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By zaystories_

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! TW: violenza, abuso sessuale, morte/omicidio, dipendenze, disturbi psichici, aborto, autolesionismo. «Non m... More

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Informazioni e TW
Playlist
Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
EXTRA - La lettera di Nate Cross
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30 (pt. I)
Capitolo 30 (pt. II)
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
EXTRA - Ava
Capitolo 37
Capitolo 38
EXTRA - Nora (pt. I)
EXTRA - Nora (pt. II)
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
EXTRA - Lewis
Capitolo 44
EXTRA - Dom
Capitolo 45
Capitolo 46
EXTRA - Lydia
Capitolo 47
Epilogo
Ringraziamenti
Tematiche trattate
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Capitolo 15

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By zaystories_

Blake

Il mese di giugno giunse velocemente ai suoi ultimi giorni.

Con le mani strette attorno al volante, ero ancora concentrato su quanto accaduto con Rylee la sera in cui aveva fatto visita al luna park. Un pensiero di cui non riuscivo a liberarmi, onnipresente nella mia mente, come se qualcuno l'avesse incorniciato e appeso a un chiodo irremovibile piantato nelle pareti del mio cervello. La mia voce bassa le si era insinuata nelle orecchie; le indicazioni che avevo impartito le avevano sfiorato i timpani e avevano tentato di calmarla. Le mani strette intorno alle sue, per tenere saldamente l'impugnatura della pistola e placare i suoi tremori, l'avevano carezzata nel modo più delicato possibile. Perché io non esageravo mai nel toccare una donna, nemmeno nei gesti più puri e ingenui.

Il motivo per cui stesse tremolando in quella maniera, tuttavia, io proprio non lo comprendevo. Ma mi aveva detto che non si sarebbe tirata indietro ed era stata in grado di dimostrarmelo.

Forse ero ancora impigliato a quel pensiero perché, sotto sotto, volevo scavare nei suoi segreti e scoprire il motivo di tanta incertezza nei movimenti che aveva compiuto, la causa della sua paura che aleggiava nell'aria e che lei aveva nascosto con un'invidiabile abilità. D'altronde, ero sempre stato curioso.

Che cosa celi dietro la tua maschera di sicurezza, Rylee?

Smisi di ossessionarmi con quella storia quando parcheggiai di fronte al poligono. Tirai il freno a mano, e Ava mi precedette nel fiondarsi fuori dal pick-up.

Quella mattina eravamo tornati in quel luogo per controllare che tutto fosse al suo posto. Occupati allo stand del luna park, non ci mettevamo piede da tempo e solo due banali certezze mi erano balenate nella testa, prima di arrivarci: l'accumulo di posta nella cassetta delle lettere e gli strati di polvere che campeggiavano sui mobili.

Scesi dal veicolo e, prima di infilare la porta già aperta da mia sorella, ritirai tutto ciò che avevo ricevuto. Non vi era niente di nuovo: bollette da pagare e annunci pubblicitari da gettare nella spazzatura. Ormai, il Mitchell Shooting Range era finito nel dimenticatoio; gli abitanti di Worcester erano troppo focalizzati sulla storia che gli orbitava intorno, per tornarci in tutta serenità.

La pioggia repentina di fine mese mi cadeva sui capelli; le goccioline, una dopo l'altra, scivolavano sulle ciocche e si infrangevano sul suolo, venendo assorbite dalla ghiaia ai miei piedi.

Quando finalmente entrai, trovai Ava seduta su una delle poltroncine davanti alla scrivania. Abbandonai la posta sulla superficie impolverata di quest'ultima e guardai mia sorella. Le gambe strette al petto e il mento poggiato sulle ginocchia la facevano sembrare più piccola della sua età, quasi fosse rimasta bambina.

In mano reggeva una delle foto incorniciate che conservavo nell'ufficio, oggetto della sua contemplazione. Riuscivo a riconoscerla anche da lontano: era una fotografia scattata il giorno di Natale, quando io ricevetti il primo fucile per bambini e sorridevo accanto a mio padre, e lei indossava il suo primo paio di pattini a rotelle, abbracciando mamma.

I ricordi dei momenti trascorsi insieme ai miei genitori erano sbiaditi, quasi fossi diventato cieco durante gli ultimi anni. Vedevo dei sorrisi lontani, sfocati come una ripresa di bassa qualità; abbracci sinceri inaspettati e parole di conforto sussurrate prima della buonanotte.

