PRICELESS

By JennaG2408

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"Le cattive abitudini generano pessime dipendenze" 🌘Dark romance 🔞Forbidden love 💰Crime romance 📚 SCELTA... More

Avviso
C'era una volta una dedica
PARTE I
Prologo Lea
Prologo Trevor
1. FACCIA DA STRONZA
2. Finché qualcuno non ti compra
3. Fallo stabilire a me
4. Così poco di lei, così tanto di suo padre
5. Se l'orgasmo fosse un suono
6. Mi aspettavo di meglio
7. La sua degna erede
8. Un errore da 15 dollari
8.1 L'autrice si è dimenticata un pezzo di capitolo.
9. Tienila d'occhio
10. Non è Trevor
11. Non vali così tanto
12. L'anomalia emotiva
13. Il valore dell'innocenza
14. Quasi tutto quello che mi interessa avere.
15 Stasera quello rosso
16 Il mese prossimo potremmo essere morti entrambi
17 Non puoi urlare
18 La Dea più capricciosa dell'Olimpo
19. Aspettami senza far danni (parte1)
20 (parte2)Sei tu, la mia sola cosa importante.
21 (parte 3) Seppelliscimi con le scarpe giuste
22 (ULTIMA parte) Voglio sapere se posso urlare.
23 Who needs a boyfriend when you have puppies?
24 Sei uno stronzo fortunato, Trevor Baker
25 Ogni regina ha il suo scettro
26 Non puoi toccarla
PARTE II
27 Stanco, ma non di lei
28 La prossima volta ti farà male
29 Un nome per il sesso e uno per l'amore
30 Dolce figlia di un figlio di puttana
31 Ah, Auguri.
32 Quello che sta intorno al cuore
33 L'inferno non va bene per Sebastian Baker.
34 Non sempre un uomo di successo è un uomo di valore
35 Fragola, cioccolato e una goccia di veleno: mortale tentazione
36 Non fare di lei la tua Harley Quinn
37 Due affamati nello stesso letto
38 Niente di male a sanguinare un po'
39 E comunque questo è un Valentino, stronza.
40 Cattive intenzioni e voglie pericolose
41 La mia bambina non si tocca
42 Scorre sangue immondo
43 La sua pelle e la mia fame (parte 1)
44 Groviglio di carne e abbandono (parte 2 )
45 La migliore cosa sbagliata della mia vita (parte 3)
46 Il sesso come strumento di guarigione
47 Facciamo finta di no
48 Tutti i per sempre portano il nostro nome
PARTE III
49 Quello che sono disposto a fare per te
50 Scelgo il profano e il blasfemo
51 Il sapore di una truce Apocalisse
52 Non abbastanza. Punto
53 Eppure Lea è viva
54 Effetto domino
55 Cinquanta sfumature di BlueDomino
56 Londra è la mia puttana
57 Questo non può essere peggio
58 Gli affetti veri muoiono, quelli falsi uccidono
59 Innalzare le mie depravate pulsioni
60 Non c'è differenza tra una danza e una guerra
61 Benvenuti a tutti quelli come noi
62 Dimmi cosa ti ha fatto
63 Fammi male
64 Io mi salvo da sola
65 Mister SeLaTocchiTiUccido
66 La differenza tra stimolare e godere
67 Il grillo che mette nel sacco il gorilla
68 Pietà e rispetto
70 Incassare, elaborare, espellere (parte 1)
71 Stavolta puoi urlare (parte 2)
72 Non lasciarmi solo
73 Ci sarò sempre
74 Stai attenta, bambina
75 Più incazzato che lucido
76 Scolpiranno il mio nome sulla tua carne
77 Domani è già arrivato
78 Sembra un addio, signor Baker
79 Esisti per me
80 A fanculo un'ultima volta
81 Non morire senza di me
82 Soffrire ancora un po'
83 Mentre fuori il mondo cade a pezzi
84 Quella vita non è mai la tua
85 Ma tu non ci sei (parte 1)
86 Scopami nel modo sbagliato
87 UNLOCKED
PARTE IV
88 Morirò da re
90 Uno stronzo senza cuore
91 Tre baci sulla punta del naso
92 Un sollievo breve e inaspettato
89 Sono il vostro dio
93 Ciò che mi è dovuto
94 Ci sarò io, con te
95 Roba così
96 Nessuno di noi avrà conti in sospeso
97 Da uno a dieci
98 Millequattrocentosessantuno giorni
EPILOGO

69 Non ti darei mai meno di tutto

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By JennaG2408

L'aeroporto era un posto in cui non mi sentivo a mio agio. Mi ero sentita sperduta a Malpensa, all'andata, ma per fortuna Denis mi aveva seguita fin quasi sull'aereo.

