Un giorno qualunque, l'asteroide. LUI.

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Le previsioni della caduta dell'asteroide quel Venerdì, registrarono un netto calo del traffico per tutta la città di Londra, come se il tetto della propria casa fosse abbastanza forte per ripararsi da un'enorme palla di fuoco in arrivo sulla terra.
Senza una rotta precisa, senza motivi o precauzioni l'asteroide si lancerà a tutta velocità senza badare a nessuno e a niente. Piomberà a braccetto con l'effetto sorpresa e quelle due insieme avevano sempre e solo creato danni negli anni.
Se Jonathan fosse stato attento e avesse visto la fine del film, molto probabilmente gli avrebbe dato 3 stelle su 5, non era poi così male.

Male, esattamente quello che sentì Jonathan quando si punse il dito con la spina di una rosa

"Sai che possiamo chiamare un giardiniere ?"

"Mark, ti ho detto che lo so fare " Jonathan sbuffò sconsolato, perché una volta pronunciate quelle parole si impadronì del suo dito un puntino di sangue.

"Non hai tempo di stare a potare le rose del locale, vai da tuo padre" l'amico lo rimbeccò, sapeva quanto avesse la testa da un'altra parte.

Jonathan armeggiò sconsolato le forbici in acciaio tra le mani, spostò lo sguardo sulla città e con uno sbuffò di vapore dalla bocca disse "Mark, ci sono stato questa mattina e dovresti ricordare che per me stare in un cazzo di ospedale non è così semplice"

"Jo, lo so. Ma tuo padre ha bisogno di te. Infondo non ha altri che te"

Jonathan odiava dare ragione all'amico, suo padre era solo e aveva bisogno di lui.
Guardò un momento il pavimento cosparso di rami e foglie, come a riflettere sul da farsi. Poi poggiò le forbici sul tavolo da lavoro vicino e lo guardò
"Va bene, io vado... " tirò indietro i ricci "...ma tu non chiamare nessun giardiniere. So come fare"

Ogni volta che Jonathan pronunciava la parola ospedale iniziava a sudare, il cuore batteva più forte e le immagini di quella notte diventavano sempre più vivide.
Se solo avesse potuto fare qualcosa, se davvero fosse servito avrebbe dato entrambe le gambe per Susan. Avrebbe dato la sua vita per lei.
Eppure la sua morte apparente non bastò a riprendersi la sorella, eppure quel suo giro all'inferno non piacque come patto a Lucifero.
Ogni tanto sentiva ancora la gamba destra, ne sentiva le fibre dei muscoli e alle volte la sensazione di calore dei vestiti strusciare sulla pelle. La sua mente sapeva che non c'era ma voleva comunque procurargli dolore.
Succedeva quasi sempre di notte, quando il suo cervello rimaneva attivo e il suo corpo cercava di rilassarsi.

Non contava più le volte in cui ha dovuto prendersi a pugni la parte amputata della gamba, come a voler dire alla sua testa ora ci credi che non c'è?!?

Non contava più le volte in cui ha abusato delle sue medicine perché il dosaggio prescritto non bastava a placarsi.

Non contava più le volte in cui sperava di non svegliarsi più il mattino dopo o quello dopo ancora.
Quell'incidente aveva preso Jonathan l'aveva masticato per bene di tutti gli orrori e le paure che il mondo sapeva dare e l'aveva risputato nel suo coma.

Jonathan odiava gli ospedali e ancora di più odiava il loro odore. Associava quelle sensazioni olfattive al periodo in cui il suo cervello rimase incosciente in un sonmo profondo, associava quelle sensazioni al ricordo di ritrovarsi  senza una gamba al suo risveglio, associava quelle sensazioni al ricordo delle lacrime dei suoi genitori che lo informavano della morte della sua metà, Susan.

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Era arrivato davanti la porta del padre, sfiorò la maniglia e si bloccò quando sentì l'unica voce che le ricordò che suono avesse la delusione

"Dan, sono contenta che ora tu stia bene. Mi sono fiondata sul primo aereo che c'era per Londra appena Jonathan mi ha avvisata"

"Mary, non dovevi. Sto bene ora...davvero"

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