𝘴𝘦𝘳𝘦𝘯𝘥𝘪𝘱𝘪𝘵𝘺 ⦂ 𝘺𝘰...

By luh0pe

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⎯⎯⎯ ֎⎯⎯⎯   ─𝙮𝙤𝙤𝙣𝙢𝙞𝙣    ⭗ angst; ┇Min Yoongi non capì di essere eterosessuale o omosessuale innamorand... More

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𝒊 𝒏 𝒕 𝒓 𝒐 𝒅 𝒖 𝒄 𝒕 𝒊 𝒐 𝒏
𝟐.  𝒔 𝒐 𝒍 𝒊 𝒑 𝒔 𝒊 𝒔 𝒕 𝒂
𝟑.  𝒔 𝒑 𝒓 𝒐 𝒍 𝒐 𝒒 𝒖 𝒊 𝒐
𝟒.  𝒗 𝒂 𝒕 𝒕 𝒆 𝒍 𝒂 𝒑 𝒆 𝒔 𝒄 𝒂
𝟓.  𝒐 𝒃 𝒏 𝒖 𝒃 𝒊 𝒍 𝒂 𝒕 𝒐
𝟔.   𝒓 𝒆 𝒃 𝒐 𝒂 𝒏 𝒕 𝒆
𝟕.   𝒊 𝒍 𝒍 𝒂 𝒏 𝒈 𝒖 𝒊 𝒅 𝒊 𝒓 𝒆
𝟖.   𝒓 𝒆 𝒎 𝒊 𝒏 𝒊 𝒔 𝒄 𝒆 𝒏 𝒛 𝒂
𝟗.  𝒑 𝒊 𝒂 𝒈 𝒏 𝒊 𝒔 𝒕 𝒆 𝒊
𝟏𝟎.  𝒕 𝒓 𝒂 𝒔 𝒆 𝒄 𝒐 𝒍 𝒂 𝒕 𝒐
𝟏𝟏.  𝒑 𝒓 𝒐 𝒅 𝒓 𝒐 𝒎 𝒐
𝟏𝟐.  𝒇 𝒂 𝒄 𝒐 𝒏 𝒅 𝒊 𝒂
𝟏𝟑.  𝒂 𝒍 𝒕 𝒆 𝒓 𝒄 𝒐
𝟏𝟒.ㅤㅤㅤ𝒎 𝒆 𝒍 𝒍 𝒊 𝒇 𝒍 𝒖 𝒐

𝟏.   𝒂 𝒔 𝒕 𝒓 𝒖 𝒔 𝒐

74 13 14
By luh0pe

𓆨

Quando Park Jimin e Min Yoongi si conobbero era inverno. Il tempo era passato loro addosso senza alcun riguardo, come un'inarrestabile treno merci, e quel lontano inverno non era ormai altro che un ricordo offuscato. Gli anni erano scivolati di mano e di loro, di quei tempi, non era rimasto quasi niente.

Era entrato l'autunno da un po' e nel prossimo inverno ci sarebbe stato il sesto anniversario di loro due, questo se Jimin non avesse deciso che non c'era più niente da festeggiare, perché un capitolo chiuso racchiudeva solo un pezzo di storia che non sarebbe ritornata nel libro.

L'unica cosa che gli impediva di chiudere definitamente i ponti con Yoongi era il frutto del loro amore passato, qualcosa di cui Jimin un tempo avrebbe voluto volentieri sbarazzarsi, stroncare quel bocciolo sul nascere.

Non ce l'aveva fatta ed ora quello che aveva avuto con Yoongi era tutto ciò che gli rimaneva, tutto quello che poteva dire di avere, tutto l'amore che non meritava.

Il suo nome era Jiyoon, e Jimin pensava a lei come un caso di serendipità, quando per cercare di sbarazzarsi del suo corpo femminile era comparso un feto. Un destino a cui non era pronto, un destino che lo terrorizzava, un destino che non gli apparteneva come il corpo in cui era disgraziatamente nato. Ciò nonostante, il fato si era rivelato uno splendido dono; il piacere di amare senza terrore nel farlo e di essere amato, pur cosciente di non meritarlo.

