Ho deciso di parlarvi di queste cose che ho imparato, studiato e "inventato" in questi anni perchè dopo la quarantena molti dovranno reinventarsi. Un mio carissimo amico ed ex-collega, con cui sono rimasta in contatto anche nei periodi in cui non lavoravo in quell'azienda, mi diceva sempre che io ero una pioniera del reinventarsi, che prima o poi sarebbe toccato a molti, e credo che il momento sia arrivato.

Non è semplicissimo perchè, in fondo, per reinventarsi bisogna, in qualche modo, distruggersi, cancellarsi, uccidere la versione vecchia di noi che non è più funzionale, o che semplicemente non ci piace, o non ci piace più. Bisogna rinunciare a cose a noi care più per abitudine e inerzia che per vero amore. Ma non a tutto, anzi, possiamo reinventarci diventando persone più autentiche, funzionali e felici allo stesso tempo.

A me la versione me l'ha cambiata la vita. Non ho lasciato io il marito e non ho lasciato io il lavoro. Ma come convivere con i cambiamenti è dipeso da me. E dipenderà da voi come sfruttare i vostri. Dipenderà da voi se, dopo questa quarantena lotterete con tutte le vostre forze per tornare come prima o approfitterete dei buchi che ha lasciato questo isolamento per coprire le mancanze che ha rivelato.

C'è un bellissimo libro che parla di questo, non del come farlo, ma del fatto che può succedere anche senza saperlo, quando dallo stare malino passiamo ad essere disperati. Si chiama C'era una volta una mucca. Come liberarsi dal conformismo e dalla mediocrità e correre verso il successo, di Camilo Cruz (https://amzn.to/2SiciWF).

Io ho voluto in questi tredici capitoli usare la metafora del gioco, perchè tutti bene o male abbiamo giocato a qualcosa o giochiamo. Questa metafora mi permette di parlare di istruzioni, strategie, risultati e offrirvi degli strumenti di coaching che uso quando lavoro ma possono essere utilizzate anche da soli. E poi, c'è la frase di George Bernard Shaw, che dicono che diceva che <<L'uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare.>>

Non sono quello che definiscono una "gamer". Non ho mai avuto una console, e i pochi videogiochi che conosco, li conosco perchè me ne hanno parlato le mie figlie o i miei amici. Da bambina giocavo a tetris, con il mio primo mac (un macintosh 512) giocavo alla piramide di Ra e alla fine degli anni 90 ho fatto qualche partitina a Monkey Island ma, se lo racconto, mi prendono in giro.

Quando ho scoperto i giochi di bolle da scoppiare su facebook ho iniziato a giocare con la scusa di allenare il coordinamento occhio-dito, e sono diventata molto brava. In fondo l'intelligenza spaziale è una di quelle in cui ho sempre avuto punteggi più alti nei test.

Da allora ho alternato momenti in cui giocavo molto, con il successivo senso di colpa per il tempo perso, ad altri in cui smettevo per dedicarmi ad altro. Ma non sono mai riuscita a smettere del tutto. In questi giorni in cui siamo costretti a rimanere a casa mi sono ritrovata a giocare un po' più del solito, giacchè i miei appuntamenti sia come life coach che come insegnante di lingue e traduttrice sono diminuiti.

Daniele Penna dice che i videogiochi riflettono la realtà, la nostra vita con le loro sfide, con i loro livelli, con i regali che troviamo, e soprattutto con mille opportuni­tà per ricominciare, per riprovare, senza fine. E propone di prendere la vita con la leggerezza con cui prendiamo i giochi.

Questo si collega con quello che è sempre stato uno dei miei punti di forza come life coach, la capacità di aiutare le persone con cui lavoro a fare nei campi della loro vita in cui trovano più difficoltà come hanno già fatto in altri campi della loro vita. A trovare le capacità, le abitudini e gli atteg­giamenti che funzionano in ogni realtà e ad allennarli fino a quando si è in grado di usarli ogni volta che serve.

In questo momento di crisi, e quarantena per il corona virus, in giro possiamo trovare tanta infor­mazione quanta disinformazione. Siccome il mio augurio è sempre quello di riuscire a vivere una vita più serena e consapevole, giro sui social curiosa ad osservare cosa si dice in giro e trovo, più che altro, molta negatività: c'è chi si lamenta di chi non ubbidisce alle regole mentre altri conti­nuano a dire che è solo un raffreddore e sono le regole a essere sbagliate; c'è chi cerca dei complotti, chi contro l'Italia, chi contro poveri e malatti; c'è chi si lamenta di non poter lavorare e chi di dover lavorare troppo.

Per compensare, con il mio solito pensiero possitivo, ho pensato di approfittare per scrivere, e condividere con voi, un'idea a cui stavo pensando da tempo, una serie di riflessioni sulla mia esperienza di gioco, sul gioco come metafora della vita, sugli effetti del giocare sul resto della vita e su come il gioco può rivelare alcune caratteristiche della nostra personalità.

Vi parlerò di me, vi racconterò le mie storie, per invitarvi a provare ad appliccarlo a voi stessi, in un percorso di coaching di se stessi, di cui questo libro potrebbe diventare il manuale.

13 cose che ho imparato giocando a garden scapesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora