CRUEL

By sanguinofavole

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Una famiglia composta da quattro fratelli maschi in uno dei quartieri più malavitosi di New York In ordine: ... More

info (+ Cast AI)
𝐂𝐚𝐬𝐭
26-Fire on Fire
27- running from the daylight
28-But now the day bleeds into nighfalls
29-Dear Lord
30-When I get to Heaven
31-Please, let me bring my man
32-Burn for you
34. I'm about to take you back to church
35. I said I didn't feel nothing
36. There's another side that you don't know
37. I can hear the sound of breaking down...
38. You found me, lost and insecure
39.✨A Christmas Trouble✨
40. I'm never gonna dance again, the way I danced with you
41.1 Bucky Barnes
41.2 End of Beginning
42. Too sweet for me.
43. The way I love(d) you
𝓒𝓪𝓻𝓽𝓪𝓬𝓮𝓸❤️
RIMOZIONE CAPITOLI

33- I choose you, to fill the void.

31.1K 822 5K
By sanguinofavole



Ciao
Mi siete mancate 🤍

✅Vi consiglio di rileggere il capitolo 25,
se non vi ricordate qualcosa

💅🏻Non metto i bollini per non fare spoiler sul 🥪

TW
Ci sarà un po' di 🌶️ ma nulla di esagerato (2/5)
🧚‍♀️
Capitolo Trentatré

Ryan

Sono appena uscito dal buco lurido che è la residenza di Tony Lombardo.

Mi sto dirigendo verso il furgone nero parcheggiato qui di fronte, e avvolto nella foschia, che mi serve per fare il lavoro che Tony mi ha assegnato.

Rabbrividisco a causa della temperatura notturna che mi circonda. 

Niente ti può togliere l'umidità dalle ossa in questo quartiere dimenticato da dio.

E non c'è modo di sfuggire all'odore, alla miscela soffocante di acqua di sentina, fogna e pietra bagnata...

Che sembra essermi penetrata nei pori come se fossi rimasto in infusione tutta la notte nel cuore di MidTown, la più grande e putrida tazza di tè di tutto il mondo.

Sempre meglio stare qui fuori, piuttosto che dentro l'appartamento dell'uomo che, più di ogni cosa al mondo, vorrebbe uccidermi.

Anche se ancora non lo sa. 

*Inizio Flashback*
(Qualche minuto prima.)

L'accecante blu degli occhi di Tony mi fissava, mentre era seduto sulla sua scrivania, e si appoggiava alla sua ascia che faceva dondolare sul pavimento.

«Fammi capire bene...», ha detto Tony Lombardo, con quella sua voce rauca e sfibrata, con quella pelle pallida appesa agli zigomi appuntiti.

«Sei venuto qui, da me, per farti prestare dei soldi?»

«È così.», ho detto, mentre Nick, suo fratello, sghignazzava seduto sull'altra scrivania.

«E cosa ti fa pensare, Ryan, che io sia disposto a prestarteli?», mi ha chiesto Tony con una punta di durezza e sarcasmo nella voce.

«Ti ripagherò, fino all'ultimo centesimo, con gli interessi.», ho promesso

Cercando di resistere a quell'umiliazione, sebbene anche solo stare là dentro mi facesse venire l'orticaria.

«Quanto ti serve?», ha chiesto Tony.

«30 mila dollari.», ho detto.

«Tu e i tuoi fratelli.», ha sospirato Tony studiando il movimento lento della sua ascia. «Non siete affidabili. Siete come un penny. Avete due facce. E non valete un granché.»

Nick ha sghignazzato ancora più forte e io ho esitato, valutando le possibilità di persuasione che mi rimanevano, oltre le suppliche e l'elemosina.

«Tuo padre, Tony, me li avrebbe prestati quei soldi.», ho infierito. «Credevo che anche tu fossi...»

«Ascoltami Ryan.», ha detto, risentito per via del fatto che avevo menzionato suo padre, Alfred Lombardo.

«Mio padre era un uomo perbene e io non sono un uomo perbene.», ha ridacchiato sommessamente.

«Se vuoi qualcosa da me, devi fare qualcosa per me. Io non faccio prestiti, io pago solo per ricevere qualcosa in cambio.»

«Vuoi che faccia...Tipo un lavoro?», ho avanzato l'ipotesi, aggrottando la fronte.

Ha sorriso.

«Allora lo vedi Ryan, che io e te cominciamo a capirci?»

«Vuoi che faccio un lavoro per te.», ho ricapitolato. «Ma hai anche detto che non sei un uomo perbene. Allora perché dovrei fidarmi di te?»

«Perché sono un uomo di parola!», ha urlato Tony, alzandosi in piedi. «Oppure, tu forse dubiti della mia parola?»

La sua ascia strideva forte dietro di lui, come una marchiata scia.

«Nulla di personale. Dubito della parola di chiunque.», ho ribattuto.

«Un patto per me è un patto.». ha detto Tony. «Ed è evidente che tu sia alla disperata ricerca di quella grana. Quindi levati quella smorfia di ribrezzo da sotto il naso ragazzino e trattami con qualcosa di simile al rispetto.»

Ho provato una fitta di rabbia, che però ho scacciato via presto.

Tony aveva ragione: quei soldi mi servivano.

«Di che lavoro si tratta?»

La sua lingua gli ha bagnato le labbra, e poi ha mostrato i denti, giallognoli e scheggiati.

«Dovrai portare il furgone parcheggiato qua sotto a quest'indirizzo.», mi ha passato un fogliettino. «Lì ci saranno i miei uomini ad aspettarti e poi potrai andartene. Solo questo.»

"Solo questo."

Con un gangster come Tony Lombardo non è mai "solo questo."

«Io non sono un fattorino, Tony.»

«E io non lavoro in un cazzo di circo.», ha detto Tony. «Vogliamo stare qui a parlare di altre ovvietà?!»

«Cosa c'è dentro al furgone?», ho chiesto.

«Ci sono delle armi che devo consegnare a dei compratori. È un problema?»

«No.»

«Come ti dicevo, Ryan, tu dovrai solo guidare il furgone fino alla sua destinazione, dopodiché il tuo lavoro sarà finito. Pensi di poterlo fare? Come vedi... È facile...»

«Se è così facile perché non lo fai tu?»

«Non posso guidare Ryan.», ha detto indicando la sua gamba zoppa, e ho voltato la testa verso suo fratello Nick.

«E perché non lasci che se ne occupa Nick?»

Le pupille di Tony si sono dilatate per la furia, e l'intolleranza.

«Vuoi fare questa cosa per me, Ryan, oppure no? Non farmi pentire di essere stato gentile con te.»

Mentre mi arrovellavo per cercare di capire dove si celava la fregatura, c'era un'altra immagine che mi assillava la testa:

Il corpo di Alfred che cascava, pesante e senza vita, nella sala da biliardo del suo hotel.

Alfred.
Il padre di Tony e Nick Lombardo.

Sono contento di ricordarmi di tutto quel supplizio che ha seguito la morte di Alfred e Victor.

Ogni minuto passato a tremare, a provare dolore, a vomitare, a chiedermi se potessi convivere con l'omicidio che avevo commesso, con le bugie che ho raccontato, e con le bugie che stavo raccontando per coprire tutte le precedenti.

Avrei dovuto tenermi lontano da questa canaglia, ma avevo fatto ad Arya una promessa e avevo tutta l'intenzione di mantenerla.

«D'accordo. Lo farò.», ho concluso.

Non ho mai avuto molta scelta, comunque.

Se non trovavo un modo per ottenere quei soldi, allora Arya e suo padre avrebbero perso il bar, avrebbero perso tutto ciò che avevano, e io non avrei mai potuto permetterlo.

Mi sarei fatto passare sopra anche da un tir se fosse stato necessario.

«Ryan se provi a chiamare la polizia...», ha digrignato i denti Tony.

«Le autorità non sono la soluzione al problema.», l'ho tranquillizzato. «Non in questo quartiere, e soprattutto non quando si tratta di noi Mackenzie.»

«Bene. Le mie speranze sono riposte in te, allora, Ryan», Tony mi ha lanciato le chiavi del furgone. «In bocca al lupo.», poi mi sono voltato, ma lui si è schiarito la voce.

«A e ehm... Ryan?»

«Sì?»

«Sto indagando sugli italiani, dopo il vostro prezioso consiglio dell'ultima volta. Ti ricordi, no, della nostra piacevole chiacchierata nel tuo seminterrato? Solo che c'è una cosa che non capisco...»

«Dimmi.»

«Gli italiani sono sempre stati molto più potenti di mio padre e mio zio; avrebbero potuto comandarli, senza il bisogno di ucciderli. Perché farli fuori quando non sono mai stati una grande minaccia?»

Ho scrollato le spalle. «Potrebbero averli uccisi per un altro motivo allora.»

«E quale sarebbe?»

«Dimostrare che ne fossero capaci.»

«Mi sembra un rischio abbastanza stupido.», ha ribattuto Tony.

«Chi mai può conoscere il movente di un assassino?», ho domandato.

Tony ha sorriso, un sorriso così grande da mostrare lo scintillio di un dente d'oro. «Io no di certo.»

Ho fatto un sorriso di circostanza che significava più o meno «con permesso».

Dopodiché sono sceso giù, lungo la strada e ho chiamato Clayton: mi serviva qualcuno che venisse con me.

Se avessi portato quel furgone all'indirizzo che mi aveva dato Tony, avrei avuto bisogno di qualcuno che mi riportasse indietro, a meno che non avessi scelto di farmela a piedi.

Ma soprattutto avevo bisogno di qualcuno che mi guardasse le spalle.

*Fine flashback*

Apro la portiera del furgone, e salgo sul sedile.

Prendo a cazzotti il volante, per scaricare un po' di adrenalina.

Ma dove cristo si trova Clayton?

Clayton dovrebbe già essere qui, a quest'ora, maledizione.

Se tardiamo, rischio di non portare a termine il lavoro e addio al denaro.

E poi vedo una moto nera, una Kawasaki, passarmi a fianco.

Il ragazzo che la guida si alza la visiera del casco, e il suo sguardo fosco, corrucciato, mi penetra.

«Ti ho mandato la posizione sul telefono.», gli dico. «Muoviamoci.»

«Sei sicuro di poterti fidare di Tony Lombardo?», chiede Clayton, la sua voce è molto bassa, ma è ruvida come la ghiaia, minacciosa.

«No.», dico accendendo il motore del furgone. «Ma non ho altra scelta.»

«Non sappiamo nulla di questa storia, Ryan.», dice Clay indicando il furgone.

Ignorare i dettagli di un piano è pericoloso, e questo Clayton lo sa.

Io e Clay ci guardiamo, e leggo nei suoi occhi un pensiero che riconosco benissimo.

Se questa situazione finisse male, rischierei di perdere la guerra per amore di una singola battaglia e metterei tutta la mia famiglia in pericolo.

Quando ho parlato con Clay al telefono ero disperato.

Non è facile per me chiedere aiuto ai miei fratelli.

Non l'ho mai fatto.

Sono sempre stati loro a chiedere aiuto a me.