Quindi, in inverno, non si festeggiava più la nascita di un amore esaurito, a detta di Jimin, bensì la nascita della figlia di quell'amore, la nascita di Jiyoon, e caso aveva voluto che nascesse nel mese di Dicembre, lo stesso mese di Jimin e Yoongi.

Fortunatamente mancavano ancora svariati giorni affinché entrasse l'inverno, e Jimin aveva bisogno di quei giorni per regalare a sua figlia un bellissimo terzo compleanno, cosa che nel suo attuale stato non poteva proprio permettersi; le sue condizioni economiche facevano pena.

Jimin aveva così pochi soldi in tasca da non potersi permettere non solo un taxi in un giorno di pioggia ma neppure l'ombrello. Provava invidia nei confronti di chi invece lo lasciava a casa perché conservatore di uno spirito positivo persino d'innanzi alla vista di un cielo nuvoloso, impaziente di sfogare il suo peggio. E come loro optavano per i taxi, Jimin optava per i vecchi, squallidi vicoli, coperti da portici dentro cui l'acqua si insinuava tra le rocce in minima quantità. Quei vicoli erano l'unico modo per scampare ad una doccia fredda in pieno autunno. C'era chi preferiva prendere un malanno anziché affrontare quel lerciume di strada, e chi invece non temeva quei luoghi perché di casa. Quest'ultimo era proprio Jimin. La strada, quella strada, era stata la sua preziosa villa un tempo. Proprio in luoghi simili egli aveva trascorso la sua adolescenza, quando era stato rinnegato dai suoi genitori e si era ritrovato solo e triste tra le strade di una città che sembrava rifiutarlo allo stesso modo. Ora, invece, percorreva in quegli spazi evitando i suoi abitanti impegnati a trarre calore da grossi bidoni dentro cui divampa il prezioso fuoco.

Quante volte aveva abbracciato anche lui quei bidoni, tremando a causa di un freddo che non era sicuro di conoscere. Quante lacrime aveva buttato dentro quelle fiamme. Ormai raggirava quei frammenti di ricordi che sembravano incisi nella sua mente come il muschio su quelle stesse mura, mentre le sue braccia stringevano la sua bambina per coprirla quanto possibile dall'aria pesante che abitava quei posti lugubri. Tra le dita, la seta del caschetto che ornava il piccolo viso di Jiyoon, mentre lui insisteva per coprirle la visibilità, trattenendole il viso contro la sua esile spalla, per non farle incontrare nulla di quei luoghi: né l'oscurità; né il cattivo odore; né i senzatetto sconsolati che facevano di quei posti la loro casa.

Purtroppo Jimin si era visto costretto ad imbattersi in quella strada, perché il tempo stringeva e di fare tutto il giro, a piedi, senza ombrello, con sua figlia in braccio, non poteva permetterselo.

Una volta fuori da quel piccolo quartiere malfamato, Jimin cercò dove potersi riparare nel mentre che avrebbe atteso l'arrivo di Yoongi. Trovò con grande sorpresa una piccola tettoia affacciarsi da un edificio e, una volta lì sotto, smontò l'abbraccio con sua figlia allo scopo non solo di riposare le braccia, ma anche di risistemarle il disordine che le aveva impresso nella stretta. Cercò i suoi grandi occhi e sorrise di cuore quando li trovò, sistemandole i capelli e l'impermeabile che cingeva per intero il suo corpicino. Pettinava i suoi capelli corvino -tutti del padre- con le sue dita quando sotto il cappuccio del suo impermeabile si erano tutti arruffati.

"Questa caz- cattiva pioggia!"

"Cattiva!"

Imitò le sue parole, la sua bambina, mostrando un sorriso interamente gengivale -tutto del padre- e gonfiando le sue guance paffute. Almeno quelle erano uguali a quelle di Jimin, qualcuno glie l'aveva detto una volta. Ah, sì, proprio Yoongi, il padre.

"Allora mattacchiona, sta venendo quel puzzone di daddy che ti porterà via. Farai tante belle cose con lui, oggi. Giocherete tanto tanto tanto. Papino se ne va ma ci rivediamo domani, okay? È tanto tempo così."

