19. L'accampamento di Hako

57 12 3
                                    

Oltre gli arbusti vidi finalmente la nostra meta. L'accampamento di Hako si mostrava come una piccola baracchetta composta da un numero essenziale di tronchi di legno per le pareti e un economicissimo tetto stramineo.

Era impossibile dire se il discreto logorio delle funi che tenevano legati i tronchi fosse dovuto a una scarsa capacità di Hako di avvolgerle per bene o a un deterioramento ambientale dovuto all'abbandono dello stesso accampamento. In ogni caso, la struttura era di dimensioni così ridotte da essere difficilmente visibile anche a poca distanza.

Forse era un po' malmesso, ma sicuramente non era appariscente.

Entrambi, ancora furtivi, ci disinibimmo un po' e andammo verso la piccola struttura, intenti a entrare.

– Certo che questa baracchetta avresti potuto farla meglio, – ironizzai.

– Sono una combattente, non un'esploratrice, – disse, liquidando la mia critica.

Al posto della porta, v'era un semplice pannello di legno composto da pezzi di più assi legate fra loro. Questo si teneva agganciato alla parete per semplice appoggio su alcuni ganci a U ai lati della parete.

Hako prese il pannello, lo alzò, lo mise a fianco all'apertura, evitando di produrre rumori che qualcuno potesse udire, ed entrammo.

– Non chiudi la porta? – chiesi io, una volta dentro.

– Se i soldati vedessero questa capannina ci si avvicinerebbero comunque. Chiudere la porta significherebbe occluderci l'unica via d'uscita.

Non risposi, ma accettai la ragionevole spiegazione.

L'interno era totalmente a soqquadro. L'ambiente era scuro e tutto era palesemente in un posto diverso dal proprio.

C'erano tanti frammenti metallici per terra e sulla piccola base rialzata in legno, base che doveva fungere evidentemente da tavolino. L'apertura era sull'estrema destra della baracca, quindi, quando entrammo, tutto lo spazio si sviluppava a sinistra.

Più a sinistra ancora dello pseudo-tavolino c'era un'ulteriore compartimentazione della stanza divisa da un pannello ligneo, probabilmente avente il ruolo di armadio.

Tornando al disordine, i pezzi di metallo non erano l'unica cosa presente. Fogli, attrezzi in ferro simili a posate e piccole armi, abiti ormai ridotti a stracci e persino resti di cibo.

Riscavai nella mia memoria la ragion per cui dovette lasciare questo suo accampamento. Sicuramente non poté permanervi a lungo, dovendo fuggire perpetuamente, ma era palese che fu costretta ad abbandonare tutto improvvisamente. Non si portò via nulla di quel che c'era. Disse che fu a causa di un animale che la costrinse a fuggire, ma chissà quali saranno stati i dettagli della vicenda.

– Keiko, – mi parlò, con tono serio, – guarda fuori, controlla che non si avvicini nessuno.

Feci come disse e, col naso appena fuori dalla soglia della capannina, mi guardai in giro.

Ancora nessuno, per fortuna.

Hako, invece, staccò il pannello di quella sorta di armadio e iniziò a rovistarci. Sembrava sapere con precisione dove avesse lasciato quel filamento.

Aperse un ulteriore scomparto sotto il piano del pavimento e da lì prese un oggetto avvolto da un tessuto malconcio.

– Eccolo, trovato, – disse lei.

– Hai trovato il filamento? – abbandonai la posizione di vedetta e andai curiosamente verso di lei.

– Sì, è questo.

Lo ripose nello zaino a grande velocità.

– Presto, andiamo, – concluse.

Frettolosamente uscimmo, ma io stesso interruppi il cammino.

La forgiatrice di lame ⅠDove le storie prendono vita. Scoprilo ora