sottofondo, ma non riuscivo a collegare dove potesse trovarsi.
«Niente, cercavo di dormire» risposi distratta, provando ad ascoltare con più attenzione cosa dicevano le voci.
«Ah scusami, ti lascio dormire, a stasera.» Una risata femminile mi invase le orecchie.
«Aspetta!» Mi resi conto dopo di averlo detto con troppa enfasi; «Dove sei?»
«Sono in camera a...» Scoppiò a ridere per qualcosa a me sconosciuto. «Smettila Rae, vai a finire di studiare economia... e lascia stare Gregg!» Rimasi allibita, cercando di collegare il diminutivo ad in nome.
«Lukey, vieni qui.» Era una voce femminile.
«Luke, che succede?» Sentivo l'agitazione farsi spazio nel mio corpo.
Il solo pensiero che potesse essere con un'altra non riuscivo a capire se mi mettesse tristezza o sollievo.
«Scusa amore, devo badare a dei mostri, a dopo.» Non mi diede il tempo di chiedere spiegazioni che spense la chiamata, lasciandomi attonita.




L'ospedale brulicava di dottori impazziti che correvano da un reparto all'altro, dai loro pazienti.
Dopo la chiamata con Luke mi era arrivato un ennesimo messaggio di James, in cui mi chiedeva di passare almeno a fargli un saluto; presa da non so neanche io quale impulso, decisi di recarmi da lui.
Alla fine non avevo nient'altro da fare e andarmene senza neanche aver visto come stava mi avrebbe fatta solo sentire in colpa.
«Cerco un paziente... James... James Cameron.» La mia voce uscì più strozzata del previsto, mentre l'infermiera mi indicava il piano e la stanza con fare annoiato; mi incamminai lungo il corridoio, evitando i dottori che correvano e i visitatori dei pazienti che si aggiravano lì intorno.
Raggiunta la sua stanza il cuore prese a battermi più forte del previsto e le dita presero a tremarmi in modo incontrollato; non sapevo né cosa dirgli né come affrontarlo. Forse non era stata una buona idea e me ne stavo rendendo conto proprio mentre mettevo piede nella stanza.
«Amanda...» Nella sua voce c'era una nota di malinconia mista a felicità.
«James.» Il mio tono era piatto, fin troppo. Quando vidi il suo corpo steso sul lettino la voglia di scappare si fece più intensa, ma provai a reprimerla, avvicinandomi ancora.
«Amanda sei venuta, che bello. Siediti.» Mi indicò una sedia che si trovava poco distante da lui e mi avvicinai con cautela, sedendomici poi sopra mentre lo guardavo; aveva il viso scavato ed era dimagrito moltissimo, s'intravedevano perfino delle sottilissime rughe dell'età.
«Ti ascolto» dissi, tenendo gli occhi su di lui.
«So che mi odi per ciò che ho fatto e ho capito... ho capito che ho sbagliato ad averti tradita solo per andare con qualche ragazzina più giovane.» Lo bloccai, ascoltando le sue parole con attenzione. Un'improvvisa rabbia mi fece stringere i denti.
«Andavi con le ragazzine più giovani?!»
«Solo qualche anno meno di te, tipo venticinque anni...» Sorrise, come se con esso potesse rendere la questione meno grave.
«E ti sei permesso di aggredire Luke perché ha vent'anni? Ma non ti vergogni?» Strinsi i pugni, nervosa; non solo mi aveva tradita, ma erano anche più giovani.
«Ma sono dieci anni di differenza! Cristo, Amanda, con loro erano...»
«Sette...» lo interruppi. «Erano solo sette anni, no? E quindi va bene? James mi fai...» Stavolta mi interruppe lui, prendendomi la mano e lasciandomi senza parole.
«Non voglio litigare con te, ti prego... voglio spiegarti.» Assunse un'espressione avvilita e sospirai sconfitta. Dovevo lasciarlo parlare, almeno per farlo contento prima di andarmene.
«So che non merito tutto ciò, so che sono un totale coglione e ho sbagliato tutto sia con te che come uomo, ma voglio chiederti di rimanere con me, almeno i miei ultimi giorni, perché io ti amo, ti amo dalla prima volta che ti vidi sotto la pioggia ad aspettare...»
«Ho capito.» Lo interruppi di nuovo, togliendo la mano dalla sua. «James, non posso starti accanto e non solo perché non lo voglio.» Vidi la sua espressione passare da desolata a confusa, chiedendomi una spiegazione.
«Mi trasferisco in un altro stato tra poche settimane» conclusi, mentre lui mi guardava impassibile.
«Allora... rimani almeno adesso... per qualche ora.» Mi riprese la mano e, deglutendo, mi arresi. Annuii e accennai un sorriso, provando ad accantonare tutto ciò che avevo passato nell'ultimo periodo per colpa sua; alla fine qualche ora non sarebbe stata la fine del mondo.

~
*revisionato*

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