Se non scoppiavo a piangere nel bel mezzo dell'aeroporto di Heathrow era solo perché mi ero completamente abbandonata alla naturalezza con cui Trevor gestiva tutto: dai bagagli ai documenti. Si muoveva dentro quell'immenso casino di voci, persone e valigie come se ci abitasse da sempre. Aveva fatto il check in on line, naturalmente, sia per noi che per i bagagli, che vennero ritirati a domicilio.

«Dobbiamo comunque superare i controlli di sicurezza e quelli per i visti e i documenti. Ci penso io, ma devi essere con me perché vorranno verificare la foto sul passaporto.»

«Non serve alcun visto per tornare in Italia, mister ViaggioTalmenteTantoCheUsoIlVistoAnchePerAndareAlCesso.»

«Devi essere con me» tagliò corto, e siccome a me piaceva un sacco essere con lui, pensai che lo stesso valeva per Trevor e quindi lasciai perdere la questione.

Chiaramente mister Sterlina viaggiava in prima, e io con lui, quindi fece quella cosa sfacciata che a Malpensa mi aveva indignata quando a sfruttarla furono persone che non erano Trevor: usò il fast track e, di fatto, saltò la fila.

Capii che c'era qualcosa di strano nel momento in cui tirò fuori dalla tasca due passaporti e due visti. Uno suo e uno mio.

Io un visto non l'avevo.

Non so come, ma riusii a inghiottire lo sconcerto mentre l'addetto confrontava la mia foto con la mia faccia. Il personale si dichiarò soddisfatto sia della mia faccia che della mia foto che del mio passaporto che del mio visto che in realtà non era mio. Trattenni domande, dubbi, insinuazioni, accuse e crisi isteriche finchè ci fummo allontanati. Poi la diga iniziò a cedere.

«Trevor...»

«Stai buona bambina, devo controllare il gate dalla app. E siccome l' app non l'ho creata io, fa schifo.»

«Trevor... perché hai un visto per me?»

«Gate A, perfetto, è quello principale. Abbiamo tutto il tempo di rilassarci nella Galleries First Lounge...»

«...non serve un visto per tornare in Italia, giusto?»

«... non è granché come vip lounge, se paragonata a quelle degli emirati arabi, ma è meglio di quella di Malpensa. Al primo scalo ti mostro il vero lusso, mia queen...»

«Quale scalo? Il volo dura pochissimo...»

Finalmente alzò lo sguardo da quel dannato display, si infilò il cellulare in tasca, mi avvolse il viso con le mani e mi rifilò il bacio più arrogante di cui era capace. E i baci di Trevor erano tutti molto arroganti, quindi fate voi. Ovviamente misi da parte la sfilza di interrogativi che mi attanagliavano per godermi la sua lingua dentro la mia bocca. Non giudicatemi per questo. Oppure fatelo, amen.

Mi lasciò andare dopo parecchio tempo. Per fortuna la mia ossigenazione era tornata nella norma, o il dottor Morgan mi avrebbe ricoverata nella sua clinica per insufficienza respiratoria dopo quell'apnea.

Mi guardò e non capii se era più preoccupato o più su di giri.

«Buon compleanno, Lea.»

Non ci capivo più niente. «Abbiamo già festeggiato il mio compleanno, e mi hai fatto un regalo che vale come una promessa. "Siamo qui per essere serviti e non per servire, nella buona e nella cattiva sorte".»

Mi sorrise e in quel momento era più su di giri che preoccupato. «Ok, allora niente compleanno. Optiamo per... una luna di miele?»

Mi sentivo come dopo una sbronza colossale, ma senza mal di testa e senza urti di vomito: solo confusa e vagamente felice.

Gli presi la mano. «Ma io non ti ho procurato una promessa da infilare intorno al dito.» Mi sentii anche un po' in colpa, per aver lasciato a lui il compito di dare una forma all'irrevocabilità della nostra coppia.

Trevor voltò la mano tra le mie, mostrandomi il palmo e la cicatrice che gli aveva lasciato Viktor su entrambi i lati.

«Ho questa, che mi seguirà in eterno. Anche dopo che avrò spedito il suo creatore a bruciare all'inferno.»

Gli baciai la cicatrice e poi la bocca. «Certo che noi due cose normali mai, eh?»

Mi circondò i fianchi con un braccio, e le sue labbra mi regalarono un altro po' di affetto sulla tempia. Nessuno si era mai preoccupato di farmi sentire costantemente amata come stava facendo Trevor. Nessuno. Mai.

«Andiamo nella lounge, miss. Puoi bere un Martini per distendere i nervi prima del volo.»

«Me lo dici dove andiamo?»

«No.»