Non incontravo mio padre da parecchio tempo, ormai. Non avevo idea di come stesse sfruttando i pochi minuti di aria fresca che gli venivano concessi, né sapevo se la sua lucidità stesse degenerando o meno. Ero certo che dietro le sbarre, nel grigiore di una cella sporca e fredda, la sua razionalità non sarebbe durata a lungo. Le persone, anche quelle più libere, avevano sempre camminato sul sottile ciglio che divideva normalità e follia. Me compreso.

Sospirai, interrompendo la corrente di pensieri, ma mia sorella non se ne accorse. Metabolizzò la mia presenza e abbandonò la foto sulla scrivania, allontanandola dalla sua attenzione.

«È quasi il quattro luglio» disse all'improvviso. Un sorriso le si formò suo volto, illuminando le sue iridi verdi. «Non vedo l'ora».

Sapevo benissimo il perché di quell'affermazione. Io e Ava avevamo sempre amato quella serata di mezza estate, dove ci sentivamo davvero parte del Paese perché tutti, intorno a noi, esprimevano il loro profondo patriottismo tra musica e cori; la contentezza collettiva ci influenzava non poco. I fuochi d'artificio rossi, bianchi e blu che esplodevano sul manto scuro della notte ci ammaliavano e facevano brillare i nostri occhi curiosi di bambini ingenui.

«Dovremo lavorare» replicai, sorridendo. Sapevo che la mia puntigliosità era fonte di seccatura, per lei.

Trasferii la posta di mano in mano e la disposi secondo il solito ordine sulla scrivania: bollette da un lato, pubblicità dall'altro. Ava studiava ogni mio movimento come una videocamera di sorveglianza.

«Blake, sei sempre così...»

«Dio, no, no, no!» tuonai, interrompendola, e scagliai un pezzo di carta dritto dinanzi a me.

La busta era di un bianco immacolato e riportava soltanto l'indirizzo dell'ufficio postale e del destinatario, chiusa da un elegante sigillo nero di ceralacca. Presentava un angolo stropicciato a causa della mia forte presa.

Gli occhi di Ava si spensero, sgranati e colmi di preoccupazione. Fissava quella lettera come se avesse voluto scappare da un momento all'altro, ma, al contempo, rimaneva incollata alla poltroncina. E io, che avevo sfiorato un'altra volta quella carta maledetta, stavo iniziando a sentirmi sporco dentro. Rovinato da quel corsivo elegante, che mi seguiva fin troppo fedelmente.

La mia mano tornò sulla busta nel momento in cui Ava compì un gesto identico. Gliela strappai via dalle mani, brusco come sapevo essere solo quando ero in preda all'ansia, e lei mi guardò: un connubio di rabbia e paura sostituiva le sfumature scure delle sue iridi di smeraldo.

«Non ti metterai in mezzo, Ava» dichiarai autoritario. «Chiunque sia, sta cercando me. Non devi farti carico di problemi che non ti riguardano».

Piantando i piedi per terra, si alzò dalla poltroncina. «Lo faccio, invece, perché quando hai tenuto nascosta una situazione del genere, io sono venuta a saperlo troppo tardi. Eri già in ospedale, cazzo» si inalberò.

Assunse una posa rigida, con le mani inchiodate sui fianchi e l'attenzione puntata verso di me, che mi trafiggeva come mille coltelli intinti nel veleno. Iniziò a compiere passi lenti nella mia direzione, aggirando la scrivania per raggiungermi. Il silenzio aleggiava tra noi, interrotto solo dalla pioggia che scrosciava all'esterno.

Non le diedi una risposta. Guardai la busta di fronte a me, che stringevo tra le dita tremanti. Il sigillo emise uno schiocco sordo quando si separò dalla carta, e aprii l'aletta con una lentezza tale da farlo sembrare un movimento infinito. Sfilai la lettera contenuta al suo interno, poi la spiegai per decifrare, ancora una volta, quelle parole.

"Forse, finora, ti è sembrato un gioco.
Ma sai meglio di me che, laddove c'entrano i soldi, nessuno gioca più.
Voglio quello che mi spetta.
 S
PS: se avrai il coraggio di sottrarmi ciò che è mio di dovere,
potrei ripagarti con la stessa moneta".