Mi è costato un prezzo altissimo chiamare mio fratello, e supplicargli: «Dimmi quando mai ti ho chiesto qualcosa.»

«Non mi hai mai chiesto niente.»

«Te la sto chiedendo ora.»

E proprio per questo niente di quello che faremo dovrà andare storto.

«Avrò quei soldi, Clay.», gli prometto.

«Spero sia così.», ribatte Clayton abbassandosi la visiera. «Perché per venire qui ho piantato in asso una persona.»

«Chi?»

Clayton da un paio di sgasate al motore, accelera e se ne va. Lo seguo con il furgone.

Il viaggio dura poco meno di venti minuti, nei quali non faccio altro che interrogarmi se io stia facendo la cosa giusta...

Se Tony mi stia fregando, se al nostro arrivo gli uomini di Lombardo a cui dobbiamo consegnare il furgone saranno davvero lì sul posto.

Ma quando arriviamo davanti alla fine di una strada deserta, davanti una grande saracinesca in acciaio, credo di una specie di magazzino, gli uomini dei Lombardo sono davvero lì sul posto:

sono palestrati e vestiti di nero, e hanno delle pistole che sbucano dalle cinture in pelle.

Clayton parcheggia la sua moto, e io esco dal furgone.

Otto ore dopo
Paxton

Il cielo è grigio e vuoto, ma c'è una nuvola grigia e consistente proprio sopra il camioncino dei gelati parcheggiato nel garage del bar dei Mackenzie.

A essere precisi, la nuvola che sta per grondare pioggia, si trova proprio sopra la mia testa.

Penso alla legge di Murphy che mi perseguita da tutta la vita.

Sapete cosa dice la legge di Murphy, non è vero?

Se qualcosa può accadere, allora accadrà.

Specie quando si tratta di disgrazie.

E quando hai a che fare con la famiglia Mackenzie, non si può stare un attimo tranquilli.

Torno a fissare torbidamente Killian.

«Tuo fratello, razza di ingrato che non sei altro...», esclamo furente, mostrando a Killian il messaggio di Clayton sul cellulare...

«Mi aveva scritto testuali parole: "Se non ci vedi tornare tra mezz'ora vienici a prendere. Ci troviamo al magazzino della Nona Avenue. Grazie, bello."»

Osservo Killian, poggiato in equilibrio sulla portiera del camioncino dei gelati pur di non farmi passare, che alza gli occhi al cielo e sbuffa.

«Sei un paranoico del cazzo.», brontola lui, masticando una gomma. 

«Sono passate otto cazzo di ore.», sputo puntandogli l'indice addosso, sperando che caschi.

«Non so tu come fai a stare così tranquillo, ma io mi sto preoccupando.»

«Tu sai perché Ryan è andato a fare l'elemosina a Tony, vero?»

«Che importanza ha?!», sbraito.

«È per colpa di quella sgualdrina sboccata di Arya. Chi semina vento raccoglie tempesta, Paxton, e non sarò di certo io a impedire a Ryan di andare incontro al suo destino.»

«Levati di mezzo. Vado a cercarli.», ribadisco.

«E cosa pensi di fare?», mi provoca, torreggiando su di me, con un sorrisetto crudele.

I capelli lisci e sottili come spaghetti, brillanti come spighe di grano mi solleticano la faccia.

«Andare lì e affrontare tutto da solo gli uomini di Tony? Sei persino più stupido di Ryan.», dice con tono velenoso.

Mi stringo nelle spalle. «Tutti quanti hanno il diritto di essere stupidi, ogni tanto. E tu lo sai bene... Visto che abusi abbondantemente di questo privilegio.»

«Le cazzate possono capitare, voglio dire, guardati.», dice.

Sono sbigottito e strabuzzo gli occhi.

E per sostenere lo sguardo feroce e infuriato di Killian sbatto convulsamente le palpebre. «Pardon?»

«Non sbattere troppo forte le palpebre...», sussurra Killian con voce grave reclinando la testa verso di me e le mie guance avvampano. «O potresti perdere gli ultimi neuroni che ti rimangono nel cervello.»

«Che gran pezzo di idiota, che sei.», concludo, e Killian si lascia scappare un sorriso compiaciuto.

«Se non vuoi venire con me, almeno fatti da parte!», sbotto, assestandogli una spallata che gli fa perdere l'equilibrio, e poi lo scruto con ribrezzo.

«Se Clayton e Ryan sono stati presi, come speri di cavartela tu?», insiste Killian.

«Dovresti essere un criminale, Killian. Invece ti caghi addosso.», dico. «Non me lo sarei mai aspettato da te. Se non avessi visto con i miei occhi il tuo cazzo, giurerei che tu abbia una vagina Killian.»

Entrambi raggeliamo.

Gesù, l'ho detto davvero?
Ho davvero fatto riferimento al suo uccello?
Ma perché non sperimento l'arte di tacere, ogni tanto?

Mi irrigidisco ma continuo a camminare imperterrito.

Apro la portiera del camion e ci salgo.

«È una missione suicida.», replica Killian stizzito, gli occhi ridotti a una fessura e l'odio stampato in faccia. «Te ne rendi conto o no?»

«Il che non è una novità per te, dico bene? Tu sei un esperto in queste cose. Le missioni suicide per te sono a buon mercato.», tiro il freno a mano per poi ricordarmi... che non ho ancora acceso il camion.

Il sorriso di Killian si apre, e dalla tasca estrae un mazzo di chiavi. «Non puoi andare da nessuna parte senza queste.»

Clayton

Gli uomini di Tony ci hanno legati a un cazzo di palo.

Siamo rinchiusi dentro questo magazzino da ore.

È dura non pensare all'edificio che ci comprime.

L'aria viziata di questo posto è soffocante, sebbene ci sia un alito d'aria, proveniente da qualche parte, che mi sfiora la fronte umida.

Per lo meno... Niente piscio e niente odore di vomito.
Solo un tenue odore di tabacco di marca e polvere da sparo.

Se non avessi i polsi legati con delle manette attorno a un cazzo di palo, strangolerei Ryan con la forza delle mie stesse mani.

«Che giornata di merda.», biascica Ryan.

Digrigno i denti, incapace di trattenere le labbra in un sorriso di profonda ilarità.

«Ci sono tremila modi per far andare male una giornata, Ryan, e chiedere soldi a Tony Lombardo è uno di questi. O non lo avevi calcolato?»

«Clayton.», rimarca mio fratello con voce severa. «Non usare il sarcasmo con me. Sai molto bene che non ci sono altri modi per avere quei soldi. E io ne ho bisogno.»

«Io ho bisogno di un caffè, invece. Oppure di un cazzotto in faccia.», ribatto, e strattono le manette, i polsi doloranti.

«Cazzo, odio non potermi muovere. Ma perché ti do sempre retta? Perché?»

«Non ti agitare.», ribatte Ryan. «O finirai tutto l'ossigeno presente qua dentro, prima del previsto...»

«Sei davvero certo che quei dannati idioti torneranno qui, per levarci queste manette?»

«Li hai sentiti.», Ryan sospira. «Vogliono solo assicurarsi che non diciamo una parola alla polizia finché il furgone non sarà abbastanza lontano. Dopodiché ci libereranno.»

«Non mi fido, Ryan.»

«Non abbiamo altre opzioni.»

«Ce le abbiamo.», dico.

«E quali sarebbero?», ghigna mio fratello, guardandomi di sottecchi.

Il sudore acre che emaniamo mi fa venire il voltastomaco.

«Ho avvisato Paxton.», confesso. «Gli ho detto di cercarci, nel caso in cui non ci avesse visti tornare entro una mezz'ora. Arriverà.»

Ryan aggrotta la fronte ed emette una risata molto simile a uno sbuffo. «Non so a te, ma a me pare che sia passata un po' più di mezz'ora. E qua intorno non lo vedo.»

«Ora chi è che usa il sarcasmo, eh?», lo pungolo.

Il telefono nella mia tasca incomincia a vibrare.

«Potrebbe essere Paxton... Riusciresti ad aiutarmi ad afferrare il mio telefono?», dico contorcendomi in modo da sfilarlo almeno dalla tasca.

«No che non ci riesco. Se non ci hai ancora fatto caso ho le mani legate.», dice Ryan.

Il telefono cade per terra con un tonfo e ciò che vedo sulla schermata mi lascia senza dubbio perplesso.

Sia io che Ryan leggiamo il nome che campeggia sullo schermo. 

Cenerentola.

Ryan mi lancia una rapida occhiata confusa e io aggrotto inarco vagamente le sopracciglia, rimanendo in silenzio, in attesa che il telefono smetta di squillare.

Non gli serve sapere in che tipo di rapporti siamo io e Cassie.

«È l'amica di Arya?», domanda Ryan con rimprovero dopo un po'.

Appunto.

«Sì.»

Il telefono finalmente si ammutolisce, ma la schermata si illumina di nuovo, questa volta da un messaggio, che io e Ryan ci assicuriamo di leggere, piegando la testa.

"Ciao Clay, sono io.
Ti ho chiamato per parlarti di una proposta che ho ricevuto da Roman, che spero vivamente non accetterai.
Lui vorrebbe organizzare una cena per noi tre, questa sera.
Per conoscerti meglio.
Sostiene di avere a cuore le persone che frequento e gli piacerebbe far parte della mia vita, in questo senso.
Chiaramente spero che tu non penserai di accettare, visti i nostri trascorsi.
Ah, e Clay: hai lasciato qui da me il tuo anello con la croce.
Ciao.
Buone cose."

Rimango a fissare lo schermo finché non diventa nero e specchiato, al punto da raffigurare il mio riflesso.

Buone cose?

«Non dirmi che hai intenzione di accettare.», dice Ryan.

Inspiro. «Sempre che usciamo per tempo da qui.»

«Non puoi accettare Clayton.», insiste Ryan. «La residenza di Roman Lancaster pullula di telecamere.»

Telecamere, eh?

Ci sarebbero pericoli più grossi di questo se accettassi, mio caro fratello.
Mi mordo il labbro per trattenere un sorriso indulgente.

«Come tutte le residenze dei figli di papà.», dico.

«Parlo delle telecamere che hanno messo gli italiani.», ribatte. «Sarebbe come entrare nella tana del lupo, Clay. Vuoi davvero finire nella tana del lupo di quei criminali?»

Credo che la mia faccia sia cambiata in un baleno, gli occhi si sono fatti obliqui e la voce tagliente. Ragiono sulle parole di Ryan con più attenzione.

Gli italiani hanno messo delle telecamere...dove?

«Cosa?!», sputo fuori e poi cerco di darmi un contegno. «Lì dentro ci sono le telecamere e non me lo hai detto?», sussurro.

«Sì, be' ma... Scusa...», dice corrugando le sopracciglia. «A te che importa?»

«Cazzo, Ryan.», ribatto.

«Clay.», prova lui a introdurre l'argomento. «Vuoi spiegarmi per favore cosa sta succedendo tra te e l'amica di Arya?»

So cosa sta pensando Ryan in questo momento.

Che sono solo un maledetto bastardo, un egoista con l'anima ridotta a brandelli che pensa solo ai suoi bisogni, e ha ragione.

