Capitolo 7

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Il seminterrato nell'appartamento dell'agente dell'ncis Leroy Jethro Gibbs, aveva sempre rappresentato per quest'ultimo un luogo in cui sentirsi in pace con sé stesso. Un posto sicuro dove rifugiarsi per riflettere e creare le sue barche. Gibbs adorava lavorare il legno e dar vita a nuovi oggetti da esso. Sosteneva che dar vita a qualcosa di nuovo era confortevole e rilassante, ma questa volta non era così. Nonostante fosse circondato dall'odore famigliare della segatura, nonostante ci fosse la sua fedele levigatrice a mano, nonostante i pezzi di legno sembravano fissarlo in silenzio chiedendogli di aiutarli ad esprimersi, lui non ci riusciva.
Era fuggito dall'ospedale per cercare la sua vendetta e le sue risposte, e aveva trovato un luogo triste e pieno di lacrime. Non era di quello che aveva bisogno, aveva già le sue che si portava dietro e che non sapeva come fare per farle sparire dal cuore. Ogni volta che chiudeva gli occhi, gli appariva lo sguardo spaurito di Tony e le sue urla di dolore gli rimbombavano nelle orecchie. Non aveva più le forze, così decise di trascinarsi nel suo scantinato e di conversare con la sua bottiglia di Bourbon preferita.
Bevve piccoli sorsi, mentre la mente gli faceva vedere a uno a uno i momenti che aveva condiviso con DiNozzo in quel posto: Quando gli aveva parlato della sua famiglia, quando gli aveva confidato di essere contravvenuto a una delle sue regole, sospirò buttando giù un sorso.
Sentì la porta aprirsi e richiudersi e rumore di passi che provenivano dal piano superiore, ma non se ne preoccupò e si versò dell'altro alcool.
"Mi hanno detto che sei scappato dall'ospedale" disse il direttore Vance palesando la sua presenza.
Gibbs rispose con un verso gutturale e svuotò il bicchiere tutto di un fiato.
"E so che sei venuto in ufficio...".
"Già" mormorò versandosi ancora da bere.
"Quanti te ne sei già fatti?" chiese il direttore parandosi dinnanzi all'ex marine.
Jethro fissò accigliato la bottiglia svuotata di una metà, poi mormorò: "L'ho aperta stasera, perché? Ne vuoi?" chiese.
"No e dovresti smetterla anche tu!" lo riprese.
L'altro non gli diede retta e buttò giù l'ennesimo bicchiere che gli bruciò in gola: "Come sta il padre di..." si bloccò passandosi una mano sulle labbra mentre gli occhi gli scintillarono di lacrime.
"Il signor DiNozzo ha avuto un malore alla notizia, ora sta meglio ed è in albergo con Bishop e la Sciuto" rispose Vance serio, "e tu invece? Come stai?".
"Come vuoi che stia?" sbuffò in un sorriso bevendo un sorso, "come uno che ha lasciato morire un uomo, ecco come sto!".
"Non devi fartene una colpa...".
"Non devo?" urlò lanciando il bicchiere contro la parete facendolo andare in frantumi. "Io non devo sentirmi in colpa? Tu non c'eri Leon, tu non hai visto cosa gli ha fatto, non hai visto i suoi occhi spauriti, le sue lacrime..." fece una pausa coprendosi il labbro inferiore che aveva preso a tremare dall'emozione, "tu non l'hai visto morire...tu..." si fermò attaccandosi alla bottiglia.
"Ora basta Jethro, dammi quel Bourbon!" lo affrontò Vance preoccupato.
"Vienitelo a prendere se lo vuoi perché non ho alcuna intenzione di smettere per stasera" sorrise provocatoriamente. "Questa è casa mia e posso farci quello che voglio!" barcollò. Non era ancora ubriaco, ma la spossatezza e la stanchezza generale della giornata si facevano sentire.
"Sai cosa mi consola?" chiese infine accarezzando una trave di legno a cui stava lavorando.
Vance non rispose e lui continuò.
"Che almeno non è morto invano" sorrise, "fino all'ultimo istante, mi ha pregato di non rivelare quei nomi e, nonostante li sapesse anche lui, non si è mai lasciato sfuggire nulla. Dovresti essere orgoglioso di lui" concluse buttando giù l'ennesimo sorso.
Il silenzio calò tra i due, Gibbs si aspettava una reazione, una semplice parola concorde da parte del suo superiore, ma Vance rimase in silenzio con lo sguardo chino e il volto teso.
"Leon cosa c'è?" s'incuriosì.
"Avrei preferito non dirti nulla, ma...".