Jimin aprì entrambi i palmi tra lo spazio che separava lui e sua piccola Jiyoon, ipotizzando le ore che sarebbero dovute trascorrere nella loro breve separazione. Non ne erano davvero dieci, logicamente, ma gli bastava che la bambina sapesse che si sarebbero rivisti una volta trascorso un ipotetico tempo stabilito. Andava avanti così già da un po', in verità: lui e Yoongi passavano il tempo con la loro bambina in fase alternata, e per Jiyoon era sempre difficile separarsi da uno per andare dall'altro. Jimin sapeva quanto li volesse entrambi, nello stesso posto, negli stessi giorni, e lui ci aveva anche provato, uscendone sempre estenuato a causa della sua relazione con Yoongi.

Jiyoon allungò il suo minuto braccio verso la mano di Jimin e, con un piccolo broncio sulle labbra, agguantò due dita con la sua intera manina, chiudendole. Jimin seguì il gesto con attenzione, sorridendo poi tristemente.

"Amore... sono un po' di più."

Insistette, riaprendo le sue dita, ma Jiyoon parve contrariata, il suo broncio lo mostrava chiaramente. Jimin sospirò, annuendo poi con il capo che iniziava a pesare, un fastidio che evitò in quel momento perché sua figlia era più importante. Tese nuovamente un solo dito, questa volta, come per dare la vittoria ad entrambi, quindi rimanendo con il numero nove.

"Va bene?"

Il broncio sulle labbra di Jiyoon persisteva, ma scosse ugualmente il capo in assenso, convinta.

"Papino ce la metterà tutta, promesso."

Concluse risollevando la sua piccola tra le braccia per iniziare a lasciarle baci su tutto il viso.

Solo poco dopo, un auto si fermò proprio sulla strada accanto al marciapiede dove erano i due. Jimin la intravide con la coda dell'occhio, ma non si allontanò ancora dalla sua bambina, faticava anche lui a farlo, sempre. Le continuava a stampare le labbra sulla fronte e poi su tutto il viso, mentre un uomo scendeva da quel veicolo e gli girava attorno per raggiungere Jimin e Jiyoon.

"Saluta daddy, amore."

Le sussurrò buttando gli occhi in direzione di Yoongi, incrociando lo sguardo con il suo. Una seconda fitta, più matura, gli strinse il cranio quando i suoi occhi scivolarono su quelli neri del maggiore, ma evitò anche quel fastidio in quanto lo associò alla presenza del nuovo arrivato; in più, voleva prestare attenzione al largo sorriso che illuminò il viso di sua figlia alla vista di Yoongi. Lei allungò le sue braccia nella direzione del suo secondo papà, chiedendo di essere presa, salutata e cullata da lui come loro solito. Jimin era geloso, ogni tanto, nel vederla così felice quando Yoongi sbucava dal nulla. Era geloso anche di come quest'ultimo sembrava cambiare colore del viso quando il sorriso di Jiyoon lo richiamava a sé.

"Dad."

Chiamò lei con un filo di voce, lasciandosi tirare via dalle braccia di Jimin per essere afferrata da quelle di Yoongi e stretta da una diversa forma di calore. Jimin percepì chiaramente il suo misero peso lasciare le sue braccia, riconoscendo anche il senso di vuoto inghiottire parte della sua gioia, quella che viveva solo accanto a sua figlia. Il sorriso che fino a poco prima dedicava alla sua bambina si affievolì quando incontrò nuovamente gli occhi di Yoongi, provocandogli la stessa identica fitta alla testa, questa volta così forte da fargli strabuzzare un momento gli occhi e quindi appuntarsi di ritornarci sopra in seguito, per evidenziare le possibili cause.

"Ho provato a venirvi incontro con la macchina, ma non vi ho trovati lungo la strada verso casa tua. Da dove venite?"

Jimin avrebbe tanto voluto dirgli di farsi gli affari suoi. Il dolore alla testa gli supplicava di congedarsi immediatamente, perché la sua forza fisica e mentale, quel giorno, sembrava sfiorare il suolo e Yoongi non era certamente d'aiuto. Tuttavia sarebbe stato immaturo comportarsi come alle volte desiderava, dunque si contenne, soprattutto perché non farlo avrebbe provocato l'effetto contrario da quello desiderato, senza dubbio.