Non sono portato a occuparmi degli altri, come invece lo è lui.

E ormai neanche mio fratello si aspetta qualcosa di buono da me, perché l'ho deluso un'infinità di volte.

Anche se la peggiore delle delusioni l'ha ricevuta quando ho rifiutato la borsa di studio per la Brown.

Al liceo ero una macchina da guerra.
Studiavo, mi allenavo, e non dormivo...

Avevo una media a dir poco perfetta e nello sport eccellevo: sottoponevo il mio fisico a sforzi che nessun essere umano potrebbe sopportare a lungo.

Ma avevo anche degli enormi buchi neri, reali, fottutamente reali, che avevano inghiottito tutta la luce presente dentro di me.

Soltanto perché al di fuori ero splendido, non significava che fossi così splendido anche dentro.

Sono sempre stato il buio vivente, e più crescevo più gli ormoni nel mio organismo stimolavano testosterone e rabbia, producendo altro vuoto in me.

Un vuoto che ha finito per diventare incolmabile.

Una gigantesca rabbia che ho trasformato in calma assoluta.

Ma niente riusciva a calmarmi davvero.

Né il basket e né le risse hanno mai saziato la mia rabbia, il mio bisogno di sfogarmi, la mia voglia di distruggere tutto.

L'unica cosa che riusciva a placare un po' la mia fame era il sesso, anche se ne abusavo di rado, perché era consumato per la maggior parte delle volte con ragazze scadenti e comunque... Anche il sesso mi lasciava perennemente insoddisfatto.

Niente, assolutamente niente, potrebbe mai riempire il mio vuoto.

«Ei, Clay.», dice Ryan. «Devo preoccuparmi?»

«No.», ghigno dando un'altra strattonata alle manette.

Niente da fare, ho i polsi troppo grandi per sfilarmi via questi pezzi di acciaio.

Paxton

«Dammi le chiavi, Killian.», ribatto con tutta la pazienza che non ho.

«Vienitele a prendere, Mitico.», gongola lui dondolandole in aria e facendo scattare la lingua sul labbro superiore per bagnarla.

Faccio un respiro profondo.

I miei due migliori amici, le persone a me più care al mondo si trovano nei pasticci, e Killian vuole giocare ad acchiapparella.

Delle volte, il suo è un disinteresse verso gli altri al limite del comportamento antisociale e anaffettivo.

«Altrimenti?», faccio eco.

Killian apre il retro del camion, e ridacchiando ci si infila dentro, mentre io scendo dal sedile per seguirlo.

«Killian non è divertente.», lo avverto, aggirando il camion per fulminarlo con lo sguardo.

«Che stai facendo?», chiedo scioccato.

È rannicchiato nel buio dell'abitacolo, ma i suoi occhi scintillano di follia anche nell'oscurità.

Si mette le chiavi in tasca e torna serio.

«Ti impedisco di andare.», ordina.

«E perché vorresti impedirmi di andare ad aiutare i miei migliori amici?», alzo la voce e incrocio le braccia.

«Perché sei solo uno spastico che non sa badare a sé stesso.»

«Invece so badare a me stesso!»

«Dovresti farti aiutare.», dice Killian scuotendo la testa.

«Un po' come te.», osservo e lui sghignazza.

«Le persone non mi vogliono aiutare veramente.», dice atono. «Cercano solo di placare i loro sensi di colpa nei miei confronti.»

Mi passo una mano sulla fronte e sospiro.

Mi acquatto vicino a lui, con il cuore che collassa nella cassa toracica, e il respiro che aumenta.

«Questo non è vero, Killian. Spesso sei tu a non volerti far aiutare. Tutte le volte che provo a darti una mano, anziché ringraziarmi, sai solo prendermi in giro! Non sai apprezzare nulla, Killian. Vivi nel tuo mondo contorto e pensi che tutti ce l'abbiano con te. Ma come ti ripeto sempre, capoccione che non sei altro, non tutti vogliono il tuo male.»

Mi guarda di sottecchi.

Una macchia di tristezza e silenzio si propaga sul suo viso.

«Senti. Se non voglio che tu vada a cercare i miei fratelli, Paxton.», dice dopo un po'. «È solo perché non voglio che ci resti secco.»

Oh Gesù cosa hanno appena sentito le mie orecchie?

«Quindi vorresti farmi credere...», farfuglio confuso mentre le nostre gambe si toccano. «Che Killian Mackenzie ha un cuore? Vorresti farmi credere che a me un po' tu ci tenga, in fondo?»

Digrigna un po' i denti e alza gli occhi al cielo.

«Non ti allargare, o ti stacco gli occhi e ci gioco a ping-pong.»

Ok, tutto a posto: è il Killian di sempre, ora sono più tranquillo.
Pazzo e capoccione.

Mi giro verso di lui con espressione accigliata, e me lo ritrovo a un palmo dal viso, mi sento invaso dal suo dolce profumo di fragola.

L'ultima volta che siamo stati così vicini, lui mi stava piangendo tra le braccia e il mio cuore al solo ricordo si fa piccolo piccolo.

«Dico solo Paxton che sei un fratello per me. Il fratello più idiota, handicappato e stupido che mi poteva capitare in assoluto. Ma pur sempre un fratello.»

E vabbè... me ne farò una ragione.
Questi insulti sono prassi, ormai.

Continua ad alternare lo sguardo dalle mie labbra ai miei occhi...
Chissà che cosa diavolo ha in mente.

«Quindi tu non provi...», mi azzardo a sfiorargli il viso con le dita. «Niente per me che non sia un affetto fraterno, giusto?»

Allontana la mia mano con ribrezzo, e mi intima sottovoce: «Mollami.»

«Non mi respingere.», lo prego avvicinandomi a lui, fino a che non si schiaccia contro la parete dell'abitacolo.

Qui dentro fa caldo, e sono piuttosto sicuro che sia Killian a emanare fuoco.

Gli strapperei la maglietta, e mi accoccolerei sui suoi pettorali.
Gli sfilerei i jeans per succhiargli il cazzo.
Farei ogni cosa indecente e molto poco fraterna che conosco, ma mi limito a osservarlo negli occhi, così freddi e perforanti.

Killian è un demone, decisamente.
Ma perfino il diavolo una volta era un angelo

Mi avvicino al suo viso.
Il suo respiro mi sfiora la guancia.

Sento i brividi attraversarmi tutta la schiena, mentre lui mi guarda.

«Cos'è che provi?», gli chiedo.

«Ho paura.», dice.

Ah.

«Di che hai paura?», chiedo e i nostri respiri affannati si mescolano nell'ombra.
Attorciglio la mia gamba alla sua. 

«Ho paura di scoprire che mi piace.»

«Ed è un problema?»

«Il problema ce l'ho tra le gambe.»

«Non ti piacerà allora.», mormoro. «Te lo prometto.»

Arriccia le labbra, e inclina la testa. «Tu non ti azzitti mai, non è vero?»

Io, e la mia seccante tendenza a essere spiritoso e prolisso...

«Be'–», deglutisco. «Fin dove sei disposto ad arrivare per farmi stare zitto, eh?»

La sua fronte si scontra con la mia e mi fissa con iridi incandescenti.

Non ci capisco più niente, ho il cervello completamente annebbiato.

«Farei qualunque cosa.», mormora febbrilmente, e la sua mano tenace mi agguanta il viso, con un principio di violenza non del tutto espresso. «Pur di chiuderti quella dannata bocca.»

«Qualunque cosa io voglia?», dico. E i miei fianchi si scontrano con i suoi, avverto ogni centimetro della sua lunghezze.

«Qualunque.», dice lasciandomi poi il viso e io scuoto la testa per riprendermi.

Gesù

Killian

Non riesco a smettere di guardarlo.

I suoi capelli in disordine e le guance accese di rosso.

Siamo cresciuti insieme, Paxton e io.

So tutto di lui.

So ogni cosa imbarazzante sul suo conto.

L'ho visto moribondo al letto, quando aveva la varicella, l'ho visto quando imparava ad andare sulla bicicletta ed erano più le volte in cui stava per terra che sul sellino.

Io c'ero, quando sua nonna lo rincorreva con il cucchiaio di legno urlandogli dietro: «Sei un piantagrane!» e mi facevo anche grasse risate.

Ma questo lato di lui non lo conosco.

Non è il solito Paxton...

Si sta avvicinando a me, con sicurezza e desiderio: questo Paxton non è il soggetto disagiato che conosco.

E ho voglia del suo corpo, e perciò struscio il naso lungo il suo collo, anche se devo lottare con tutta la vergogna che covo.

La mia anima, ammesso che io ne abbia davvero una, si sta contorcendo e ribellando a sé stessa.

Lui si lascia sfuggire un lamento.

Gli bacio il collo e la mascella poi gli prendo il lobo tra i denti, e lo sento gemere.

Ha il respiro corto e affannato.

È teso.

Il mio cazzo invece è duro e pronto all'azione, dolorante nei miei jeans.
Potrei sul serio compiere una follia e scoparmelo qui, ora, adesso.
Sbattermelo forte.

Sbattermelo più forte di quanto sbatterei un telecomando dalle pile scariche.

Chissà come sarebbe, avere a che fare con il suo corpo caldo e il suo cuore pulsante.

Oppure, il suo cazzo pulsante, sì meglio.

Ma non me lo voglio scopare dentro a un cazzo di camion...

Eppure, neanche mi sarei immaginato di eccitarmi fino a questo punto, e ora ho onestamente bisogno di svuotarmi. O di riempirmi. Di lui.

Mi sgancio la protesi al braccio, che getto via di colpo. Lui fissa il muscolo gonfio del mio pettorale e poi il mio braccio mozzato.

Cerco le sue labbra come un affamato, e quando le trovo, quando finalmente le nostre labbra aderiscono dentro di me si placa qualcosa.

Percepisco ogni mio singolo muscolo sciogliersi, distendersi.

Ogni agonia che provo mi regala qualche secondo di tregua.

Finalmente.

La sua lingua, umida e rovente, si intreccia alla mia e i suoi denti si scontrano con i miei.

È la seconda volta che le nostre labbra si toccano, si sfiorano e si assaporano.

La seconda volta che il corpo reagisce all'impulso del suo, in maniera così primitiva e sconosciuta, con maggiore intensità rispetto alla precedente.

Succhio e mordo le sue labbra gustandomi tutto il suo sapore, che mi fa impazzire.

Maledizione che bel suono.

Continuo a baciarlo, a divorarlo, non mi godo neanche un cazzo di secondo, che già immagino quello successivo.
Sono un cazzo di vulcano che sta per esplodere.

Lo voglio sempre di più, e lo voglio adesso.
Prima che la vergogna diventi tale da farmene pentire, o da respingerlo in malo modo.

Le mie dita si arrampicano lungo il suo collo e si infilano tra i suoi capelli.

«Ti voglio Paxton.», ringhio. «Ora.»

Paxton

Oh... per tutti i santi.

Killian mi sta baciando.

Mi bacia con foga, e la sua mano mi afferra il viso e i suoi denti affondano nel mio labbro inferiore, come farebbe un dannato animale.

