Capitolo 34

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Un nuovo anno

un nuovo inizio

"Solo chi ha la forza di scrivere la parola fine

può scrivere la parola inizio."

~ Lao Tzu

Teresa

«Questo era l'ultimo», mi passai una mano sulla fronte, per toglier via i residui della fatica.

Erano i primi giorni di marzo, ma era come se il tempo stesse scorrendo più velocemente, le giornate si stavano facendo più lunghe anticipatamente, il sole era più caldo, l'aria portava già il sentore della primavera.

«Non ti rendi conto di essere un accumulatore compulsivo fino a che non fai un trasloco» ridacchiò papà, mentre Gwendoline arrivava con una bottiglietta d'acqua per ciascuno.

«Hai ragione», concordai portandomi la bottiglia alle labbra, «Metà della roba che si trova in questo furgone, nemmeno ricordavo di averla», scossi la testa.

Mentre il portellone del furgone veniva chiuso con un forte tonfo metallico, per un momento mi persi a osservare il vecchio portone in legno, le finestre soprastanti, la stradina, costellata da piccoli alberi, che avevo percorso così tante volte mano nella mano con Marco.

Sentii un vuoto allo stomaco, mentre tutto diventava più definitivo, ma non fu un vuoto in senso negativo, finalmente riuscivo a sentirmi più leggera, con un peso in meno a opprimermi il cuore.

Ero riuscita ad andare avanti. Avevo venduto il nostro appartamento, staccato la sua scheda telefonica, potevo finalmente guardare i nostri album fotografici e, anche se piangevo un po', faceva meno male e potevo sentire un senso di calore avvolgermi, ero tornata a parlare con i suoi genitori, avevo preso nuovamente in mano un volante e, cosa più importante, ero riuscita ad andare a trovarlo.

Ed era lì, che stavo per andare.

«Ci vediamo più tardi, grazie per l'aiuto», diedi un bacio sulla guancia a papà, feci lo stesso con sua moglie e salutai con un cenno del capo Max, che era già al volante del mezzo che aveva noleggiato per aiutarmi con il trasloco.

Adesso tutta la mia roba sarebbe finita in un garage, poi, quando mi fossi sistemata, l'avrei portata con me.

«A stasera, bambina».

Mi chiusi la portiera della vecchia auto di papà alle spalle e inspirai il profumo di vecchia pelle mischiato a quello dell'alberello appeso allo specchietto. Non era un odore gradevolissimo, ma mi faceva sentire al sicuro, ed ero grata a papà per aver pensato di regalarmi la sua auto, lui avrebbe guidato quella di Gwen, due auto erano inutili aveva detto. E anche se prima di accettare ci avevo riflettuto su per un po', alla fine lo avevo ringraziato e mi ero convinta a salire su quella quattro ruote, una volta che me ne fossi andata, non avrei più potuto chiamare mio papà o Max se mi fosse servito un passaggio.

Un senso di malinconia, ma allo stesso tempo di pace, calò sul mio spirito non appena oltrepassai il cancello in ferro battuto del cimitero. Il silenzio regnava sovrano, spezzato solo dal rumore del vento e di qualche scoiattolo che gironzolava da quelle parti. Superai una serie di monumenti e di tombe di famiglia, prima di arrivare alla lapide in marmo bianco, decorata con un piccolo angelo. Accarezzai il nome di Marco, prima di posare sull'erba il mazzo di calle che mi ero portata dietro.

«Ciao» sussurrai al vento.

Inevitabilmente gli occhi mi vennero lucidi. Anche se avevo accettato la sua morte, questo non significava che avesse smesso di far male. Quando una persona che ami muore, è come se il tuo cuore venisse graffiato, il taglio si rimarginerà e smetterà di sanguinare, ma una piccola cicatrice rimarrà sempre lì, potrebbero esserci giorni in cui tornerà a pizzicare, ma altri in cui la vedrai solo come il ricordo della persona che hai amato, che in un qual modo vive ancora in quel graffio, dentro di te.

Broken - Come feniciDove le storie prendono vita. Scoprilo ora