"Eravamo in ritardo, abbiamo dovuto tagliare per i vicoletti."

Yoongi gli diede un colpo sulla punta del naso con l'indice e tirato con il pollice, come uno sbuffo che lasciò Jimin sbigottito.

"Tu eri in ritardo, Jimin. Se continui a dormire le cose non cambieranno mai."

Sembrava un rimprovero, Jimin lo riconobbe con facilità come tale con tutto il colpetto sul naso, un gesto che lo provocò non poco. Desiderava rispondere con uno schiaffo giusto per poter essere fedele al proverbio occhio per occhio, dente per dente, ma si contenne ancora una volta, perché non era una persona immatura. Certo, gli sarebbe piaciuto lo stampo rossastro della sua mano sulla guancia dell'altro, giusto per colorare un po' la sua pelle e magari anche scheggiare quel dannato iceberg che si mostrava attraverso i suoi occhi.

"Ahm... okay Yoongi, grazie? Senti, lei ha già fatto colazione, ricordati però di darle lo spuntino mattutino tra un oretta e mezza, ma niente schifezze. Io me ne vado."

"Finalmente soli, eh piccola?"

Jimin si avvicinò per salutare la piccola con la sua dose di baci obbligatoria, cercando di evitare nel contempo l'effetto che la vicinanza del maggiore gli provocava.

Yoongi tenne gli occhi su Jimin per tutto il tempo, lo fece liberamente anche quando questi gli era ad un palmo dal viso, sebbene all'inizio fosse stato più forte di lui quello di avere un piccolo scatto all'indietro, come se il suo fosse stato un riflesso azionato dal suo meccanismo di difesa, il che aveva senso. Persino il suo sistema nervoso riconosceva Jimin come una potenziale minaccia per Yoongi. Buffo.

"Hai finito?"

Non riuscì a farne a meno, Yoongi, di fare lo stronzo. Jimin lo guardò in cagnesco ma solo per un momento, allontanandosi solo dopo l'ultimo bacio dato a sua figlia. Evitò quell'atteggiamento strafottente di Yoongi, cosciente che si mostrasse solo per i risentimenti che aveva nei suoi confronti, rispondendo con la stessa moneta che i due si divertivano a lanciarsi a vicenda: il distacco.

"Ciao amore."

Jiyoon scuoteva la mano dietro la schiena di Yoongi, che già era di spalle e pronto ad avviarsi verso la sua macchina. Jimin lo seguì sistemare Jiyoon sui sedili posteriori e chiudere poi dolcemente la portiera, a quel punto gli occhi di Yoongi gli ritornarono addosso senza più alcun filtro.

"Sei un po' pallido, Jimin."

Jimin neppure lo guardò, rimase ad osservare il suo riflesso sul vetro oscurato dietro il quale, sapeva, sua figlia lo stava guardando, magari anche sorridendo.

"E da quando ti interessa?"

"Era solo per fartelo notare."

Aveva promesso di mantenere Yoongi distante dalla sua vita, quindi anche dalla sua salute fisica e mentale. Adesso che Jiyoon era scomparsa dalla sua vista sentiva tutto il mal di testa anomalo e il senso di debolezza risalire dalle sue gambe tremolanti lungo tutto il busto, bloccato principalmente sullo stomaco che sembrava contorto fino alla nausea.

"Ah, beh... grazie del complimento. Ne terrò conto quando deciderò di fregarmene di quello che dici."

Era pallido, quindi? Doveva forse scusarsi di esserlo? Poteva forse dirgli che sarebbe andato a casa a mettersi sotto le coperte per evitare di cadere a terra come un sacco di patate senza gambe? Non poteva farci niente, neppure se lo avesse saputo, quindi Yoongi e la sua dannata osservazione se ne potevano andare da dove erano venuti.

Si decise a incontrare il suo sguardo solo per chiedergli, attraverso un'occhiataccia fulminante, di smetterla di guardarlo senza dire nulla. Yoongi stava ancora cercando le parole per rispondergli, ma forse non esisteva niente capace di reggere il confronto del suo sguardo glaciale, contro il quale perse, inevitabilmente.