Emetto un gemito di dolore.

«Girati.», suggerisce.

«Eh?»

Mi ribalta, mi afferro i capelli e mi solleva la testa.
Mi aggrappo con il palmo della mano, di fronte a me.

«Killian che stai fa–...?»

«Ti sto per fottere.», sussurra contro il mio orecchio.

Cosa?
Così?

Il palmo della sua mano si poggia sul dorso della mia, aperta, contro la parete dell'abitacolo, che inizia a ondeggiare.

Percepisco diversi gradi di intensità di quel calore...

Un'onda di emozioni che non so come affrontare si impossessa di me.

Sento gli spasmi che attraversano tutto il mio corpo e non sono ancora arrivato all'orgasmo figuriamoci.

«Non ho intenzione di scopare con te.», ribatto e lui sfodera i denti in un sorriso diabolico, ringhiando.

«Sshh.», dice. «Tu non vedi l'ora.»

Sì, okay, è vero lo ammetto: ma non posso mica farmi trattare in questo modo, come un cazzo di oggetto.

«Ho bisogno di...»

«Del mio cazzo? Te lo do subito.»

Spalanco gli occhi. Mi divincolo da Killian e mi volto.
Lui mi afferra l'avambraccio, grugnendo.

«Ma chi ti credi di essere?», sbotto rosso in volto.

I nostri respiri si intrecciano, mentre lottiamo per chi deve sottomettere chi.  Le sue gambe tentano di immobilizzare le mie.

«Sono il ragazzo che muori dalla voglia di scopare.», dice Killian sulle mie labbra.

«Zitto...», dico afferrandogli le spalle e buttandole giù... «Oppure...»

Killian si siede, e ha i jeans abbassati, i boxer abbassati e la sua mano sta lentamente facendo su e già sul suo cazzo turgido, spesso e grosso.

E mi guarda con un sorriso vendicativo.

Mentre io sono caduto insieme a lui e mi ritrovo sul suo petto.

Avvampo di colpo, sapendo benissimo cosa sta succedendo dentro i miei pantaloni.

Cazzo, cazzo, cazzo in tutti i sensi.

«Sì?», mi esorta a continuare.

«Rimettilo dentro.», lo avverto. «Abbiamo una missione di salvataggio da compiere.»

«Non hai le...», incomincia e poi cambia subito espressione, quando sventolo sotto al suo naso le chiavi del camion che gli ho sfilato quando la sua erezione mi premeva addosso.

Mi alzo e faccio un balzo fuori dal camion.

Mezz'ora dopo
Paxton

Mezza dozzina di uomini stanno facendo la guardia al garage di un magazzino dalla saracinesca abbassata.

Io e Killian siamo inginocchiati e nascosti dietro al nostro camioncino, piuttosto appariscente in effetti, di gelati.

Un miracolo che questi omaccioni grossi e muscolosi non si siano accorti della nostra presenza.

«Allora.», sospiro, indicando la saracinesca. «Probabilmente, Ryan e Clayton sono là dentro.»

«Ottimo.», ribatte Killian.

«Qual è il piano per liberarli?», chiedo.

Killian allunga il collo oltre la fiancata del camion e la gigantomachia di un cono che si scioglie sul parabrezza, per studiare il percorso che ci separa dal garage.

«Mmm.», sospira. «Il mio piano è seguire il tuo piano.»

Mi scrocchio le dita, un gesto che mi aiuta a pensare con più lucidità.

«Ora sì che siamo fottuti.», mi passo una mano tra i capelli e respiro.

Le menti geniali delle operazioni, quelli che di solito architettano i piani più astuti, sono entrambi stati catturati e non ci sono di alcun aiuto in questo momento.

«Senti Killian.», aggiungo. «E se aspettassimo qui seduti, zitti e buoni, che si alzano le saracinesche? Voglio dire, mica potranno tenerle abbassate per il resto dell'eternità!»

«Ho un'idea!», esclama Killian. «Perché non ti metti alla guida, e sfondi la saracinesca col camion a tutta velocità?»

«Ma così ci facciamo scoprire.», obietto.

«E chissenefrega?»

«Diabolico.», commento. «Però, preferirei che la mia testa restasse attaccata al mio collo per ancora qualche anno, Killian.»

La sudorazione nervosa mi sta appiccicando i vestiti alla pelle.

Mi schiarisco la voce: «Aspetteremo qui finché gli uomini dei Lombardo non se ne andranno, e poi, solo a quel punto sfonderemo la barriera.», dico.

«Ci potrebbero volere delle ore.», replica aspro Killian. «Non abbiamo tutto questo tempo a disposizione.»

«E perché?»

«Perché ho fame.», sputa fuori lui.

Aggrotto la fronte. «Be', sì: in effetti... anch'io.»

Avrei dovuto portare con noi quei deliziosi tramezzini broccoletti e salsiccia che ha preparato la signora Mackenzie per pranzo.

Dopodiché, inaspettatamente, sentiamo un rumore...
Le saracinesche si stanno alzando: o mio dio!

«Ei, Killian guarda!»

Alcuni uomini entrano nel garage, per poi scomparire.
Restano là dentro per qualche minuto, minuti nei quali sento il cuore accelerarmi nel petto. 

«Andiamo a vedere che succede?», propongo.

«Tsé. Ma sì, dai, facciamoci cogliere con le mani nel sacco!», ribatte contrariato Killian.
Che drammatico.

Finalmente un pizzico di fortuna, e lui vuole sprecarla così?

Estraggo la mia pistola dai boxer e la punto in direzione del magazzino, dandomi l'aria di essere un esperto cecchino.

«Ei. Senti.», dico. «Ho una pistola e non ho paura ad usarla.» E invece sì.

«Chi è quel genio che ti ha venduto la pistola?», chiede Killian.

«Tuo fratello Clayton.», rispondo senza batter ciglio.
E gliela devo ancora pagare, per essere precisi, ma questa è un'altra storia. «Sei pronto a seguirmi?», domando a Killian.

«D'accordo.», sbuffa. «Facciamolo.»

Perfetto.

«Primo step.», dico alzandomi e correndo verso il magazzino, nel deserto assoluto.

Killian mi segue.

«Oltrepassare la saracinesca in velocità prima che si abbassi del tutto.»

Sia io che Killian strusciamo per terra come lombrichi che si contorcono, ed entriamo nel garage per un pelo.

Ci nascondiamo dietro la prima pila di scatoloni che vediamo.
Entrambi abbiamo già il fiatone.

«Eccoli, sono là!», sibilo.

Clayton e Ryan sono legati a un palo, sono ammassati l'uno contro l'altro.
Gli uomini di Lombardo non li degnano di un'occhiata, perché troppo occupati a spostare scatoloni.

«Secondo step.», dico respirando forte. «Mettere fuori uso le guardie. Ci sei Killian? Cosa stai...?»

Killian ha lo sguardo fisso sulla sommità di uno scatolone, le pupille dilatate e illuminate da una forza oscura.

Solo dopo qualche secondo mi accorgo che ciò che sta guardando sono delle chiavi.

«Le chiavi delle manette.», dice Killian, agguantandole e uscendo allo scoperto.

«Ei, torna indietro!», sibilo, ma Killian raggiunge i suoi fratelli e libera i loro polsi.

Lo seguo, a passo di pantera, fino a raggiungerli.

«Che diamine ci fate voi due qua?!», protesta Ryan, una volta liberato. «Non ci servivano altri casini. Ce la saremmo cavata benissimo da soli.»

Che orgoglioso del cavolo, però...

«Sì come no.», dice Killian, alzando gli occhi al cielo.

Clayton si massaggia i polsi con la rabbia feroce che gli deturpa il volto.

«Lo sapete adesso che succederà?!», ci chiede Ryan. «Adesso, quegli uomini crederanno che vogliamo contattare le autorità per intercettare il furgone. Dovevate lasciarci qua. Ci avrebbero liberati, alla fine.»

«Tu dici?», chiede Killian facendo scattare in alto un sopracciglio.

«Che ne pensate, se usciamo da qui e poi ne discutiamo,o?», li incalzo osservando gli uomini di Lombardo ancora di spalle e lontani... «Oppure ci prepariamo una bella tazza di thè?»

«Ei voi!», urla uno scagnozzo di Tony.

Come.
Non.
Detto.

Ryan, Clayton e Killian sbuffano e si schierano l'uno accanto all'altro, le gambe leggermente caricate e i muscoli tesi, pronti a scattare.

Ve l'ho mai raccontato che i Mackenzie hanno origini scozzesi?
Credo di sì.

C'è una leggenda sugli scozzesi.

Anzi, diciamo per lo più che ci sono degli stereotipi.

Ovvero, si dice che gli scozzesi suonano la cornamusa, pascolano le pecore e amano bere il whisky.

Ma si dice anche che gli scozzesi adorano fare a pugni, che sono molto abili con i cazzotti e che nella maggior parte delle risse ne escono vincitori.

È per questo che nella rissa in atto, Clayton e Ryan stanno assestando un bel po' di colpi.

Un tizio arrabbiato sta correndo nella mia direzione.

Sgrano gli occhi.

Il terrore si impadronisce dei miei muscoli.

Tento di colpirlo, ma schiaffeggio l'aria, con il risultato che sembra che io abbia appena cercato di scacciare un frenetico sciame di moscerini.

Alla fine, mi tira un pugno sullo stomaco, che mi causa un forte conato di vomito.

La prova definitiva che non ho origini scozzesi.

Mentre mi piego in due per il dolore, Ryan lo afferra per le spalle, gli assesta una ginocchiata tra le costole e dopodiché il pugno di Ryan entra in collisione con il suo stomaco.

Osservo il mio amico Ryan.

Ha le palpebre gonfie e di una brutta tonalità violacea. Sintomo che ha preso un bel po' di pugni.
Ha il respiro veloce e ansimante.

E infine, mi accascio per terra e svengo.

Ore 19.30
Cassie

Quando Clayton è entrato con passo sicuro in casa di Roman, lui lo stava aspettando.

Roman era vestito di grigio scurissimo, seduto di fronte al flebile fuoco del camino.

Inspirava il forte odore di incenso, che si era propagato nell'aria grazie a una specie di vaso africano regalato anni fa da Miss Fridge.

Ho pregato fino all'ultimo affinché Clay non si presentasse, e ho combattuto contro quella parte del mio cuore che invece fremeva per vederlo arrivare.

«Clayton Mackenzie.», ha sospirato Roman, una volta di fronte a lui, stringendogli la mano, «Che onore poterti finalmente conoscere.»

Ha ricevuto in risposta da Clayton soltanto un misterioso ghigno, e il suo viso solitamente bianco come l'avorio era marchiato da qualche livido.

Non avrei mai creduto che, alla fine, Clayton avrebbe accettato l'invito di Roman: gli avevo espressamente chiesto di non accettare.

Ma, ho pensato con un magone al petto, avrei dovuto immaginarlo.

Fa sempre il contrario di ciò che gli chiedo.

E non so mai cosa gli passa per la testa.

Se c'è una cosa che trovo più detestabile di avere Clayton attorno, è quella di averlo attorno mentre sono con Roman.