«Perché?»

«Beviti un Martini e falla finita.»

Seguii Trevor, che entrò nella lunge come ne fosse il padrone. Mi sorse il dubbio che lo fosse davvero. A volte avevo il dubbio che gli appartenesse tutto in una qualche misura.

Il Martini me lo portò lui, e lo fece con la stessa scaltrezza con cui un' infermiera ti infila una siringa nelle chiappe. Iniziai a capire cosa lo preoccupasse davvero e il motivo per cui mi incitava a buttare giù dell'alcol a stomaco quasi vuoto.

«È un viaggio lungo, vero?»

«Un po'.»

E Trevor Baker, che per abitudine sovrastimava tutto quello che lo riguardava, aveva la tendenza a fare l'esatto opposto con tutto ciò che non gli apparteneva. Seppi che il viaggio sarebbe stato molto lungo e, data la mia avversione per gli aerei che mi portavano in posti che nella migliore delle ipotesi non avrei visto mai più, chiesi di bere un secondo Martini.

Trevor non fece una piega e me lo procurò con un'efficienza disarmante.

***

«Una volta decollati è meglio se metti qualcosa nello stomaco per assorbire quei due Martini, sia chiaro.»

E in effetti era chiaro.

Naturalmente Trevor chiese e ottenne l'imbarco prioritario. Le hostess lo guardavano come fosse appena risorto, con sorrisi così grandi che parevano dovessero mangiarselo.

Lo salutavano con un "è sempre un piacere farla viaggiare con noi, signor Baker" senza nemmeno controllare il suo nome sui documenti e sui biglietti.

Con me erano meno calorose, ma comunque premurose.

L'aereo era quasi il doppio rispetto a quello in cui avevo viaggiato all'andata. La prima classe era spaziosa, le poltrone ben distanziate e meno numerose.

«Siediti dove vuoi» mi disse, vedendomi imbambolata in mezzo al corridoio in attesa di istruzioni.

«Non ci sono i posti assegnati in prima classe?»

«Sì, certo.»

«E allora...»

«A noi sono assegnati tutti.»

Cristo Santo.

«Hai prenotato tutta la prima classe? Sul serio sei così arrogante, presuntuoso, megalomane, borioso, altezzoso...»

«...ricco, elegante, raffinato, dotato...»

«...stronzo, perverso, manipolatore, bugiardo...»

«Ho un curriculum eccezionale, lo sappiamo. Adesso siediti dove vuoi e mettiti vicina a un finestrino: vedrai parecchi panorami.»

Mi accomodai in un posto a caso, accanto a un oblò. La poltrona mi parve troppo larga, come se dovesse inghiottirmi. Trevor si sedette e mi prese la mano. «Ti piacerà.»

«Lo so.»

«Non soffrirai.»

Di questo ero meno certa.

«Farò in modo che tu non soffra nel lasciarti dietro questo viaggio. Te lo prometto» ribadì.

A quella promessa mi affidai, cercando di espellere la tensione con un grosso sospiro.

«Guardiamo un film?» proposi, per distrarmi.

«Prima di decollare dobbiamo fare un'altra cosa. Tira fuori il cellulare. Non quello che ti ho dato io, quello che hai sempre usato.»

Trevor Baker, quel giorno, non smetteva di stupirmi. Gli allungai l'aggeggio, ma mi respinse la mano.

«Apri un account Instagram, usa la tua mail.»

Se mi avesse chiesto di ballare la lambada con il pilota mi sarei sconvolta di meno. «Un account Instagram. Con la mia mail. Mentre io mi scolavo i Martini tu ti drogavi con qualche sostanza?»

Fece il suo solito mezzo sorriso che funzionava meglio di un esorcismo. «Vuoi sopravvivere fino al viaggio di ritorno? Allora apri l'account.»

Scaricai l'applicazione, mentre mille domande si affollavano nel cervello.

«Devo mettere il mio nome?»

«No.»

«Il tuo?»

«Nemmeno.»

«Pensi di dirmi cos'hai in mente o devo continuare a proporre idee? Perché sto per chiederti se devo usare il nome di Tony Stark, e una volta finiti gli Avengers passo ai personaggi della Disney.»

«The Levor. Chiamalo così. Con l'articolo davanti. Se possibile, scrivi tutto in doppia lingua, italiano e inglese. Come foto profilo usa quella in cui ti bacio davanti al Baker Hill.»

I meccanismi dei miei neuroni, sapientemente lubrificati dai Martini, iniziarono a ingranare.

«I Volkov sapranno dove siamo.»

«Sì.»

«Ma lo saprà anche il resto del mondo.»

«Esatto.»

«Ci nascondiamo in bella vista. La popolarità sarà la nostra guardia del corpo.»

