Capitolo 27

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Come una pallina antistress


Ansia.

Una manifestazione fondamentale

dell'essere nel mondo.

~ Martin Heidegger


Teresa

Lo stavo facendo sul serio, stavo davvero andando in Texas a conoscere i genitori di Travor?

Quella mattina avevamo preso il volo all'aeroporto di New York, per atterrare quasi quattro ore dopo a quello di Austin, in Texas. Da lì avevamo noleggiato un'auto, un vecchio fuoristrada rosso, per raggiungere la Contea di Fayette, dove si trovava la fattoria in cui Trav era cresciuto. Era più di un'ora di macchina, tempo in cui, invece che ammirare il panorama verdeggiante, mi ero logorata mente e stomaco con mille dubbi e domande.

«Sei agitata?».

Bloccai di scatto la gamba quando la mano di Travor si posò sul mio ginocchio. Non mi ero nemmeno accorta di quel mio tic nervoso.

Avevo praticamente dormito per l'intero volo, adesso non ero più in grado di tenere a bada la mia agitazione, mi sentivo iperattiva, ero quasi pronta a scattare giù dalla macchina e ritornare a New York di corsa.

«No», lo dissi con poca sicurezza.

Con la coda dell'occhio lo vedi lanciarmi un'occhiata, poi di punto in bianco uscì dalla strada sterrata per immettersi in un capo.

«Che stai facendo?».

Bloccò l'auto, spense la radio che ci faceva da sottofondo e poi il motore. Il silenzio cadde su di noi, ci trovavamo nel bel mezzo del nulla e, se non fossi stata così spaventata, avrei potuto godere dello spettacolo della natura.

«Io me la sto facendo sotto», sussurrò. Lasciò ricadere le mani dal volante alle cosce strette nei suoi soliti jeans neri – ne aveva cinque paia identici, assurdo.

Mi voltai a guardalo, osservava un punto fisso davanti a sé, poi sollevò una mano per passarsela tra i capelli.

Sapevo perché io ero spaventata, ma non ero altrettanto sicura del perché lo fosse lui.

«Pensi che sia stato un errore... chiedermi di venire con te?».

Si girò di scatto, incastrando le sue iridi smeraldo con le mie.

«Ti amo Tess».

A quell'affermazione il mio cuore fece una capriola, era da un po' che non mi diceva più quelle parole, mi stava lasciando il mio tempo e il mio spazio, e solo in quel momento mi resi conto che mi era mancato sentirglielo dire.

Mi passò una mano tra i capelli, risistemando dietro l'orecchio alcune ciocche sfuggite dalla treccia.

«Non li vedo da un anno, non torno volentieri a casa».

«Perché?», gli afferrai la mano e la tenni sul mio volto. Il contatto con lui riusciva a tranquillizzarmi.

«Perché mi vergogno delle mie scelte, di quello che ho fatto».

Pensai al periodo nero di cui mi aveva parlato, alla disintossicazione... ma avevo come la sensazione che ci fosse qualcos'altro di cui non mi volesse parlare.

«I nostri genitori ci amano a prescindere dalle scelte sbagliate che facciamo, è nel loro DNA, amarci incondizionatamente, malgrado tutto».

Ritrasse la mano, facendola scivolare lungo la mia figura per poi intrecciarla alla mia.

Broken - Come feniciDove le storie prendono vita. Scoprilo ora