Non mi accorsi di essere vittima di un vero e proprio tremore fin quando non vidi il modo in cui la carta leggera si muoveva, seguendo i movimenti del mio corpo. Ero così scosso da farmi scivolare il foglio dalle dita. Silenzioso, si appoggiò al suolo, riempiendo il quadrato di pavimento vuoto tra me e Ava.

Mi sembrò di essere distante dal mondo, colato a picco in un passato che riapriva tutte le ferite ‒ le stesse che, nelle mie illusioni più confortanti, si erano ormai rimarginate. Sentii il cuore stretto in una morsa dolorosa, trafitto e graffiato dagli artigli appuntiti di una mano crudele. Erano anni che non avevo quella sensazione di bruciore al petto.

Erano anni che non ero prigioniero di quello strazio.

Il panico mi si inerpicò nella mente, e feci appello all'unica regola che avevo sempre cercato di seguire: mantenere il controllo. Tremavo, sì, ma all'inizio, davanti allo sguardo attento di mia sorella, mi imposi di rimanere impassibile.

Stavo venendo rapito da una voce che mi ero augurato di non ascoltare più e che mi aveva rovinato fino a farmi rischiare la vita. "Voglio quello che mi spetta", diceva, "perché mi prendo cura delle cose che amo, e tu dovresti fare lo stesso con me".

Fallendo nella mia missione, mi nascosi il viso con le mani che non accennavano a stare ferme. Accadde come per istinto, una difesa attuata ma non ponderata. Non volli più udire neanche un rumore, nemmeno il più debole dei suoni; sentivo solo il ticchettio delle mie lacrime che scendevano copiose lungo le mie guance e colpivano le assi di legno del pavimento. Ero immobile e freddo come la pietra, spaventato da me stesso e da ciò che stava tornando da me con la stessa forza di un'onda anomala.

Pensavo che fosse tutto giunto al termine...

«Blake...» Sentii il sussurro flebile di mia sorella, che a passi lenti si avvicinò a me. Le assi del pavimento scricchiolarono sotto i suoi piedi. Quando mi fu accanto, sfiorò le mie braccia e mi afferrò i polsi con una delicatezza di cui solo lei era capace. Il brivido scaturito dai suoi polpastrelli freddi si propagò su per entrambe le braccia scoperte.

Lei sapeva come comportarsi quando ero in preda al panico. Ma, nonostante il suo tentativo di smuovermi, io non alzai il capo: quella posizione era, per me, uno scudo. I muscoli si erano irrigiditi, congelati nel freddo di quelle parole in inchiostro nero.

Non volevo che mia sorella vedesse le lacrime, che si facesse carico del mio fardello. Tuttavia, non durò a lungo. Con i suoi movimenti calmi abbassò le mie braccia e fui scoperto, vulnerabile agli occhi dell'universo, e con i suoi che mi scrutavano. Mi aveva spogliato della mia armatura e detestavo il fatto che per lei fosse così dannatamente semplice.

«Blake» ripeté, «cosa c'è scritto...?»

Mi lasciò uno dei polsi e le sue dita morbide mi sfiorarono la guancia; il suo pollice spazzò via una lacrima che rivolava flemmatica sulla mia pelle, tagliente come una lama. In quel momento, abbandonato al pianto e alla debolezza, pregai solo di non iniziare a singhiozzare.

Non era mia intenzione confessarle che avevo collegato i puntini, che alcune domande avevano avuto delle risposte. Ero scosso a tal punto da rinchiudermi nel silenzio, ma il suo sguardo attento era una calamita per le informazioni che possedevo. Volente o nolente, Ava sarebbe venuta a sapere quanto desiderava senza troppi sforzi.

Era mia sorella, nascondermi da lei sarebbe stato l'equivalente di scappare per poi trovare rifugio dietro un vetro trasparente.

«La S...» mormorai, la voce spezzata. «La S sta per S-Sanchez...»

Nonostante non la stessi guardando negli occhi, vidi ogni parte del suo corpo irrigidirsi nell'udire quel cognome. Le sue dita si strinsero più forte attorno al polso che ancora imprigionava, tanto da farle percepire le ossa. Potei immaginarla mentre mi scrutava scioccata, con l'inquietudine riversa nel verde delle sue iridi, ma non ebbi la forza di confermare quell'ipotesi.

«È N-N...» Non riuscii a pronunciare il suo nome. In opposizione a ogni mio sforzo, quelle quattro lettere si bloccarono nel nodo stretto delle mie corde vocali, incastrate nelle crepe della mia voce.