Per tutta la durata della cena ci siamo studiati intensamente tutti e tre, girando attorno a vari argomenti.

Come il lavoro di Roman, e il suo impegno nel gestire i complessi di uffici aziendali sotto il suo comando.

Il padrone di casa, mentre parlava, masticava lentamente l'agnello con le rape rosse e le arance, senza mai distogliere gli occhi dal piatto, e il suo ospite faceva altrettanto.

Né Roman né Clayton sono tipi abituati a socializzare con le persone.

Diciamo in effetti che non sono persone che potremmo definire logorroiche. 

Da quando abito qui, mangio pietanze molto articolate, raffinate e sofisticate...

Niente a che vedere con i maccheroni al formaggio squagliati che preparavo sempre a casa di mamma.

Eppure, stasera ho avuto un nodo allo stomaco e non sono riuscita a ingurgitare nient'altro che aria.

Clayton era di fronte a me, con una luce bluastra che gli avvolgeva gli spigoli del volto, la carnagione di solito bianca e pallida brinata di oro bianco,e talvolta mi studiava.

O meglio, studiava la mia forchetta che penzolava sul piatto, senza mai davvero afferrare un boccone di cibo.

Ogni volta che lo guardavo rischiavo di avere un arresto cardiaco, per la paura e il fascino che mi trasmetteva.

Mi è mancato il respiro per tutto il tempo.

Quando abbiamo finito di mangiare Roman e Clayton si sono alzati.

E ora eccomi qui, in piedi, che li seguo lungo l'ampio e dispersivo salone, non realizzando ancora cosa sia successo con precisione da quando Clay è arrivato.

È una situazione strana, questa: io, Roman e Clayton nella stessa sala; una sala dall'arredamento freddo e senza vita.

L'uno accanto all'altro, Clayton e Roman sono il giorno e la notte.

Diversissimi, eppure anche così complementari.
Nel loro essere agli antipodi, hanno molto in comune.
Come la solitudine che alberga nei loro cuori, e i loro modi raffinati di parlare.

«Ti andrebbe di bere qualcosa?», chiede la voce glaciale di Roman a Clayton.
Poi i due si allontanano verso il divano, e io strazio il mio vestito con le dita per l'ansia.

«Sì.», dice Clayton rimanendo composto, sebbene la durezza del suo volto e del suo timbro di voce lo tradisca. «Grazie.»

Roman offre a Clayton un bicchiere di Black Russian, dopodiché Roman mi cinge il fianco e mi stampa un bacio a fior di labbra.

Il bicchiere che ha in mano Clay sembra realizzato in vetro soffiato, e pare piuttosto costoso, come un po' tutto qua dentro.

Clayton lo analizza con un ghigno, come per valutare di farlo cadere per terra.
Ne sarebbe capace.

«Cassie mi ha raccontato tutto su come vi siete conosciuti.», dice Roman, e il viso di Clayton è oltrepassato da un'ombra di disapprovazione.

O forse la sto solo immaginando?

«Tutto?», chiede Clayton.

«Vi siete conosciuti a scuola.», dice Roman, fugando ogni dubbio, e Clayton pare avvolto da una forma di irresistibile sollievo.

«Alla Mordale, giusto?», aggiunge Roman.

«Giusto.», dice Clayton, lanciandomi un'occhiata di sospetto.

«Clayton era il più brillante del corso.», intervengo. «E non aveva neanche bisogno di studiare molto.»

«Ma pensa un po'.», dice Roman.

«Questo, per lui sicuramente, significa avere un sacco di tempo per cacciarsi nei guai.», aggiungo guardandolo di traverso e le sue palpebre si assottigliano, enfatizzando le sue iridi nere e intense.

«Attento, Mackenzie. La mia fidanzata è piuttosto pericolosa.», sospira Roman ridacchiando, versandogli da bere altro Black Russian.

«È chiaramente pericolosa.» dice Clayton. «Ma spero non diventi pericolosa per me.»

Ho un sussulto, per un attimo.

Pericolosa.
Vorrei abbracciarmi a questa parola, tenerla stretta.

Clayton è così che mi ha sempre vista, sebbene non potrei mai fare del male a nessuno.

Non uccido.
Non rubo.
Non scassino auto.

Eppure, lui mi reputa, e mi ha sempre reputata lo stesso, pericolosa.

«Pericolosa quanto splendida.», dice Roman, con un'espressione imperturbabile. «Non trovi?»

E poi i due si siedono sul divano l'uno di fronte all'altro, osservandomi, e sorseggiando un po' di liquore.

Io rimango in piedi in mezzo al fuoco incrociato dei due, sostenendo gli sguardi di entrambi.
Le lande di ghiaccio di Roman e le selve oscure e selvagge di Clayton.

«Sì, davvero splendida.», concorda brevemente Clayton, facendo scivolare lo sguardo lungo il mio vestito:

Un capo di uno stilista giapponese di cui ho dimenticato il nome un istante dopo che Miss Fridge, la domestica, lo ha pronunciato.

«Cassie.», mi interpella Roman. «Siediti accanto al nostro ospite, per favore. Non vorrai di certo rimanere in piedi per tutta la sera.»

Io e Clayton ci guardiamo...
E anche se lui è calmo...
Le sue fattezze sono oscure e indomabili come sempre.

Stasera è vestito in maniera impeccabile, eppure non pretenziosa.

Ha un maglioncino nero, sobrio, e dei jeans scuri.
Ha un gusto innato, che non ha niente a che fare con i soldi. 

Qual è il vero motivo per cui lui è qui?
Perché sta bevendo del Black Russian offerto dal mio... be' più o meno fidanzato?
Cosa sta tramando veramente?
Non può aver accettato l'invito senza un secondo fine, non sarebbe da lui.

Roman ha invitato a cena Clayton perché non si fida di lui.

Non si fida del misterioso e oscuro ragazzo che, qualche ora fa, mi ha offerto un passaggio sulla sua moto nera, lucida e splendente, e di cui tutti i giornali stanno parlando.

Ma perché invece Clayton ha accettato l'invito?

E perché mi sta osservando senza l'ombra di alcun sentimento?
O meglio, senza l'ombra di alcun risentimento?

Più lo guardo, più mi fa male respirare.

«Cassie, avanti, non essere timida e siediti accanto al nostro ospite.», mi incalza Roman, incrociando le gambe.

Prendo posto vicino a Clayton.

Avverto l'elettricità del suo corpo, perfino se non ci tocchiamo.

«Allora, dimmi: è tutto vero ciò che si dice su di voi?», chiede Roman, con tono sferzante.

«Vero a sufficienza.», replica Clay.

«Sai cosa si dice in giro... su voi Mackenzie, vero?», chiede abbassando di molto il tono di voce.

«Che non siamo brava gente, immagino.», sorride Clayton, soddisfatto della propria reputazione. «Ho ragione, Lancaster?»

«Già. Più o meno è questo che si dice.», ribatte Roman. «Siete famosi per un elenco incredibilmente esteso di crudeltà.»

«A ognuno tocca fare il proprio mestiere.»

«Crudeltà del tutto rimaste impunite.»

«Detestiamo farci beccare.», dice Clayton ispezionando il soffitto.
Cosa sta cercando?

«Ci sono punizioni peggiori della prigione.», dice Roman. «In fondo, ho sempre inteso il carcere come una forma alternativa di rieducazione.»

«E io ho sempre inteso l'educazione come una forma non molto alternativa di schiavitù.», ribatte Clay, posando gli occhi su Roman molto malvolentieri. «Ma immagino siano solo punti di vista.»

Roman abbozza un sorriso. «Hai mai ucciso qualcuno?»

«Potrei averlo fatto. Ma non lo verrei a raccontare a te.»

Clay non sta prendendo sul serio questa conversazione, perché troppo occupato a ispezionare il salotto.

«Ma quel che mi chiedo è... perché?», dice Roman, prendendo di buon grado la frecciatina.

Le iridi buie di Clay si accendono.

«Qualche volta, per sopravvivere, bisogna essere cattivi.», spiega Clay. «Più cattivi di coloro che sono stati cattivi con te. Chi non reagisce, soccombe. Si chiama selezione naturale.»

«E come chiameresti, invece... la confidenza che hai con la mia ragazza?»

Roman non sembra particolarmente, turbato a differenza di Clay.

Lo sguardo truce ardente e provocatorio di Clay si posa fugacemente sulle mie labbra.

E poi sogghigna in un modo in cui mi fa venire voglia di raggomitolarmi e scomparire.

Per fortuna, distoglie presto lo sguardo da me... e lo posa di nuovo su Roman.

«Ci sono molte cose in questa stanza che ti appartengono, Lancaster...», dice Clayton protendendosi verso il padrone di casa e l'aspetto che hanno i suoi occhi non promette nulla di buono.

«Ma, mi spiace deluderti, lei non è tra quelle.» La sua mascella rigida e squadrata si irrigidisce, nello sforzo di non sorridere.

Non posso fare a meno di trasalire.

«Sai...Credo che per molti aspetti ci somigliamo, Clayton.», dice Roman rivolgendosi all'ospite.

«Non sono dello stesso avviso.», dice Clayton.

«Abbiamo cenato e bevuto insieme, e non nutro alcun pregiudizio nei tuoi confronti, nonostante la tua famigerata famiglia. Ma se ti dicessi che, nonostante questo, tu proprio non mi piaci, Clayton?», chiede Roman sporgendosi con il busto verso l'ospite.

«Non piaccio a nessuno.», replica Clayton, ormai quasi naso a naso con Roman. «E per ottime ragioni.», dice duramente.

Roman fa scattare in alto un sopracciglio, e si sbraca nuovamente sullo schienale imbottito, senza smettere di fissare Clayton con una vena di lussuria.

«Cassie.», dice Roman, senza però guardarmi. «Anche tu la pensi così?»

E mo' che c'entro?
Come la dovrei pensare io, scusate?
Ma non mi danno neanche il tempo di parlare.

«In verità.» Clayton dilata le narici e si immobilizza. «Soprattutto lei la pensa così.»

Roman allarga le braccia, come per occupare più spazio possibile del divano su cui è adagiato.

«Non ti ho invitato qui esclusivamente per chiacchierare e offrirti da bere Mackenzie.»

La vergogna mi spinge a drizzare la schiena, e una sudicia intuizione si fa strada nella mia mente con lentezza.

«Vorrei che tu.», scandisce Roman, indicandomi vagamente con l'indice. «Intrattenessi un po' la mia ragazza, mentre io finisco il Black Russian. Fate pure con calma. Ho intenzione di godermi ogni sorso prima di unirmi a voi.»

Ruoto lentamente la testa verso Clayton, probabilmente con la mascella che nel frattempo mi è colata fino al terreno per lo stupore.

Non posso dire che non me l'aspettavo.

Quando Roman mi ha proposto questa cena era strano, si vedeva.

Tuttavia, mai mi sarei aspettata questo.

Qualsiasi cosa Roman avesse in mente, però, sapevo che Clayton non avrebbe mai dovuto accettare.

Lo avevo avvertito, pur non avendo idea che saremmo finiti in questa sorta di gioco...