Alla fine gli diede direttamente le spalle per raggiungere il lato guidatore e nel farlo bisbigliò qualcosa, forse un vaffanculo, forse solo uno sbuffo, forse proprio niente, perché Jimin non sentiva che la pioggia battere sulla superficie del mondo, un continuo stridulo lamento, utile solo a coprire ciò che non aveva voglia di affrontare.

Subito dopo l'auto sfrecciò via sotto i suoi occhi e Jimin rimase a guardarle il portabagagli finché non scomparì inghiottito dal traffico, poi, finalmente, sospirò. Era ora di andare a lavoro e gli toccava farlo a piedi, sotto quella pioggia che si riversava con furia dal cielo.

Jimin si domandò per quale ragione il suo corpo avesse scelto un giorno lavorativo per rispondere pigramente ai suoi comandi.

Avrebbe forse dovuto chiedere un passaggio a Yoongi, per evitare di peggiore il suo stato impietosito con un bagno di pioggia.

Ma piuttosto avrebbe alzato il pollice in strada pur rischiando di passare per uno spacciatore di mercanzia sgradevole a causa dello stato malandato con cui quella mattina si era alzato dal letto. Peccato che Jimin aveva ancora un po' di dignità da preservare che gli impediva scorciatoie e lo metteva in difficoltà, e per lui non c'era che una lunga camminata sotto la pioggia.

Iniziò dunque a camminare, in quanto prima avrebbe cominciato e prima sarebbe arrivato.

Si tuffò in strada senza pensarci troppo e nel tragitto si lasciò imperlare il volto da quella fredda precipitazione che, dopo i primi pizzichi, sembrava accarezzargli i zigomi, le palpebre socchiuse, le labbra serrate, la pelle lattea. L'impermeabile era propriamente inutile, le scarpe erano schifosamente basse e perfette per lasciare entrare l'acqua persino al loro interno, le mani bagnate dentro le tasche si illudevano di scampare al freddo, inutilmente.

Di schivare l'acqua prendendosi la copertura degli ombrelli altrui non ne aveva voglia, di passare da sotto un balcone all'altro di corsa non ne aveva voglia, quindi non aveva che il suo passo e la pioggia ad inorridirgli i timpani particolarmente suscettibili a qualsiasi rumore, che sembravano trasmetterlo al suo cervello in maniera amplificata, alterando il suo mal di testa.

Quando giunse finalmente nel luogo di lavoro, Jimin raggiunse per prima cosa il bagno, quasi di corsa, rigurgitando acido che poteva sperare essere parte del suo malessere fisico, in quel momento, ma poco gli cambiò quando invece riuscì a risollevarsi, a raddrizzare la schiena facendo leva con i palmi sulle piastrelle fredde del bagno, gelide quasi quanto le sue dita violacee. Il suo riflesso allo specchio, quando sollevò il viso, quasi lo spaventò.

Yoongi gli aveva detto che era pallido, non gli aveva detto che sembrava morto. Sorrise amaramente tra sé e sé a quell'espressione, pensando a quanto fosse ingiusta la vita certe volte. Si passò il dorso della felpa sul mento per ripulire residui di quel reflusso sfuggitogli dal corpo. Nel frattempo rifletteva su quanto gli sarebbe piaciuto scappare dalla finestra e spacciarsi morto per un giorno, solo per tornare a casa e passarlo a letto. La verità era che ci avrebbe rimesso il lavoro e non poteva permetterselo, quindi oltre che ripetersi mentalmente che era pronto per lavorare, non sapeva in quale altro modo prendere in mano il suo stato. Si consolò dicendosi che quelle ore di lavoro sarebbero passate presto, che poteva resistere, che qualche decimo di febbre non l'avrebbe ucciso, e con questi pensieri recuperò il suo grembiule, che legò attorno alla vita, raggiungendo pigramente il lavaggio del diner in cui lavorava a nero, senza salutare nessuno, mettendosi subito a lavoro.

Prima avrebbe cominciato e prima avrebbe finito, e ancor prima sarebbe tornato a casa. Peccato che mai niente è destinato ad andare come solito stabilire al meglio.

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