Sto camminando velocemente per le strade del cut per raggiungere casa mia nel minor tempo possibile. Mio padre è sempre stato molto severo sugli orari e bisognava rispettarli sempre, in questo caso sono in ritardo di un ora e mezza, questo vuol dire che mi ucciderà. Finalmente raggiungo figure eight, non so che ore sono adesso ma è sicuramente troppo tardi. Cammino, o per meglio dire corro fino alla porta d'ingresso, prendo un respiro profondo ed entro in casa col fiatone. Appoggio le chiavi sul tavolino accanto alla porta e appena mi giro vedo mio padre in piedi a pochi metri da me con un aria severa in volto. Ho paura, mi tremano le mani ma fingo indifferenza. -ciao papà- dico senza incrociare il suo sguardo, se lo faccio vedrà la mia paura, la mia incertezza e sarà la fine. -ciao papà?- ripete ironico -sai che ore sono?- inizia ad alzare la voce. -si... mi dispiace ma ho incontrato Kiara e gli altri e ci siamo messi a parlare di questi cinque lunghi anni e ho perso la cognizione del tempo e...- dico velocemente venendo interrotta bruscamente da lui che grida avvicinandosi sempre di più -non importa cosa hai fatto o con chi sei stata. sei in ritardo, mi hai disobbedito. tua sorella ti cercava, voleva passare del tempo con te e tu dov'eri? per i fatti tuoi, come sempre del resto. sei una delusione.- adesso è proprio davanti a me, gli occhi mi si riempiono di lacrime e tremo come una foglia ma non posso cedere -non succederà mai più, scusa- dico tenendo lo sguardo basso -guardami quando mi parli- dice afferrandomi violentemente per la mascella e facendomi alzare lo sguardo su di lui -non succederà più- ripeto guardandolo in faccia -per stavolta va bene così ma se si dovesse ripetere una situazione simile sai cosa succederà.- mi dice puntandomi un dito contro e allontanandosi barcollando.Salgo le scale di corsa e appena arrivo in camera mia chiudo la porta alle mie spalle e faccio girare la chiave nella serratura, finalmente posso lasciarmi andare. Mi accascio a terra contro la porta di legno bianca e con un sospiro inizio a buttare fuori l'oceano che tengo dentro; piango, piango fortissimo, così forte che per un secondo non riesco nemmeno a sentire i miei pensieri. Non mi importa se qualcuno mi sente, non mi importa di niente in questo momento; voglio solo che tutto il male che ho dentro sparisca, voglio essere libera da tutto questo dolore.
Quando finalmente riesco a calmarmi leggermente mi alzo a fatica dal pavimento e mi trascino fino alla scrivania dove appoggio il mio zaino. Resto ferma per qualche secondo a guardarmi allo specchio; faccio proprio schifo: i capelli sono ormai spettinati, il trucco colato, gli occhi rossi e la faccia gonfia. Il mio sguardo cade su un vecchio album fotografico, lo afferro e lo apro sedendomi sulla panca in terrazzo. La prima foto ritrae me e mia madre; siamo sulla spiaggia e abbiamo entrambe la nostra tavola da surf, io sono ancora piccola. Stiamo sorridendo, un sorriso vero non sforzato o tirato ma sincero. Sento gli occhi diventare umidi di nuovo. Quando c'era mamma le cose andavano meglio, per quanto fosse possibile almeno, con lei stavo bene e mi sentivo al sicuro. Mi manca, ogni giorno; mi mancano le giornate passate con lei a fare surf, le escursioni, le serate al drive in. Da quando lei non c'è più la mia vita è stata uno schifo; quanto vorrei che al posto suo se ne fosse andato papà, sarebbe tutto perfetto se fosse successo.
La seconda foto risale a quasi sette o otto anni fa quando ho incontrato i pogues per la prima volta; ci siamo tutti e cinque e siamo in piedi sulla barca bianca di John B. Eravamo così felici; loro sono stati i miei primi amici e la mia famiglia quando mia mamma se né andata, ci sono sempre stati per me e sono grata ad ognuno di loro per essermi rimasti accanto e per avermi decisamente migliorato la vita. Non so cosa farei senza di loro, mi sentirei persa e vuota. Questi anni lontana da loro sono stati orribili e mi hanno fatto capire ancora di più quanto sono importanti per me. Li ho conosciuti per caso; andavamo a scuola e il primo giorno mi sono seduta vicino a JJ, durante l'ora di matematica si è messo a fare lo scemo come al solito e la professoressa ci ha sbattuto fuori dalla classe così abbiamo deciso di passare a prendere anche gli altri e di uscire di nascosto dalla scuola. Inutile dire che accettare di andare con loro sia stata la miglior decisione della mia vita.
Nella foto successiva ci siamo io e JJ, siamo sdraiati sull'amaca di John B e fingiamo di dormire. JJ è stato il primo ad avermi parlato a scuola; io sono sempre stata una persona molto estroversa ma ho sempre faticato molto a trovare degli amici veri; è grazie a lui se ho conosciuto tutti gli altri ed è grazie a lui che sono diventata la persona che sono oggi. Mi ha aiutata molto, mi ha fatto capire che io sono importante e che nessuno può permettersi di dire il contrario, mi è sempre stato vicino e io sono stata vicina a lui; è il mio migliore amico e non potrei mai vivere senza di lui. Mi sono sempre chiesta perché mi abbia parlato la prima volta ma non gliel'ho mai chiesto.
Proprio in questo momento mi accorgo che una lacrima sta percorrendo lentamente la mia guancia, sono stanca e ho riportato a galla decisamente troppi ricordi per questa sera. Decido di farmi una doccia veloce e mettermi subito a dormire, spero che domani andrà meglio di come è andata oggi.
Mi addormento con il viso di mamma nella mente che mi guarda e mi ripete dolcemente 'andrà tutto bene Ray'.
-ciao ragazz*, come vi avevo già detto questo capitolo è più corto rispetto al precedente perché volevo concludere la giornata per poi riprendere dalla prossima. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi abbia fatto capire meglio il legame di Rachel con la mamma e i pogues. Ricordate di lasciare una stellina se il capitolo vi è piaciuto, a presto <3-

STAI LEGGENDO
A single soul// Outer Banks
Short StoryRachel torna negli Outer Banks dopo essere stata per più di tre anni a Los Angeles con il padre per lavoro, prima di partire viveva con i Pogues e faceva parte del gruppo di amici composto da John B, Kiara, Pope e JJ. Al suo ritorno però le cose son...