«Finché El Diablo tiene per le palle Aleksandr e Sebastian e il mio debito non è del tutto saldato, può funzionare, sì.»

Era un piano... divertente. Trevor aveva ragione. Potevo essere felice senza nascondermi, fotografare la mia felicità, filmarla, renderla eterna e immortale. Potevo sfoggiarla in pubblico come un Armani, sfilare sulla passerella del mondo indossandola e sorridendo. Potevo e dovevo. Era la cosa più figa che mi fosse mai capitata. E Trevor avrebbe fatto altrettanto. Sarebbe stato felice con me, e tutti lo avrebbero saputo. Anche suo padre. Anche sua madre.

La nostra luna di miele sarebbe stata servita sui social come un prelibato buffet, gratis.

«Sei un cazzo di genio, signor Baker.»

«Mi ami per questo, no?»

«Soprattutto per la tua umiltà, devo dire. Ma anche perché sei un genio.»

«Non dimentichiamo il mio fascino, mi raccomando.»

«Peccato per l'autostima, quella scarseggia.»

«Beh sai, non volevo strafare.»

Lo baciai sulla guancia, e mi lanciai a capofitto nella creazione dell'account. Mi divertii anche a scrivere la bio, usai un sacco di emoticon cretine.

Fu veloce. Peccato.

«Fatto.»

«Brava. Adesso dammi il cellulare. Bisogna iniziare a postare qualcosa.»

Glielo consegnai, con l'altra mano mi avvinghiò la testa e mi invase di nuovo con un bacio strafottente che mi fece sciogliere come una scolaretta. Scattò la foto mentre io ancora speravo mi togliesse i vestiti di dosso. Il nostro bacio, a onor di cronaca, sfumò molti e molti secondi dopo che ebbe scattato il selfie.

«Bene mia queen, ora condividi la foto. Sotto puoi scrivere qualcosa di sdolcinato e comunicare la nostra prima tappa.»

«Ma io non la so la nostra prima tappa.»

Mi guardò ed era la prima volta che mi sembrava di scorgere autentica soddisfazione nella sua espressione.

«Ti porto a vedere un paese unico al mondo, con il quale hai un sacco di cose in comune: è pieno di cose strane, evoluzioni inaspettate, privo di radici storiche affidabili, magnifico, selvaggio, pericoloso, velenoso e giovanissimo.»

Ci pensai un po' su. «Mi porti ad Asgard?»

«Meglio. Ti porto in Australia. A vedere i koala dal vivo. La prima tappa è Sidney.»

Ero stata felice poche volte nella vita. Quasi tutte in compagnia di Trevor. Aggiunsi un'altra fetta di felicità alla mia collezione.

***

Quel viaggio sarebbe stato un punto di rottura, perché scoprivo che potevo andare da un posto sconosciuto a un altro posto sconosciuto senza tornare a casa nel mezzo, evitando così almeno una piccola crepa nel cuore.

Il decollo non era un problema, così come non lo era l'atterraggio: io non avevo paura di volare, io avevo paura di tornare a casa.

Comunque non protestai quando Trevor mi strinse la mano per confortarmi.

Salutare Londra non mi fece soffrire, su questo Trevor aveva avuto ragione, ma sapevo che l'aveva avuta perché avevamo una nuova destinazione, una nuova andata, e non un immediato ritorno.

«Sei pensierosa.»

«Perché sto pensando.»

«A cosa?»

«Alle andate e ai ritorni, di come a cambiarci sia quello che succede nel mezzo, ma di come le conseguenze del cambiamento siano eclatanti solo dopo.»

«I cambiamenti spaventano, ma a volte fanno bene.»

Avrei voluto rispondere che certi cambiamenti possono uccidere, ma non avevo voglia di pensare a un finale tragico per noi due. E poi, tutto sommato, nessun finale poteva essere tragico, perché l'esserci trovati era già un happy ending. Io e Trevor avevamo già scardinato la regola delle probabilità: le possibilità che le nostre apocalissi si incontrassero anziché scontrarsi, non erano a favore prima che ci conoscessimo. Eppure in quel momento eravamo lì, mano nella mano, io con la sua promessa al dito, lui con la mia dichiarazione sul frigo, mentre volavamo verso un altro continente.

Magari ci saremmo riusciti ancora, avremmo ribaltato le probabilità, sopravvivendo insieme a due pilastri della criminalità. Due pilastri vecchi, quantomeno.

«Quanto dura il volo?»

«Più di 25 ore.»

Un intero giorno sospesi in aria, senza essere in nessun posto, né reale né virtuale.

«È tanto tempo...»

«Sì, ma facciamo uno scalo a Dubai.»