Un impeto di rabbia cieca e ardente mi risalì la gola. Si arrampicò come una creatura malvagia, con il solo intento di farmi del male, e non potei che darle ascolto. Divincolandomi dalla presa di Ava con un movimento celere, scagliai un pugno alla parete sottile, che si venò al colpo. Le lacrime aumentarono e, in quella veste d'ira, sperai solo di dissolvermi nel nulla e morire prima di concepire la realtà dei fatti.

«È Nora...» sussurrai, la voce spezzata da un singhiozzo. Le mie mani, di cui una con le nocche arrossate, si infilarono fra i miei capelli e li tirarono forte per la frustrazione, mentre compivo piccoli passi avanti e indietro per l'ufficio.

Ero privo di forze, svuotato di tutta la volontà di reagire. Ogni piccolo traguardo che avevo raggiunto durante quegli anni, per il semplice fine di stare di nuovo bene, era ora polvere che giaceva ai miei piedi.

Immobile in un angolo della stanza, l'espressione di mia sorella racchiudeva troppe emozioni contrastanti per poterla decifrare. Nascondeva scintille di premurosità, mascherandole con paura e preoccupazione, e al contempo metteva in ordine le idee per potermi rispondere.

Non riuscivo a crederci. Con tutto quello che era successo anni prima, il ritorno di una persona che era stata così capace di abbindolarmi, manipolarmi e distruggermi mi sembrava una condanna a morte. Per colpa sua, ero diventato un contenitore pieno fino all'orlo di dolore represso e mancata attenzione per sperare che non esplodesse da un momento dell'altro. E se ciò fosse mai successo, la situazione sarebbe diventata ancora più grave. Non perdevo mai il controllo e quello era di gran lunga il momento peggiore per correre il rischio.

«Io l'avevo vista». La confessione repentina di Ava tagliò il silenzio e lo fece crollare a terra come pesanti cocci di un vetro infranto. «L'avevo vista quella sera al Kenmore, e...» Le si spezzò la voce, intrappolata nel nodo intricato delle sue corde vocali. «Non ti ho detto nulla per non farti preoccupare, ma era lei».

«No, no, no...» sussurrai. Il mio sguardo vagava in ogni direzione in cerca di una soluzione al problema, ma nessuna speranza si palesò.

Sentii gli occhi bruciare, iniettati di sangue e inumiditi dallo strato di lacrime che premeva per uscire, come se quelle che avevo già versato non fossero state abbastanza. L'aria era permeata di tensione che mi colava addosso come lava incandescente.

E, all'improvviso, il mio gravoso fardello mi schiacciò a tal punto da spingermi al suolo. Crollai a terra sulle ginocchia, sotto quel peso, sconfitto e deluso da me stesso.

Avevo giurato su mia madre di non perdere il controllo, di non lasciarmi trascinare via da quel turbinio di ansia e angoscia. Avevo provato con ogni mia forza, anche quella più piccola, insignificante e inesistente, di restare a galla evitando di affogare in quel mare assassino. Ma, nonostante tutto il tempo trascorso, ancora non c'era modo di fermarmi prima che il panico si trasformasse in rabbia pericolosa per me e chi decideva di starmi accanto.

I miei palmi si piantarono sul pavimento, in cerca di un appiglio, ma la realtà mi scivolò via. Avevo bisogno di un punto fermo a cui aggrapparmi per non piombare nella paura più dilaniante della mia vita, la medesima che mi aveva chiuso nella sua morsa. E in quel frangente, solo in quell'istante, quella necessità si affiancò all'urgenza che mi aveva schiacciato durante tutti gli anni passati, fino a ridurmi al nulla più totale e a un corpo di cui mi vergognavo.

Quella di bere.

Ava si abbassò alla mia altezza. Era talmente sconvolta da non trovare le parole, e lei era una che non taceva mai. Avrebbe addirittura stilato una lista di consigli, se fosse stato necessario.

Ma quando tutto ciò che avevo vissuto le era scorso davanti agli occhi come la pellicola di un film, si era ritrovata con le labbra cucite e le frasi bloccate fra i grovigli del nodo alla gola.

«Io non ho tutti quei soldi...» La mia voce era ancora limitata a sussurri spezzati e incomprensibili. «Mi perseguiterà, che cosa cazzo devo fare?»