"Dirmi cosa?".
Vance perse tempo così l'ex marine gli si avvicinò fino quasi a sfiorarsi: "Cosa devi dirmi?" chiese trapassandolo da parte a parte con lo sguardo.
"La missione in Afganistan è stata annullata per motivi di sicurezza" rispose Vance perplesso.
"E quindi? Posso capirlo, anche se non abbiamo parlato era comunque trapelata la notizia che c'erano degli infiltrati" gli diede una pacca sulla spalla, "bravi, ottimo lavoro!" si complimentò bevendo un altro sorso dalla bottiglia e ritornando a sedersi sullo sgabellino. "Io invece? Che ho fatto?" sospirò, "forse avrei dovuto parlare, vedi? Alla fine quei ragazzi non sono partiti, quindi non..." si bloccò ripensando alle parole appena dette, "un momento, la missione era prevista per stamattina alle 10 ora locale, noi siamo stati mandati fuori strada prima dell'alba e io e Bishop ci siamo incontrati che ormai era pomeriggio inoltrato..." rifletté e iniziò a capire l'imbarazzo nella voce del suo direttore. Alzò lo sguardo per cercare quello di Leon che lo ricambiò senza esitazione: "Ci stai arrivando, allora è vero che non sei ancora ubriaco" constatò facendo affiorare un amaro sorriso sul volto sempre più teso. Temeva la reazione del suo uomo quando avrebbe messo insieme i pezzi del puzzle ma, non poteva certo tenergli nascosto una cosa così importante.
"Il nostro arrivo negli uffici dell'ncis era previsto per ora di pranzo" riprese Gibbs, «ma allora quando...».
«Mi dispiace Jethro» sospirò Vance affranto, «l'ordine di annullamento arrivò nell'esatto momento in cui fu ritrovata la vostra auto attraverso il gps e cioè alle 8:42 del mattino».
«Perché? Ci stavate tenendo sotto controllo?».
«In verità si, pare fosse giunta voce che un gruppo di mercenari indipendenti stesse cercando di carpire informazioni sulla sicurezza nazionale e così, abbiamo pensato fosse meglio monitorarvi» rispose il direttore. Gibbs si fermò nuovamente a riflettere, ma sentiva già una collera senza freni farsi strada da dentro lo stomaco: A cosa era servito il sacrificio di DiNozzo? Per chi aveva sopportato che lo torturassero per ore?
«Ti prego Leon, dimmi che non è vero» ringhiò con gli occhi pieni di lacrime, ma l'uomo tacque.
«Mi stai dicendo che la missione fu annullata quando noi eravamo ancora nelle mani di quel psicopatico? E' così? Mi stai dicendo che Tony è stato sottoposto per ore a torture indicibili per nulla? Che è morto per nulla?» urlò fuori controllo.
«No, ecco...» farfugliò Vance mortificato, quella di Gibbs fu la sua stessa reazione quando seppe della morte del suo agente, ma ora doveva rivivere il tutto attraverso gli occhi disperati del suo uomo.
«Lui è morto, Leon! Il nostro Tony non c'è più e tu ora mi dici che si è sacrificato per niente? No, questo è davvero troppo crudele! Perché? Perché?» lanciò in terra la bottiglia di Bourbon semivuota.
«Ti capisco Gibbs e credimi, mi dispiace».
L'altro non rispose ma continuò a far cenno di no con la testa: «Non ci credo... » sussurrò coprendosi il volto con una mano, poi si lasciò andare ai singhiozzi, «vattene via...».
«Gibbs...».

«VIA!» urlò schiumando dai lati della bocca dalla rabbia. Il direttore scrollo il capo, sapeva che ora non poteva dire nulla che gli avrebbe permesso di superare quel dolore e, conoscendolo, non poteva aiutarlo in alcun modo. Risalì le scale fermandosi sulla porta: «Se hai bisogno di parlare, sai dove trovarmi» disse uscendo dalla stanza. Gibbs scoppiò in lacrime come un bambino a cui avevano appena tolto un giocattolo prezioso. Non riusciva a crederci, tutte quelle ore di ansia e angoscia, tutte quelle ore di dolore a cos'erano servite? Tony era morto convinto di aver protetto delle vite umane e invece il suo sacrificio era stato completamente inutile. Non poteva accettarlo, non poteva! Aprì l'anta del mobile e prese una nuova bottiglia di whisky e vi si attaccò. Avrebbe bevuto fino a perdere i sensi, per non impazzire, per non pensare a cosa era successo ed al dolore che si portava dentro.

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