«Dove mi farai conoscere il vero lusso» dissi, ricordando le sue parole, che mi fecero sorridere.

«Sì, lì sanno essere davvero...»

«Pacchiani?»

Chissà perché Trevor Baker tratteneva sempre le risate, impedendo loro di uscire dalla sua bocca. Però sorrise un po', e mi bastò.

«Mi hai tolto lo Xanax dalla borsa, vero?» me n'ero accorta poco dopo il decollo, quando avevo verificato di aver messo il cellulare in modalità aereo. La scatola era sparita.

«Hai bevuto due Martini, e mi sembra stiano funzionando meglio dello Xanax. Il viaggio è lungo, e puoi stare certa, bambina, che non ti priverò di qualcosa di cui hai bisogno. Se serviranno, te le darò. Ma non adesso.»

«Non mi sarei impasticcata adesso. E non lo avrei fatto di nascosto.»

«Bene.»

Risposta lapidaria, come la sua espressione. Non ero propriamente incazzata, ma l'esercizio della sua autorità in certi ambiti non poteva non infastidirmi.

«Non mi serve un padre, e lo abbiamo già stabilito. Ma non mi serve neanche un medico che coordina le mie prescrizioni. Ah, indovina? Non mi serve neanche una guardia del corpo, un addestratore, un...»

«Ho capito.»

Non aggiunse altro, non cambiò espressione, non abbandonò la mia mano. Sospirai.

«Hai capito. E intendi fare qualcosa di diverso al riguardo?»

«Assolutamente no.»

«Sei un uomo impossibile, Trevor Baker. Ragionare con te è inutile.»

Poi, finalmente, la sua espressione mutò. Parve divertito. «Lo so. Abbiamo davvero tanto in comune, vero?»

***

Ebbi troppo tempo per pensare, durane il volo. Ero abituata a non farlo, a evitare i tempi morti, perché è nelle fessure più piccole che si insinuano i problemi peggiori.

In Trevor qualcosa era cambiato, in quei giorni. All'inizio avevo pensato fosse ancora ossessionato dal mio recupero fisico dalla bronchite, ma io mi ero ripresa e ancora sentivo qualche disturbo nelle sue frequenze. Era come un rumore di sottofondo, indistinto e ovattato, di quelli che un momento ti sembrano provenire da sotto il letto, il momento dopo dal cortile, finchè lo senti arrivare anche da posti che non esistono. Ma non riesci a convincerti che anche il rumore non esiste. II disturbo è reale, ti logora piano, ti chiedi se stai perdendo il senno, se il vero disturbo ce l'hai nella testa.

Non sapevo dare un nome, né una forma, al cambiamento che sentivo essersi posato sulla mia pelle e che impediva il contatto con la sua.

Non riuscivo a mettere a fuoco quello che percepivo solo in superficie, quindi cercai di concentrarmi su tutt'altro. Su qualcosa si tangibile, concreto.

«E quindi mi hai falsificato il visto turistico» saltai su, di punto in bianco, interrompendo la visione di un film incredibilmente noioso su un eroe figo ma non abbastanza.

«Sì, chiaro. Hai fame? Ti faccio portare qualcosa?»

«Ti sei fatto aiutare da qualcuno?»

Tacque un paio di secondi di troppo. La sua risposta arrivò quando era ormai inutile. «Sì. Dalla stessa persona che ti ha chiaramente procurato un passaporto altrettanto falso per venire a Londra. Pensavo di avere meno tempo, non avevo calcolato che ti saresti ammalata. Saperlo, mi avrebbe evitato una telefonata scomoda.»

Mi sfilai la scarpe, mi inginocchiai sul sedile girata verso di lui. «Hai scoperto chi è?»

«Non ancora. Vuoi dirmelo tu?»

«Ne so poco più di te.»

«Fa lo stesso, non me ne frega un cazzo di lui.»

«Tu sei ossessionato, da lui.»

Mi guardò come se lo avessi appena costretto a dire qualcosa di fastidioso. «Io sono ossessionato da lui che si infila dentro di te, nient'altro.»

E così, Trevor Baker, che si ostinava a vedere in me un qualcosa da tenere insieme a tutti i costi, senza voler accettare il fatto che non si può aggiustare ciò che è rotto, aveva la stessa caparbietà anche nel tenere insieme sé stesso. Ma io amavo i suoi pezzi molto più di quanto amavo la sua forma.

«È colpa mia. Ti avevo detto che il mio cuore era di un altro.»

«Ma io ti ho risposto che mi sarei accontentato di tutto quello che sta intorno al cuore.»

«Tu non hai bisogno di accontentarti, Trevor.»

«Mi hai detto che il tuo cuore è suo. E tu non sai mentire, bambina.»