E so che potrei interrompere questa specie di gioco quando voglio, senza che Roman se la prenda, ma...

Ma ora sono curiosa.

Fin dove si spingerebbe Clayton Mackenzie?
E fin dove si spinge il mio desiderio di vendicarmi?

Una parte di me freme ardentemente per vederlo crollare.

Clay mi sbircia il collo, il mento, le labbra e poi punta i suoi occhi nei miei.

Il suo sguardo mi colpisce forte, come un dolore fisico.

Avvicina il suo viso al mio.

Piano.

Sento il battito pulsarmi ovunque, nel petto e poi fino al collo.

Avverto ogni singola fragranza del suo profumo maschile.

Dirà sicuramente di no.

Si opporrà.

Giusto?

Gli occhi di Clayton sono morti, ma le sue labbra sono rosse, piene e molto vive...

E quelle stesse labbra accese scivolano lungo il mio lobo, donandomi una sensazione profonda di stordimento.

Le sue parole bruciano come fiamme. «Lo vuoi accontentare, o no?»

«Che?», sussurro inebetita e disorientata.

Mi arrovello per cercare di capire cosa sta succedendo.
Clayton, quindi, accetterebbe?

«Devo spiegartelo io, cos'è che Lancaster vuole vedere?», replica Clay soavemente, pensando che io non abbia capito.

«Il tuo ragazzo soffre di disturbi parafiliaci. Gli piace condividere le donne.», mi spiega Clay sottovoce. «E gli piacerebbe restare a guardare mentre qualcuno si fotte te.»

Ignoro il cuore che mi sta martellando nel petto, e mi concentro sui suoi avambracci bianchi, lievemente lasciati scoperti dal maglioncino.

I muscoli tesi e gonfi, e le vene livide e sporgenti.

«E ciò ti crea qualche problema?», gli domando stuzzicandolo e inclinando la testa di lato, in modo tale che solo lui possa vedere il movimento delle mie labbra.

«A te no?», dice lui, scostandosi dal mio viso, e aggrottando la fronte.

«No.», dico severamente.

Si scrolla nelle spalle. «Allora nemmeno a me.», dice.

«E perché non ti credo?»

«Con le sue donne può fare ciò che vuole.», replica Clay, afferrandomi una coscia, e la punta del suo naso mi sfiora la pelle del viso.

Sento il suo respiro caldo soffiarmi sulla guancia.

«Il fatto, però, è che tu non sei sua.», dice.

È la seconda volta che lo ripete questa sera.

Quante volte gli serve ripetere che non sono di Lancaster affinché queste parole significhino che Clay desidera che io sia sua e sua soltanto?

Non ti illudere, Cassie, perché non solo non lo direbbe mai, ma lui neanche lo pensa.

Clayton è qui per qualcos'altro, non per me: ma devo soltanto scoprire per cosa.

«Alzati.», mi ordina minacciosamente contro l'orecchio. «Alzati, Cassie.»

Faccio come dice, e Clay afferra la giacca di pelle dal divano che si è tolto poco fa, e ora la usa per coprire il mio fondoschiena, per nasconderlo allo sguardo indiscreto di Roman.

Dopodiché ci allontaniamo di qualche passo.

Vorrei far presente a Clayton che Roman ha già ammirato, a lungo e da diverse angolazioni, il mio fondoschiena, e qualche volta l'ho perfino sorpreso nell'intento di studiarlo, ma lascio perdere.

Non è questo il punto.

La mano calda e grande di Clay preme contro la mia schiena, e mi strattona a sé, facendomi voltare, in un modo così forte e violento che percepisco tutti i bollori del suo corpo, anche attraverso i vestiti.

Non ci siamo allontanati di molto, ma se manteniamo un tono di voce basso, Roman non potrà sentirci a questa distanza.

Alterno le mie iridi nelle sue, nere e fosche, di catrame, e per un istante intravedo in lui una scintilla di debolezza.

«Tu lo sapevi?», mi chiede Clay e questa domanda suona come una vaga accusa.

«No!», dico sbirciando nella direzione di Roman, che ci sta osservando con aria inquietante. «E tu lo sapevi?»

«No.», però sorride, sfoderando i canini bianchi e perfetti, e cammina attorno a me, dandomi i brividi.

«Vuoi far vedere a Lancaster come ti sciogli quando sei con me?», domanda.

Mi sposta i capelli, per trovare con le labbra il punto più sensibile del mio collo, e una scarica elettrica potentissima mi attraversa la spina dorsale.

Non mi sta baciando, sta posando le sue labbra morbide e bollenti sulla mia pelle vibrante:

Mi sta provocando, sfregandomi dolcemente, facendomi godere sotto strati e strati di pelle, nel profondo.

Socchiudo gli occhi, e mi godo la sensazione che mi procura il suo assaggiarmi con le labbra.

I miei sensi sono cullati da sensazioni estremamente piacevoli, dove di lui, per un momento, c'è solo il buono.

Gli afferro i capelli corvini e ribelli, mentre mi bacia il collo scoperto.

Tutto da lui mi sarei aspettata fuorché questo.

Non ho mai visto Clayton Mackenzie così accondiscendente, ma mi piace.

Mi ricorda che è fatto di carne, sangue, che non è una macchina creata per distruggermi.

Non c'è nessuna presa in giro sulle sue labbra, nessuna minaccia, nessun fuoco pronto a bruciarmi, se non quello del mio stesso ventre.

Le braccia di Clay si allacciano attorno alla mia vita e le sue labbra raggiungono di nuovo il mio orecchio.

«Sembra che ti piaccia baciare tutto di me.», gli sussurro. «Tranne le mie labbra.»

«Davvero vorresti che ti baciassi di fronte a lui?», mi domanda, stuzzicandomi con i denti la cartilagine del lobo.

Provo una confusione dolce, pungente e dolorosa.

«Forse, è quello che voglio.»

Dalla gola mi sfugge uno strano suono, metà singhiozzo e metà risata, un verso debole e imbarazzante, decisamente patetico.

«Forse un po' pazza, alla fine, lo sono.», aggiungo timidamente.

«Quindi, lo vorresti ricevere così il tuo primo bacio?», domanda deluso.

«Non sarebbe il mio primo bacio.», gli ricordo.

«Quello con lui non conta.», ribatte. «Intendo il primo bacio che ti darei io. E sarebbe diverso.»

«Ma davvero?», provo a schernirlo, a scalfire la sua irriducibile sicurezza., e ovviamente fallisco.

«Non sai quanto.», risponde sulla pelle incandescente del mio collo.

Eppure, non mi bacia.
Neanche ci prova.

A volte sembra sempre così freddo e scostante...

Che comincio sul serio a dubitare che lui mi desideri o che io gli piaccia, anche solo un po' come alle volte sembra.

Mi lascio invadere da un improvviso e forte scompenso.

Mi viene in effetti difficile pensare di essere il centro degli interessi di uno come lui.

«Troppi pochi fatti, Clayton.»

«Non sono io quello che stasera deve prendere l'iniziativa, ma tu... Vuoi scopare con il tuo fidanzatino miliardario? Diglielo.», mormora Clay. «Vuoi scopare con me davanti a lui o con lui? Fallo.»

Fallo?!
È?
Che cosa?
Sono scioccata.

«Fai quello che vuoi, senza scrupoli, senza farti condizionare dagli altri.», dice Clayton. «Per una cazzo di volta in vita tua fatti valere.», mi sussurra.

«Ma devo essere onesto con te su una cosa, nel frattempo che prendi la tua decisione. Lancaster non sarebbe l'unico a guardarci in questo momento.»

Le sue iridi nere si sollevano in direzione dell'orologio appeso al muro.

Seguo il punto indicato dal suo sguardo e noto una luce verde, piccola e luminosa, sulla lancetta delle ore.

«Cosa diamine stai dicendo...?», provo a dire.

«Qualcuno ha installato delle telecamere qui, a sua insaputa.», dice Clayton.

«Chi

«Gli italiani.»

La gente di cui lui, i suoi fratelli e Wellington stavano parlando l'ultima volta...

«E tu come lo sai?»

«Ha importanza, Cassie?», ribatte. «C'è qualcuno che vi spia.»

«E tu sei qui per questo, non è così?»

Ma certo che sì.
Mistero risolto.

Ecco il reale motivo per cui Clayton è qui.

Clayton ha accettato l'invito di Roman solamente per accertarsi di persona che qui dentro ci fossero effettivamente delle telecamere.

Clayton è sempre intorno a me per dei motivi che non mi riguardano affatto.

«Sono qui per avvertirti...», mormora lentamente. «E dirti che molto probabilmente non puoi fidarti di lui.», lancia un'occhiata a Roman.

«COSA?»

«Nella valigetta che abbiamo rubato a Lancaster, abbiamo trovato dei documenti per un progetto residenziale per MidTown a cui lui, assieme agli italiani, sta lavorando. Ciò significa Cassie che Roman è coinvolto. Ciò significa che l'asilo in cui sei stata da piccola, il parco giochi in cui andavi, l'altalena sulla quale ti dondolavi... Tutto quanto, verrà spazzato via.»

Rimango spiazzata.

«Ma vuoi conoscere la parte peggiore?», aggiunge. «Non credo che sia tutto qui, il grande piano degli Italiani. C'è sotto qualcos'altro.»

«E ti servo io?», domando.

«Tu hai a che fare con Lancaster e con la gente che frequenta Cenerentola.
Tu mi riferirai le loro abitudini. Dove vanno e da dove vengono. Le porcherie che fanno di notte, i misfatti che cercano di seppellire di giorno. La misura delle loro scarpe e delle loro mutande. La combinazione delle loro casseforti. Mi riferirai come si fanno il nodo alle cravatte. Qual era il loro giocattolo preferito da bambini. Devo sapere tutto su quelle persone, Cassie. Devo scoprire chi c'è dietro. Dobbiamo fermarli, Cassie.»

Scuoto la testa, senza capire.
Tutto qui ciò che vuole da me?

Un po' mi ero illusa di piacergli.

Noi in fondo, siamo sempre stati dei nemici, e sarà sempre così, sebbene qualcosa nel frattempo sia cambiato e non posso negarlo.

Ho cominciato a provare qualcosa di diverso per lui.

È il mio cuore, però, a essere il mio nemico più grande.

Non mi importa ciò che ha detto, ciò che dirà in futuro:

So che non avrò nemmeno il tempo di sconvolgermi o di arrabbiarmi, quando si tratta di lui.

Qualunque cosa lui faccia o dica.
Qualunque cosa lui provi.

Dov'è il bottone reset, con cui posso tornare a riprendermi la mia vita vuota e inutile, ma senza l'aggravante di un'attrazione così pericolosa e soprattutto non ricambiata?

Se non altro, ora ho capito perché non mi bacia.

Ho capito perché non mi ha baciata in tutte quelle occasioni che ne ha avuto la possibilità: quando eravamo dentro la fontana, e quando era dentro al mio letto.

Clayton non mi vedrà mai come una ragazza da baciare, e non vuole che io mi faccia strane fantasie al riguardo.

