Golden 𝟚

By dyrneromance

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quando la morte mi prenderà per mano con l'altra stringerò te e ti prometto di trovarti in ogni vita - Rupi K... More

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Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 39
Capitolo 40
Epilogo
Extra -
Nuova Storia.

Capitolo 38

172 13 11
By dyrneromance

16 marzo;

Dieci e ventisette del mattino, oggi è martedì e ho la visita medica. Elijah non c'è, è a Londra mentre io sono rimasta qui a Dalmwin così da non fare avanti e indietro per via del lavoro. In segreteria c'è Louisa a sostituirmi, fortunatamente non era così richiesta la mia presenza oggi e il rettore non ha fatto storie.

Tornando a me, tra mezz'ora devo essere al Berkshire Hospital ma l'accelerazione del mio battito non è dovuto a questo. Non gliel'ho detto, non l'avevo programmato e mi è venuto in mente solo qualche minuto fa quando ci sono passata accanto. Qualcosa mi ha detto di farlo, una piccola voce che mi ha spinto fino in bagno e mi ha guidato per tutto il tempo. Sono passati sette minuti, così dice il timer sul mio cellulare e le lineette sullo stick elettronico sono arrivate a quattro.

Per distrarmi finisco di prepararmi; metto un filo di trucco, indosso le scarpe, lavo le tazze nel lavandino e tra una cosa e l'altra controllo il cellulare come minimo cinque volte. Poi il timer si ferma, la suoneria mi avvisa del termine ed io mi precipito in bagno con il cuore in gola.

Il test è nel lavandino, sottosopra, e quasi lo faccio cadere talmente le mie mani sono frenetiche. Lo rigiro, occhi fissi sul risultato e respiro mozzato. Positivo.

«Cosa..» sussurro continuando a fissare e rileggere quella parola. Non può essere, com'è possibile? Mi tremano le gambe, ho bisogno di sedermi e il bordo della vasca è la cosa più vicina a cui aggrapparmi. Non so cosa fare, dire, pensare, non so cosa sto provando. Elijah, come la prenderà Elijah? Bene, probabilmente. Lui un po' lo desidera, no? Il terrore mi invade, il cuore batte così veloce che ho paura che possa scoppiare o fermarsi da un momento all'altro. Un attimo dopo ho il cellulare vicino all'orecchio e sto aspettando che lui mi risponda. Però dopo cinque squilli parte la segreteria telefonica, non m'importa quindi attacco e ci riprovo. Nulla, non risponde.

Provo a richiamarlo più volte, anche mentre sto guidando per l'ospedale e sono in sala d'attesa. Non risponde, so che ha una riunione ma credo che questo sia più urgente. Guardo il cellulare e digito velocemente un messaggio.

Rispondi, è importante.

Aspetto, mentre lo faccio mi sento morire dentro e più volte ho dovuto strizzare gli occhi pur di non scoppiare a piangere davanti a tutti. I due pazienti prima di me sembrano metterci un'eternità, quando il secondo esce dalla stanza e la segretaria chiede chi è il prossimo, guardo il cellulare e mi accorgo che Elijah mi sta richiamando. Tempismo perfetto, ovviamente. Spengo il cellulare e annuisco alla ragazza dietro la scrivania quando mi dice che posso entrare.

Jacques Langford è un uomo sulla cinquantina, forse dell'età di mio padre, dagli occhi grigi e folti capelli bruni estremamente tinti. Mi chiudo la porta alle spalle e mi faccio accogliere dal un suo sorriso quasi rassicurante, mi dice di accomodarmi così mi siedo davanti alla sua scrivania.

«Berry, giusto?» Annuisco guardandolo scrivere su un foglio. «Come mai questa visita?» Chiede ancora, prendo un respiro profondo e poi rispondo.

«Ho avuto una brutta influenza intestinale, febbre e nausea.» Lui annuisce e mi chiede quanto è durata. «Una settimana e cinque giorni, solo che ho notato che nonostante la febbre sia andata via, mi è rimasta la nausea e la spossatezza.»

«Lei è sessualmente attiva?» Mi spiazza un po' come domanda, poi annuisco velocemente e rispondo.

«Ho fatto una test di gravidanza qualche giorno fa, era negativo.» Dico, mi sposto i capelli dal viso e proseguo. «Quello di stamattina era positivo.»

Langford annuisce, scrive qualcos'altro e poi si alza dal posto chiedendomi di stendermi sul lettino. Non mi dice nulla, solo di sbottonare i pantaloni e alzare la maglia fin sotto il seno. Il gel che spalma sul mio ventre è decisamente freddo e mi solletica un po' quando il medico inizia a muovere quell'oggetto sulla mia pelle. Guarda una specie di monito, clicca qualche bottone ed io alterno lo sguardo tra lui e la mia pancia.

«Allora, allora..» inizia di nuovo ed io ho paura di quello che potrebbe dire. «Che test hai fatto?»

«In che senso?»

«Digitale o tradizionale?»

«Digitale.»

«Strano..» commenta continuando a guardare lo schermo e a muovere quel rullino sulla mia pancia. «Solitamente sono molto precisi.»

«Ma sono incinta o no?»

«No, nessuna gravidanza.»

Un respiro di sollievo esce dalle mie labbra, rilasso schiena e testa sul lettino e maledico quel maledetto test di gravidanza. Langford mi porge della carta per pulirmi, nel mentre ritorna alla scrivania per annotare qualcosa su un foglio. Mi fa varie domande e le mie risposte ammetto che ho sempre avuto questi problemi per via della mia salute mentale.

«Credo sia semplice stress unito alla classica influenza intestinale.» Dice, aggiungendo che ha intenzione di prescrivermi delle analisi per accettarsi che non ci sia nient'altro di preoccupante.