Quella volta fui io a incorniciare il suo volto con le mani. Sapevo che i suoi occhi avevano visto scorrere molto sangue, e che in buona misura lui ne era stato la causa, eppure in quel suo sguardo sempre corrucciato vedevo un labirinto di occasioni mancate.

Trevor aveva una mente brillante, e sapeva riconoscere negli altri quello stesso potenziale. Che fosse cresciuto con un pezzo di merda come Sebastian Baker era davvero un grosso rimpianto per il mondo, ancor più che per Trevor stesso. In fondo, Trevor, il modo di accrescere il proprio talento lo aveva trovato comunque. Lo stesso non si poteva dire per il mondo, che si era limtato ad essere il palcoscenico della sua rivincita e delle sue vendette, anziché la sua migliore opera.

«Io non so mentire, ma Denis sì. Per quasi dieci anni ho amato una persona che non esisteva. E lo amo ancora, ma in un modo profondamente diverso. Il mio debito di gratitudine nei suoi confronti non avrà mai fine, questo deve essere chiaro a te quanto a me. Lui ha un ruolo che nessuno a parte me e lui può comprendere fino in fondo. Ma se prima lo trattavo da fratello amandolo come un partner, ora lo tratto da amico amandolo come un fratello.»

Sapete che forma ha il sollievo? Quella dell'espressione di Trevor non appena comprese la portata di quello che gli avevo detto. Perché il mio piccolo grande Baker era stato occupato, per tutto quel tempo, a guarire le mie ferite, a ricucire i miei strappi, a incollare i miei pezzi, a mostrarmi qualcosa che lui voleva a tutti i costi io vedessi guardandomi dentro e allo specchio. Ero stata al centro del suo mondo, mi aveva orbitato intorno incapace di allontanarsi più di tanto per paura mi smarrissi nel mio vuoto, mi aveva contenuta, messa al sicuro, aveva lavorato per me.

Esistevo io, esistevamo noi, ma non si era preso la briga di dare una possibilità a sé stesso, come se esistesse solo in funzione di me e di noi.

Ma Trevor Baker, signori e signore, non ha bisogno di orbitare intorno a nessuno, il suo magnetismo attraeva tutto ciò che si era perso, offrendo un nuovo centro intorno cui vorticare, dando un senso all'inutile spazio non occupato da lui.

Trevor non aveva bisogno di me e che mi avesse scelta lo stesso era lusinghiero per me, limitante per lui. Sebastian forse aveva disprezzato il bambino che aveva imbratatto il fasto del suo cognome con un dna bastardo, ma non era disprezzo quello che provava per l'uomo che poi era diventato suo figlio: era invidia. Trevor sapeva creare, inventare. Aveva idee sue, non sviluppava quelle altrui. Esattamente come mia madre.

Forse avrei dovuto dirglielo, avrei dovuto liberarlo dalle catene che si era legato da solo intorno al collo per non perdere me. Avrei dovuto dirgli che doveva lasciarmi andare, che le sue capacità, esattamente come quelle di mia madre, avevano il potere di cambiare il mondo, modificarne i lineamenti.

Ma Trevor non aveva debiti nei confronti del mondo. E se io avevo la capacità di renderlo felice allora fanculo il mondo e il suo bisogno di essere cambiato. Io mi sarei tenuta Trevor Baker e lui si sarebbe tenuto me e insieme non avremmo reso il mondo un posto migliore, ma saremmo stati felici da far schifo.

Su quel volto quasi sempre spigoloso, in cui comparivano piccole rughe solo quando sorrideva e quindi praticamente mai, il sollievo spanse un altro velo d'invidiabile fascino.

«Allora dimmi che il tuo cuore è mio, bambina.»

«Tu sei il mio cuore. E adesso hai un buon motivo per avere cura di te.»

Lo vidi chiudere gli occhi per depositare quel momento in qualche cassetto della memoria, appoggiò la fronte alla mia, come se all'improvviso l'avergli tolto un peso che non sapeva di trascinarsi dietro avesse modificato il suo baricentro.

«Ero così stanco prima di conoscerti, che non capivo più nemmeno il motivo per cui mi ostinavo a resistere.»

«E adesso?»

«Adesso resisto perché ho un motivo per ostinarmi a sentirmi stanco, in attesa del giorno in cui potrò essere felice con te senza dover usare quella felicità come scudo sui social contro pallottole vere.»

Mi piaceva un sacco depositare baci sugli angoli della bocca di Trevor, mi sembravano fatti apposta per conservare la tenerezza, che comunque mi restituiva sempre in misura esponenziale. Mi concentrai in quell'occasione per lasciargliene talmente tanti da affidargli una scorta che sarebbe stata esagerata anche se fossimo vissuti insieme cent'anni nutrendoci solo di baci. Se li prese tutti quanti, con la gratitudine esposta nella vetrina del suo sorriso che accoglieva le mie labbra.