Non credo di essere abbastanza bella per lui.
Forse, sono passabile per una sveltina, ma per un bacio...

Se divento come le altre, che in passato gli sono piaciute, forse, potrei attirare la sua attenzione.

Ma io non voglio diventare qualcuna che non sono, soltanto per piacergli.

«Per questo, non mi hai mai baciata Clayton?», dico, con un groppo doloroso alla gola, rimuginando su questa evidenza, gli occhi lucidi.

«Cosa?», chiede.

«Io non ti piaccio.», concludo. «È per via del mio fisico? Non è abbastanza piccolo o esile o sportivo per te?»

Non sarò mai come tutte le altre ragazze, le cheerleader con il fisico perfetto che a scuola frequentava.

«Come puoi anche solo pensarlo.», dice disturbato.

«Allora rispondi a questa domanda.», dico. «Sei qui solo per dirmi delle telecamere?»

Si acciglia. «Sono qui, Cassie, per dirti che sono un egoista, un assassino e un manipolatore e...»

Ho gli occhi leggermente lucidi e Clayton se ne accorge.

Le sue labbra, infatti mi sfiorano le guance e le sue ciglia mi solleticano gli zigomi.

Addolcisce il tono di voce.

«Fai bene a non fidarti di me.», dice. «Ma lotterò con tutte le forze che ho per proteggerti da loro, questa è una promessa.»

Deglutisco, senza più trovare molto ossigeno intorno a me.

«E quando mi hai chiesto di aiutarti, era solo perché ti servo anche questa volta?», sussurro.

«No, Cassie. Ti sto chiedendo di aiutarmi perché credo che tu possa farlo.», dice e le sue braccia ancora allacciate alla mia vita, mi strattonano forte.

«Lo farò.», dico. «Ma solo a patto che a Roman non capiterà nulla di male. E me ne accerterò di persona, questa volta. È chiaro che di te, invece, io non mi possa fidare.»

«Cassie.», ribatte Clay con una punta di stupore nella voce. «Roman è malato, lo vedi anche tu. Sarebbe disposto a condividerti con me, pur considerandoti sua. Se tu fossi mia Cassie, io non ti condividerei mai. È davvero lui quello che vuoi proteggere?»

«Non è malato, Clayton, lui... Si sente semplicemente solo. Cosa che, più di tutti, tu dovresti capire.»

Rimane zitto per un po'.

«Okay. Proteggi pure chi ti pare.», dice arrendevole.

Il suo mento dopodiché si poggia sui miei capelli e riesco a udire il battito un po' accelerato del suo cuore.

«Il tuo fisico, per la cronaca, non ha niente che non va, Cassie.», dice.

Arrossisco, mio malgrado.

«Non sarò mai fragile come un fiore, non sarò mai come tutte le altre ragazze.», borbotto.

«No, infatti.», ribatte con veemenza e mi fa voltare, per guardarlo.

Mi afferra i capelli e mi piega il collo, di lato, di nuovo, ma questa volta con rabbia, facendomi gemere.

«Tu non sei un fiore.», rimarca contro il mio orecchio. «Tu sei un oceano, una tempesta che infuria. Sei una carica che parte di corsa all'assalto. Sei l'esplosione di una supernova. Sei un'invasione inarrestabile. Tu Cassie...»

Mi mordo l'angolo della bocca, in preda a un sacco di emozioni che so non dovrei provare.
Eppure, le provo.
E intensamente.

«Tu Cassie...», dice, ma poi si ferma, perché il mio sguardo è scattato nella direzione di Roman, che ha quasi finito il suo bicchiere.

Clay pensa e sembra riformulare del tutto la frase.

«Vuoi davvero usarmi per scopare con lui?», domanda aggrottando la fronte, e avverto una punta di delusione nella sua voce.

«Tu non ti faresti usare così.», gli ricordo. «Tu non...»

«Non mi faccio mai usare da nessuno.», conclude Clayton al mio posto. «Ma forse potrei cominciare a farlo, partendo da te. Potrei farmi usare da te, se è quello che vuoi.»

"Se è quello che vuoi."

Clayton sa che ha detto qualcosa di molto provocatorio e studia la mia reazione.

«È quello che voglio.», annuisco.

«Okay Cassie. Allora avrai il mio cazzo. Usalo pure quando vuoi, usalo pure quanto vuoi.», mi accarezza la guancia con un dito.

Cioè, mi sta dicendo che posso avere la sua intimità nonostante finora mi abbia negato le sue labbra?
È così che funzione per Clayton?
Non so se mi piace...

Non so se è quello che voglio davvero.

Ho iniziato questo gioco perché credevo che Clayton non sarebbe mai andato fino in fondo, ma evidentemente, ho fatto la scommessa sbagliata.

E sembra troppo tardi ora per tirarsi indietro.

Soprattutto ora che Roman ci sta raggiungendo.

Avanza verso di noi e io mi ritrovo schiacciata tra Clayton e Roman.

«Sei bellissima.», dice Roman e mi bacia il collo, come prima stava facendo Clayton.

Mentre invece Clayton mi guarda incessante.

Che ha in mente?

Con una strana espressione... Clay impugna la zip che si trova sulla scollatura del mio abito e poi respira avido nel mio orecchio: «Ci penso giorno e notte. Giorno e notte. In continuazione.», dice lentamente. «Ed è una tortura.»

Ma la sua voce è stranamente impersonale e ruvida.

Mi sento pulsare tra le gambe, mi sento sempre più bagnata e pronta.

Ma che dico...

So di non essere pronta a tutto questo, eppure

Non posso tirarmi indietro così, non posso...
Non devo essere io a dire di no.

Clayton

Non sarebbe la prima volta che mi capita una situazione del genere.

Ma questa è differente.

Questa volta...Fa male vedere un angioletto farsi corrompere così.

Provo a stamparmi in faccia un'espressione neutra.

Questo gioco si è spinto troppo oltre. 

Roman ha i capelli scombinati, le labbra rosse e gonfie, il respiro corto.

Ci siamo scambiati frecciatine velate per tutta la sera.

Mi piace intimidirlo? Sì.
Questo fa di me una brutta persona? Probabile.
Me ne frega qualcosa? Neanche lontanamente

Le mie labbra sono posate sull'orecchio di Cassie e le mormoro: «Ci penso giorno e notte. Giorno e notte. In continuazione.Ed è una tortura.»

Aspetto che Cassie mi dica di fermarmi, quando afferro la sua zip.
Ma non lo fa.

«Vuoi farlo davvero?», mi chiede e la sua voce è candida come nei miei incubi.

La sua voce candida è dolorosa, come se lei mi stesse prendendo a morsi.

«Sì.»

«Perché?»

«Perché lo vuoi tu.» Le mie dita percorrono le sue clavicole e la mia mano scivola lungo il suo vestito per coprire a coppa il suo seno, mentre la sua zip piano piano scende lentamente.

Da quando mi è concesso...
Immagino il suo seno abbondante e sodo, perfetto contro il mio petto.

Immagino di continuo il suo corpo per provare a riempire il vuoto che sento.

E lei per riempire il suo vuoto si lascerebbe davvero spogliare da due ragazzi che bramano il suo corpo?

L'idea mi fa bruciare il cuore.
Mi fa ammattire.
Ma non posso fermarla.

Cassie mi sta punendo perché non l'ho ancora baciata.

E se non l'ho ancora baciata è perché per la prima volta in vita mia mi sono cominciato a fare degli scrupoli.

Lei non ti appartiene, Clayton.
E tu non appartieni a lei.

Non devi comportarti come se fosse il contrario.

Tu non appartieni a nessuno.
Sarebbe come mettersi le manette.

Un giorno, le ho detto che lei era fatta apposta per rovinarmi.
E ne sono convinto, fin dalla prima volta che l'ho vista.

Ma stasera...

Penso proprio che lei non solo sia fatta apposta per rovinarmi, ma che anzi lei voglia la mia rovina.
Con tutta sé stessa.

«Clayton.», dice Cassie. «Perciò... tu lo faresti?»

«Sì.», dico con un brivido di dolore, piacere e disgusto scorrere lungo la mia colonna vertebrale.

«Bene.», dice lei e si passa una mano sulla fronte e sorride.

«Ho un attacco di emicrania.», annuncia facendo risalire la zip sul collo. «Devo andare a dormire, ma se vi va voi due continuate...»

Roman farfuglia qualcosa che non raccolgo.

E poi Cassie mi guarda, mentre si allontana.

Rimango a fissarla per qualche secondo senza capire, ma poi intuisco al volo.

È chiaro che io la conosca poco, ma ogni volta che mi frega mi sembra di conoscerla sempre meno.

Non ha mai voluto.

Ha fatto tutto questo solo per dimostrarmi che poteva.
Che poteva avermi come voleva lei.

Ha fatto tutto questo solo per il piacere di vedermi crollare.

Cenerentola pensa di avermi fregato, e ora mi guarda con quegli occhi invitanti che ricordano un po' il cielo prima che piove.

Vuoi davvero giocare con me?
Allora facciamolo.
Giochiamo Cenerentola e alla fine vediamo chi vince.
Vediamo chi dei due si farà male davvero.

Arya

Ryan apre la porta del mio bar, ed emerge dall'oscurità, che gli modella gli spigoli inconfondibili del suo volto. 

Sembra il fantasma di sé stesso.

Sono giorni che non lo vedevo passare da queste parti, e la sua sola entrata mi toglie il respiro.

Indossa dei jeans blu scuro sporchi, e una maglietta grigio ardesia.

I suoi occhi sono quasi del tutto nascosti dalle ciglia spesse.

Ma stanotte gli occhi di Ryan sono di un verde luminoso come lo smeraldo che catturano la poca luce proveniente dalle lampade sopra i divanetti, e i capelli castano scuro gli ricadono folti e lucenti sulla fronte.

il silenzio stoico di Ryan non è scomparso, se lo porta dietro anche ora.

Ha del sangue incrostato sulle mani, sotto le dita.

Il mio cuore sussulta, come succede ogni volta che lo guardo... Come succede ogni volta che entra qui dentro di soppiatto.

Una delle ultime volte che ho avuto l'occasione di parlargli, mi ha fatto una promessa, dopo che io gli avevo confessato del debito di 30 mila dollari di mio padre con la banca:

«Arya, se io trovo quei soldi potrebbe non piacerti come lo faccio.»

Credo di non poterlo mai salvare dalla vita a cui è condannato.

E ora che adesso è qui, ora che mi guarda minuziosamente con un'ombra cupa sul viso, non posso fare altro che tormentarmi e chiedermi...

«Hai fatto qualcosa di orribile, non è vero, Ryan?», sospiro, incamminandomi verso di lui, incapace di trattenere il tremore, e mi aggrappo a lui pur di non cadere.

Toccarlo mi da sensazioni contrastanti.

«Nulla che non abbia già fatto in passato.», mi rassicura lui, ma la sua voce roca e misteriosa mi fa arrestare di colpo.

Quando sono vicino a lui mi sento meglio e peggio, contemporaneamente.

Ogni cosa dell'aspetto di Ryan mi ricorda il destino terribile a cui è condannato. 