Il suo bracciò mi avvolse, spingendo il mio capo contro il suo petto. Il cuore le martellava forte nella cassa toracica e l'andamento ritmico del suo battito mi stordiva, accrescendo la mia paura. A confortarmi un minimo fu solo il profumo famigliare che emanava. Per un attimo, mi sembrò di essere intrappolato in uno degli abbracci magici della mamma, inebriato dalle note speziate della cannella e da quelle fresche del pino, che mi stringeva a sé accarezzandomi i capelli.

Mia sorella stava compiendo lo stesso, identico gesto.

«Non ne ho idea» rispose incerta. Dalla sua voce, trapelava la rassegnazione.

Tremai sotto il suo tocco dolce ed ebbi la sensazione di sgretolarmi, pezzetto dopo pezzetto, tra le sue braccia calde. Almeno il respiro stava iniziando a regolarizzarsi.

"Dovrei avere questo e altro, Blake. Se non sarai tu a darmelo, me lo prenderò da sola".

Mi aggrappai alla presenza di mia sorella come le ancore di salvezza si incagliavano alle rocce per evitare il naufragio di una fragile barca. In quel momento, lei diventò il mio punto fermo, l'elemento essenziale per rimanere vigile senza farmi rapire dalle voci del passato, che iniettavano terrore nelle mie vene avvelenando la mia linfa vitale.

"Ho speso così tanti soldi per prendermi cura di te..."

«Falla smettere...» pregai Ava nel silenzio del nostro abbraccio.

«Che succede...?» domandò, non capendo.

«La sento...» Per un attimo tornò a mancarmi il fiato. Il cuore accelerò cercando di stare dietro al ritmo dei respiri, e i singhiozzi spezzavano le mie parole in frammenti microscopici. «Continua a dirmi tutto quello che diceva prima di...»

«Sh...» mi interruppe. Non voleva che io riportassi alla luce quell'orrore. Le sue dita viaggiavano lente tra i miei capelli; sentivo il suo mento poggiato sulla mia testa. Io inspiravo il suo profumo ed espiravo nell'irrealizzabile desiderio di calmarmi.

Fu uno di quei momenti in cui la vita sembrava annullarsi. Mi sentii annichilito, portato indietro ai giorni in cui non c'erano incubi e paure a inseguirmi, coccolandomi con cattiveria, ma c'era solo mamma a rimboccarmi le coperte dopo la storia che tutte le sere ci raccontava.

Sanchez.

Il suo nome rimbombava tra le pareti della mia testa come un pensiero ossessivo, e cancellava i bei ricordi di cui volevo nutrirmi. Il petto mi bruciava; era come se un fuoco fosse divampato in ogni punto della costellazione di dolore che portavo sulla pelle. Il mio corpo, ormai, era tutto un segno della sua presenza, che mi distrusse e mi portò a odiarmi, a detestare la mia fragilità e la mia impotenza.

Aveva voluto marchiarmi a fuoco per far sì che la sua figura fosse indelebile nella mia vita.

Mi incolpavo spesso del suo operato. Mi chiedevo assiduamente cosa sarebbe cambiato, se solo avessi reagito. Se mi fossi preoccupato più del male che subivo, e meno di quello che non volevo causare a lei. Invece di fare ciò, però, ero sempre stato attento a non torcerle un solo capello.

«Se dovesse tornare, non le permetterò di ridurti in quello stato ancora una volta, okay?» mi domandò Ava; il quesito retorico mi fece singhiozzare ancora. Fui tradito da un rantolo che risalì dalla gola. «Dovrà passare sul mio cadavere prima di sfiorarti con un solo dito».

Non trovai la forza di replicare, né tantomeno di ringraziarla. Così, nel religioso silenzio di quell'attimo, riprese la parola: «Niente e nessuno può insinuarsi nella tua vita per distruggerla, non se c'è qualcuno a proteggerti».

Mamma mi carezzò la fronte, ravviando i miei capelli ribelli, e mi coccolò con un bacio dolce. Con l'altra mano, nel frattempo, spense la piccola lampada che campeggiava sul mio comodino, accanto al mio lettino.

«Niente e nessuno può insinuarsi nella tua vita per distruggerla, non se c'è qualcuno a proteggerti» sussurrò. Non capivo mai cosa intendesse con certezza, ma amavo la sua voce dolce unita a quelle parole. Erano l'abitudine più bella di cui potevo fare un vanto. «E per te ci sono io», aggiungeva sempre.

«E per te ci sono io» concluse mia sorella.

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