«Basta che non ti stanchi anche di me, mister Nike.»

«Stancarmi di te? Sai che ogni volta che fai un capriccio non vedo l'ora di affrontarne un altro?»

Mi piaceva la forma che Trevor dava ai problemi. Aveva questa ferrea volontà di trasformare le mie fratture in nuove occasioni di riscatto. Vedeva sempre opportunità dove io avevo archiviato delle colpe.

«Perché prima di me avevi una vita molto noiosa e monotona, senza nemici da affrontare o apocalissi da pianificare. Giusto?»

«No. È che prima di te nessuno faceva capricci che valeva la pena castigare.»

«Non istigarmi, è un po' che non ricevo un castigo come si deve.»

Mi prese per i fianchi e mi piazzò a cavalcioni sulle sue gambe, come avessi la consistenza e il peso di una borsetta. Era una posizione scomoda, ma in quegli occhi scuri si accese una brama cui non avrei rinunciato nemmeno se l'aereo fosse stato in procinto di schiantarsi. Mi appoggiai proprio nelle vicinanze di una più che famigliare durezza che gli premeva sotto i pantaloni. «Se mi vuoi, signor Baker, dovresti chiedermi almeno per favore.»

«Io quello che voglio me lo prendo senza chiedere. Ma in questa posizione, miss, dovresti essere tu a prendere me. Ti autorizzo a farlo senza chiedere.»

Per un attimo, sentii nuovamente quella strana sensazione solleticarmi la pelle, quella percezione periferica impossibile da mettere a fuoco.

Ma era tutto così vago, mentre il corpo di Trevor era concreto, decisamente palpabile.

«Non vorrai spezzare i cuori delle hostess facendoti trovare in una situazione sconveniente, mister Sterlina...»

«Le hostess verranno di qua senza che io le chiami solo in caso di avaria, dirottamento, ordigno a bordo o avvistamento di piovre volanti.»

Le sue mani già incoraggiavano il mio corpo a eseguire languidi movimenti ondulatori, uno stimolo delizioso per le nostre intimità che potevano sentirsi senza davvero toccarsi.

Mi avvicinai con la bocca al suo orecchio. «Quindi non hai intenzione di ammettere che hai voglia di me, giusto?»

Trevor abbassò lo schienale di colpo, gli caddi praticamente addosso. La posizione divenne sostenibile, anche se ben lontana dall'essere confortevole. In quell'inclinazione, almeno, avevo un po' di spazio. Ma ero un'acrobata, avrei ottenuto il meglio da quello che avevo a disposizione.

«Non è voglia, la mia: a quella posso resistere. Il mio è un bisogno opprimente, una sete che mi tormenta. Soddisfa il mio bisogno, mia regina.»

Non ebbi bisogno di un per favore. Sfilarmi i leggins con eleganza non fu possibile, quindi lo feci senza alcuna grazia, frettolosamente. Trevor non mi aiutò, né con i miei vestiti, né con i suoi. Armeggiai con la sua cintura, aprii la zip, liberai la sua verga che si stagliò ritta e rigida come la torre Eiffel che svetta su Parigi.

«Non serve ammirarlo, bambolina.»

Ma un po' lo ammirai, dato che Trevor se l'era tenuto ben nascosto nei boxer da quando avevamo fatto quel tuffo nel ruscello del suo parco. Forse il mio re si fece qualche scrupolo strano nel vedermi temporeggiare, perché sentii la sua mano appoggiarsi sulla mia nuca, la dita infilarsi tra i capelli. Non sapevo s mi stava incoraggiando, implorando o rassicurando. Forse non lo sapeva nemmeno lui. «Quello che puoi, bambina, dammi quello che puoi...»

E io non gli avrei mai dato meno di tutto.