Noto delle chiazze rosse sui suoi avambracci scoperti.

Una sensazione di malessere serpeggia dentro di me.

«O mio dio, hai del sangue addosso!», grido.

«Sì.», dice Ryan, stringendo le nocche. «Ma non è il mio.»

Be'...
Mi fa sentire un po' meglio, lo ammetto, ma non poi così tanto.

«Non avrei mai dovuto chiederti di...», pronuncio.

«Arya.», mormora lui, massaggiandomi gli zigomi con i polpastrelli. «Va tutto bene. Te lo prometto. Sono riuscito a finire il lavoro. E, come vedi, ne sono uscito illeso. Non c'è nulla di cui preoccuparsi.»

«Spero solo che questa volta sia davvero finita.», gli dico e lui fa un'espressione strana; mi mozzico l'estremità del labbro inferiore. «Vuoi farti una doccia qui?»

«No. Grazie. Devo andare. Avrai i tuoi soldi... e il bar è salvo.», dice Ryan, facendo scivolare le dita lungo la mia guancia, come una promessa silenziosa. «Andrò a prendere i 30mila dollari stasera e te li lascerò nella buca delle lettere.»

«Da chi andrai a prenderli?», gli domando, con il cuore che scoppia solo al pensiero che se ne sta andando via... di nuovo.

Si passa una mano in faccia, in segno di ritrosia a soffermarsi su quest'argomento.
È chiaro che non voglia rispondere a questa domanda...

Il suo petto aderisce al mio e mi fa indietreggiare di vari passi, fintanto che non arrivo ai divanetti.

Deglutisco a fatica, con il volto di Ryan così vicino al mio.
Ho dei déjà-vu.

Quello che ho alle spalle, è il divanetto su cui ci siamo baciati, su cui lui disegna sempre quando viene qui...

dopodiché poggia le mani contro il muro e mi respira addosso, con un rancore feroce nelle iridi luminose.

Tutta l'energia che emanano i suoi occhi mi fa pensare a quando eravamo sdraiati di sopra nel mio letto

Al modo in cui lui mi afferrava le cosce

Al modo in cui io mi stavo aprendo per lui e del violento imbarazzo mi imporpora le guance.

Non ho fatto altro che interrogarmi disperatamente attorno alla domanda: esisterà mai un noi?

«Non avresti dovuto, Arya...», ringhia con voce roca. «Assecondare i ricatti di Wellington la sera di Halloween. Dovevi parlarmene. Perché non l'hai fatto? Non ti fidi di me?»

«Certo, che mi fido di te!», mi affretto a dire. 

«Avrei trovato il modo di salvare tuo padre e rompere comunque il collo a quel coglione di Parker, o avevi qualche dubbio?»

«Con Wellington volevo fare a modo mio Ryan e alla fine, l'ho steso per terra.», dico, e lui fa un mezzo sorrisetto.

«Sì, con un maledetto piede di porco.», dice scavando nei ricordi. «Quando l'ho ritrovato svenuto in casa sua, non avrei mai immaginato che fosse opera tua...»

Rido piano, ma comunque rido. Non riesco a impedirmelo. «Ti conviene non sottovalutarmi, Ryan.»

I suoi occhi perlustrano il mio corpo, sulle mie cosce fasciate dai jeans, che serro immediatamente tra di loro. Guardo Ryan con espressione indifesa.

«Non l'ho mai fatto in vita mia Arya.», replica asciutto e so che non sta mentendo. Lui più di tutti ha sempre creduto in me e nelle mie potenzialità.

«Ad ogni modo, è stato divertente sai?», gli confesso. «Mi ha fatto sentire... potente. È stata una specie di iniziazione.»

«Un'iniziazione per cosa?»

«Per entrare a far parte dei Dead Rabbits.», rispondo. «Ufficialmente.»

Le sue labbra si chiudono come un forziere, e i suoi occhi si fanno torbidi come il petrolio. Non ci vuole un genio per indovinare che non è affatto d'accordo all'idea.

«Ci tieni proprio tanto a cacciarti nei guai.», osserva.

Il suo viso si avvicina al mio, e io alzo il mento per fronteggiarlo.

Voglio che Ryan veda il luccichio che ho negli occhi, la smania veemente di oltrepassare tutti i limiti che mi sono imposta fino a oggi, il potente desiderio di fare, per una volta, le scelte sbagliate.

«Sì.», ammetto. «Ma solo insieme a te, Ryan.»

«Arya.», mi rimprovera dolcemente.

«Il controllo che ho su me stessa mi sembra sempre così... fiacco.», gli spiego. «È come provare a raggiungere qualcosa che è sempre un soffio più distante di dove deve essere. Mi succede tutte le volte, tranne quando... Quando sono stata una di voi, e in quel periodo Ryan mi sembrava di avere il controllo sulla mia vita.»

«I Dead Rabbits truffano, rubano, ingannano, compiono azioni illegali di qualunque tipo.», mi ravvisa. «Uccidono.», il suo indice traccia il profilo della mia mandibola. «E tu non uccideresti mai nessuno, Leonessa. O devo forse ricordartelo?»

Avvicino le mie labbra alle sue, con un sussurro flebile e provocatore gli dico: «Ma non sai quante volte immagino di uccidere, Diamante...»

«Senza dubbio un buon inizio.», dice fremente contro le mie labbra e un caldo innaturale mi sconvolge lo stomaco.

Ho una voglia incontrollabile di baciarlo.

Accosto le mie labbra alle sue, così da sfiorarle. E dal fondo della gola di Ryan esce un piccolo, doloroso, gemito.

«Però hai ragione. Non voglio uccidere la gente Ryan.», dico.

«Ed è un'ottima cosa, Arya, davvero.», replica, e le sue dita tracciano il profilo del mio fianco dolcemente.

«Finché la gente non vuole uccidere te.», aggiunge e la sua mano intrappola in una morsa d'acciaio il mio fondoschiena, facendomi trasalire e gemere.

«A quel punto se c'è da scegliere tra la propria vita, o quella dell'avversario...», sussurra contro le mie labbra roventi. «Tu quale vita sceglieresti?»

Gli avvolgo le braccia attorno al collo, affondando le mani nei suoi capelli morbidi e folti. «Tu vuoi portarmi all'inferno.», lo accuso.

«Mmm.», con una spinta irruenta trascina la mia intimità verso la sua. «Se io dovessi andare all'inferno Arya, sono piuttosto sicuro che saresti tu a trascinarmici.»

Le sue labbra avvolte di desiderio si imprimono sulle mie.

La sua lingua non perde tempo a invadermi la bocca, e i suoi denti si scontrano con i miei a causa della foga di cui siamo entrambi vittime.

La sua mano, serrata sul mio sedere, cerca di premermi contro il suo corpo.

La mia gola emette mugolii indistinti, mentre assaporo Ryan ancora, e ancora.

So che abbiamo i minuti contati, so che anche questa sera lui non potrà restare...

E so che nemmeno i miei baci potranno trattenerlo.

«Non dovrai mai.», ringhia contro le mie labbra, con un'ondata di malinconia improvvisa. «Mai preoccuparti per la tua vita, Arya. Avrai la mia protezione. Sono pronto a salvarti anche con il mio stesso corpo, se sarà necessario. Ma...», si tasta la cintura, sotto la schiena, e sfila una pistola dai boxer.

Me la porge, e io strabuzzo gli occhi.

È la stessa pistola che tempo fa mi diede Ryan, incaricandomi di nasconderla ma di tenerla anche a portata di mano, e che doveva trovarsi sotto al mio bar, ma che poi invece era misteriosamente sparita.

«Questa apparteneva a te.», dice. «E voglio che torni a te.»

La afferro e, anche se un'arma mi farebbe sentire in effetti più al sicuro, al bagliore di una canna di pistola ben oliata sussulto.

«Questo vuol dire.», deglutisco a fatica. «Che la guerra con i Lombardo e con gli italiani non è finita.»

«Se mai un giorno Tony Lombardo dovesse venire a scoprire la verità...», proferisce Ryan. «Sarà a quel punto, e solo a quel punto, che la vera guerra comincerà.»

Si allontana con qualche falcata e mi sorride debolmente.
È già arrivato il momento di andarsene per lui.

Ogni volta che lui esce da questo bar è come se mi stessero strappando un po' il cuore.

«Prenditi cura di te, Ryan.», mormoro sorridendogli a mia volta, anche se lui non può più vedermi.

Ryan
(Un'ora dopo)

«Hai picchiato i miei uomini, Ryan.», dice lentamente Tony, seduto sulla sua scrivania, con la gamba zoppa che penzola per aria.

Il soffitto basso e incurvato dell'appartamento mi fa provare un principio di claustrofobia.

«Ci hanno rinchiuso per ore dentro a un cazzo di garage!», spiego.

«Protocollo.»

«Protocollo?», ripeto, sperando sia uno scherzo. «Mi hai detto che il mio compito sarebbe stato quello di guidare un furgone e basta.»

Tony Lombardo sospira. «E così è stato!», dice. «Non avresti dovuto fare altro.»

«Senti, ho fatto il mio lavoro, perciò dovrai pagarmi.», dico, pragmatico.

«Se tu e la tua banda di smidollati non aveste complicato le cose, a quest'ora il mio carico di armi sarebbe arrivato a destinazione.»

«Non è un mio problema se avete avuto degli incidenti di percorso. Voglio i miei 30mila dollari.»

«Piccolo mascalzone.», digrigna i denti Tony. «Tu e i tuoi fratelli giocate a fare i criminali, e mi avete fatto perdere perdere una consegna importante, e poi vieni a spillarmi i soldi in casa mia come una specie di ladro.»

È a questo punto che la situazione mi è chiara.
Tony Lombardo non mi pagherà un centesimo.

Ho solo perso il mio tempo e ho messo in pericolo la mia famiglia inutilmente.
Sbatto le palpebre, e inspiro più aria possibile.

Dovrò tornare da lei a mani vuote.
Ma non posso tornare da lei a mani vuote.

Una fitta allo stomaco mi colpisce, inaspettata, e tuttavia anche se mi reggo in piedi a stento, cerco di mantenere la schiena dritta.

Ho tolto ad Arya troppe cose, e non posso toglierle anche questa.
Proprio non posso.

Sono il suo soldato, e non posso fallire.

È sin troppo facile immaginarsi di inginocchiarmi ai suoi piedi come un penitente, permettere alle mie mani di risalire lungo le curve bianche dei suoi polpacci, spingere le mie labbra contro l'interno delle sue cosce calde.

So quanto potrei farla sentire bene.
So che potrei renderla felice.

«Non credo che me ne andrò da qui senza i miei soldi.», dico.

«C'è qualcos'altro Ryan che potresti fare per me però...», dice Tony con voce vellutata e i suoi occhi scintillano di avidità.

«E sarebbe?»

«Ho un incarico. Vuoi saperne di più?»

«D'accordo, Tony. Ma questa volta raddoppiamo la posta in gioco.», ribatto. «60mila dollari.»

Ghigna. «Affare fatto.»






Se vi va di parlare del capitolo vi aspetto su ig: scarlettxstories🤍
A presto🧚‍♀️

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