«Allora perché il test è risultato positivo?»

«Potrebbe essere dovuto da uno sbilancio nei tuoi livelli ormonali e da un effetto collaterale dei farmaci che mi hai detto di aver assunto fino a poco tempo fa. Ad ogni modo, le analisi ci chiariranno ogni dubbio.»

Annuisco, finisce di prescrivermi le analisi e mi chiede di informarlo nel caso dovesse uscire qualcosa di anomalo. Quando esco dall'ospedale, riaccendo il cellulare trovandomi varie chiamate perse da parte di Elijah. In macchina lo richiamo, lui subito risponde e inizia a parlare partendo in quarta.

«Che cazzo, Oralee! Cos'è successo? Perché non mi hai risposto?»

«Ma sei scemo? Mi stavano visitando ecco perché non ti ho risposto.» Roteo gli occhi, metto il vivavoce e infilo la cintura.

«Cos'era quel messaggio?» Continua, sembra essersi calmato un po'.

«Ho rifatto il test stamattina, era positivo.»

«Cosa?» Mormora ma subito riprendo pur di non allarmarlo.

«Sono andata nel panico e ti ho richiamato. Poi ho fatto un'ecografia e nulla, il test si è sbagliato.»

«Non sei incinta?»

«No..» scuoto la testa anche se non può vedermi, «..è stress e la solita influenza, però dovrò fare delle analisi la settimana prossima per capire se c'è altro.»

«Okay..» sbuffa rilassandosi, «..qui ho quasi finito, ci vediamo tra un'oretta.»

«Va bene, a dopo.»

«A dopo.»

Metto piede in casa un quarto d'ora dopo e nello stesso istante mi arriva un messaggio da parte di mamma in cui mi chiede se e quando andrò a fare la visita. Omettendo alcune cose, le scrivo semplicemente che è influenza ma che sto bene. Un'ora dopo sono seduta sul divano ed Elijah sta rientrando da lavoro. Appena si chiude la porta alle spalle, cerca il mio sguardo velocemente. Mi alzo vedendolo venirmi incontro, lui stringe le labbra per poi unirle alle mie.

«Come stai?» Mi chiede prendendomi il viso tra le mani e lasciandomi un altro bacio a stampo.

«Sto bene, tu?» Lui annuisce come per dirmi che è okay, ma i suoi occhi non possono mentirmi. «Che c'è? È successo qualcosa?» Scuote la testa ed io gli chiedo se ne è sicuro.

«Non voglio sembrare pesante o ossessivo..» mormora togliendosi la giacca blu, «...però la prossima volta cerca di rispondere comunque ai miei messaggi, a meno che non stia guidando.»

«Ti ho fatto preoccupare?»

«Sì, ero terrorizzato.» Ammette tornando a guardarmi, capisco cosa intende dire e mi si spezza un po' il cuore saperlo così. Lo abbraccio, stringendo le braccia intorno al suo busto e sentendo le sue circondarmi le spalle.

«Scusami.»

Quando arriva ora di pranzo, per farmi perdonare, decido di provare a cucinare qualcosa. Era un po' titubante all'inizio, l'intero Regno Unito sa delle mie non capacità culinarie, ma ho deciso di provarci lo stesso. Un po' mi ha aiutato per cuocere la pasta, aggiungendo che non ha intenzione di mangiarla cruda o ridotta in poltiglia. Mentre pranziamo mi dice che deve scegliere cosa mettere al concerto, lamentandosi della scelta di William e di quanto privo di gusto sia il suo amico.

«Sei proprio una diva.» Rido bevendo un po' d'acqua.

«Non sono una diva, ma non è normale che scelga di mettere una cazzo di tuta.» Sorride roteando gli occhi. «Pensa che Jane lo ha minacciato di lasciarlo se decidesse di indossarla.»

«Tu hai qualche idea?»

«Per lui?»

«Per te, cretino. Non vorrai mica presentarti in giacca e cravatta?»

«No, credo che indosserò dei pantaloni chiari con una maglia che mi ha regalato Emma per Natale.» Dice alzandosi per prendere un'altra bottiglia d'acqua dal frigo dato che questa è finita.

«A proposito di sorelle, domani è il compleanno di Keith.» Lui corruga la fronte mentre torna a sedersi accanto a me.

«Davvero?»

«Sì..» rispondo, siamo entrambi visibilmente confusi e sento che c'è qualcosa che non va. «Connor non ti ha chiamato?»

«Ma per cosa?»

«Per la festa.»

«C'è una festa?» Alzo le sopracciglia e ritraggo il capo, quei due non l'hanno avvisato?

«Non è una festa, però mi ha detto di passare dopo cena perché ha intenzione di comprare almeno la torta.»

«Non ne sapevo nulla.» Ammette alzando le spalle, sembra essere sincero e non trovo motivo per cui non dovrebbe.

«Mica l'hai dimenticato?»

«No, però credo di sapere perché l'hanno fatto.» Dice lasciandomi intendere la risposta.

«Dici per non farci incontrare?»

«Ne sono sicuro.»

«E se ci presentassimo insieme?» Rido pensando alla loro ipotetica faccia.

«Oh, è ovvio che mi presenterò. Connor ne fa di cazzate ma credevo che Keith l'avesse sposato per metterlo sulla strada giusta.» Mi copro la bocca scoppiando a ridere così forte e dicendogli che è quello che penso anch'io.

«Però se non fosse stato per il suo essere così sbadato, probabilmente non saremmo qui ora.» Ammetto guardandolo sorridermi.

«Già, non saremmo qui a mangiare la tua prima pasta cotta bene.»

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