Mi aiutai con la mano, perché quelle dannate poltrone erano larghe ma non abbastanza, morbide da affondarci dentro, inadatte a compiere quel meraviglioso atto che finalmente mi veniva nuovamente concesso. Mi parve che anche il solo sfiorarsi tra le nostre carni generasse abbastanza energia da restituire luce a una stella morente, il brivido che nacque dal nostro ritrovarci spinse le lacrime fin quasi agli angoli degli occhi. Lo accolsi dentro piano, pianissimo, perché allargarmi intorno a lui mi faceva sentire non soltanto piena, ma completa. Era un piacere viscerale che volevo custodire morbosamente il più a lungo possibile, mentre lo sentivo vibrarmi dentro, incattivito dalla sua sete selvaggia schiava della mia volontà. Trevor mi guardava come se avesse voluto spogliarmi anche della mia stessa pelle, togliermi tutto per servirsi meglio di quello che avevo dentro, affondare le mani e i denti in quel pozzo scuro che era la mia piccola anima inservibile. Aveva negli occhi il vigore del piromane che che lancia un fiammifero acceso tra rovi secchi e ingialliti: se avesse lasciato che il suo impeto prendesse il controllo delle sue mani forse avrei sentito di nuovo le sue dita affondare nelle mie natiche in una stretta che era una sentenza di esproprio, la notifica sublime e rabbiosa del suo privilegio sul mio corpo. Ma tutti quei se e quei forse rimasero tali: la presa di Trevor sui miei fianchi si mantenne tanto forte quanto precisa nel limitarsi e nel non infierire, ed esercitò un controllo incorruttibile sul proprio istinto. Era come guardare negli occhi una belva chiusa in gabbia.

Danzai intorno al suo membro con tutto lo slancio che la posizione mi consentiva, cercando di liberare quello che lui si ostinava a tenere a catena. Ma erano tanti, troppi giorni che non assaggiavo un po' di piacere, che non affondavo le dita nel barattolo di marmellata, e cedetti al bisogno di sentire di nuovo sulla lingua il sapore dell'orgasmo. Rinunciai al peccato, afferrai il godimento, e nel lasciarmi dietro le spalle la rude spietatezza che Trevor aveva rifiutato di concedermi, il mio bacino si arrese a un ritmo inesorabile che ci trascinò entrambi verso un epilogo scontato e veloce, a un amplesso degno di due liceali che scopano di nascosto nel letto dei genitori.

Venni così precipitosamente che Trevor soffocò il mio grido di stupito piacere infilandomi due dita tra le labbra, evitando così di far accorrere qualche hostess curiosa o contrariata.

Mi piacque avere di nuovo la bocca occupata da una parte insolita di lui, mentre mi scaricava dentro anche la sua tiepida urgenza di godere dentro di me.

Ma nel suo sguardo, io vidi un bisogno bruciare fino a incenerirsi, una foga sfregare ai bordi della sua prigione fino a consumarsi. Io vidi nel suo sguardo quello che forse lui vide dentro il mio: una soddisfazione incompleta e una scintilla di rabbia alimentata dalla frustrazione.

Lo spandersi dei nostri orgasmi nell'unione dei corpi diluì tutta la consapevolezza di quel qualcosa che era mancato, lasciai fluire quella sensazione fino a considerarla un semplice dubbio.

Quando non lo sentii più pulsarmi dentro, mi lasciai avvolgere dal tiepido languore che anche il più veloce degli orgasmi sapeva regalarmi. Mi chinai sul petto di Trevor, che mi circondò prontamente con la sue braccia premurose.

Lasciai che le sue carezze si portassero via anche i dubbi, che i suoi baci soffiassero via i sospetti, che il suo respiro sulla mia pelle annebbiasse la percezione.

Per lunghi minuti mi godetti la mia dose di generosa tenerezza.

Fu solo dopo che mi sfilai da lui, che strinsi i muscoli per non imbrattare la poltrona, che mi fui rivestita, che mi fui sistemata in bagno e che fui tornata a sedermi accanto a Trevor che ritrovai la lucida consapevolezza di quello che era successo.

Trevor Baker mi aveva scopata con una dose di trasporto che per una come me era ben lontana dall'essere sufficiente. Qualcosa era cambiato, e io non sapevo né cosa, né perché.

Ma sapevo che gli avrei tirato fuori la verità con un carico di capricci che lo avrebbe seppellito, s e non si fosse sbrigato a sputare il rospo.

Chiaramente, lo avrei fatto nei modi e nei tempi che più si addicevano a una fenomenale luna di miele.

Anche quello, in un certo senso, sarebbe stato divertente

SPAZIO AUTRICE

Ho tagliato e ritagliato, rivisto, riscritto, dubitato. 

Dubito ancora, naturalmente. Vediamo se questi due, relativamente lontani dai Volkov, riescono ad ammazzarsi a vicenda a suon di dispetti. In Australia non ci restiamo molto eh, giusto il tempo di litigare, scopare, stabilire quanto ci amiamo e poi tornare in Italia a stabilire cosa fare con Denis. Poi ci sono i cattivi (e questa è una parte lunga). E poi è finito ahahahaha!

Love... (è mezzanotte e un minuto...programmo la pubblicazione tra 17 ore e mezza).

Vi ricordo che mi trovate su Instagram (avevo anche tik tok ma mi sono scocciata per ora).

Notte (anche se esce di pomeriggio)!


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