Coso

236 32 29
                                    

Alle 17 siamo dal ginecologo. L'ho frequentato poco, in questi anni: mestruazioni dolorose, all'inizio, poi anticoncezionali quando ho conosciuto Gabriele. Mi saluta cortese e mi chiede come va. Che cavolo di domanda.

"Sono incinta."

Lui non mi chiede se sono sicura, né fa finta di non aver capito. Né per fortuna vuole che gli spieghi come è successo. Il prossimo fidanzato lo voglio così, con una laurea in medicina.

Mi chiede un poco di date, si fa due conti. Mi prescrive un prelievo di sangue per il dosaggio delle Beta HCG, così si chiama l'ormone della gravidanza, e mi spiega che devo farlo per due o tre volte, ogni settimana, per vedere se aumenta e capire come sta il bambino. Cioè l'embrione, come lo chiama lui.

"Non mi fa l'ecografia?" chiedo io. Nelle serie tv e nei film è così che si scoprono le gravidanze. E c'è anche il bambino che ti fa ciao con la manina, e il dottore ti dice se è maschio o femmina.

Lui ride, dice che è troppo presto per vedere qualcosa. Che per oggi comunque possiamo fare un test, per avere conferma che il mio ritardo sia dovuto a una gravidanza.

Ma come? Siamo alle solite: "Sei sicura?"

"Dottore, come le dicevo, io un test l'ho già fatto a casa. È positivo. Guardi." Quasi indignata, estraggo dalla borsa la bustina per surgelati in cui ho conservato il mio test casalingo. La righetta non è più rosa, adesso. Si è tutta sfumata, squadernata; sembra più uno scarabocchio che una retta. Ma io le voglio bene lo stesso e mi commuovo a rivederla. Tremando la consegno al ginecologo, che però nemmeno la osserva con attenzione: "Sempre meglio rifarne uno anche qui, per sicurezza." dice sorridendo e fingendo di non notare che ho gli occhi lucidi. Vabbè, dev'essere un difetto di fabbricazione degli uomini questa cosa della sicurezza. Del resto loro mica tengono i cosi nella pancia, non si sentono strani, non hanno la nausea e non gli viene da piangere per niente. Fanno fatica a crederci, anche con una laurea in medicina.

"Ok." accetto, poco convinta. Mi manda dall'infermiera, che mi consegna un contenitore e mi spedisce in bagno. Niente tamponi e niente lineette a cui affezionarsi, stavolta. Fanno tutto loro.

Io resto per una decina di minuti (lunghissimi) in sala d'attesa, poi l'infermiera mi richiama nello studio del dottore. Mi risiedo e lo guardo. Lui mi guarda e, si vede, è parecchio imbarazzato.

"Il test è negativo." dice.

"Come negativo?" È il mio momento per fare domande da imbecille.

Lui, pazientemente, mi spiega che a volte l'embrione si impianta e comincia a crescere, e si ha un test positivo, ma all'inizio la gravidanza è fragilissima e può interrompersi quasi subito, e così il test torna a essere negativo in pochi giorni.

"Come negativo? Come interrompersi?" chiedo di nuovo io, scoppiando a piangere.

Il dottore si alza e mi mette una mano sulla spalla: "Capita spesso, purtroppo."

"Ma vuol dire che coso c'era, e adesso non c'è più?"

Lui mi stringe solo la mano sulla spalla, mentre io continuo a piangere e a dire scemate: "Ma non potrebbe essere stato un errore? Un falso positivo? Insomma, magari coso non c'è mai stato?"

Lui scuote la testa, poi, a fatica, cerca di assecondarmi: "In teoria è possibile anche questo. Ma molto raro. Rarissimo direi." Mi sa che lo dice solo per consolarmi.

Torno a casa, che non è più casa mia perché io con questi due che non volevano essere i nonni di mio figlio per poter andare a ballare la sera non ci voglio più vivere. Me ne andrò appena possibile. Mi troverò un lavoro. Tanto la facoltà di Giurisprudenza mi piaceva solo abbastanza. E comunque ho mandato a quel paese ben più di una laurea e di un futuro (forse) sicuro: mi sono liberata di un fidanzato senza spina dorsale, di due genitori egoisti e di un patrigno stronzo. Sono stata madre per tre giorni scarsi, e coso m'ha sconvolto la vita da capo a piedi.

E ho capito, nei quasi tre giorni che sono stata madre, che l'amore non è mai abbastanza, è tutto o niente. Che il futuro è sempre imprevedibile, qualsiasi cosa tu faccia. Che quando si deve scegliere, si deve scegliere. E adesso che tutto va di nuovo abbastanza bene, io non riesco a smettere di piangere. Insomma, tutto quello che so me l'ha insegnato coso, in nemmeno tre giorni. Coso, mio figlio, che c'era, e adesso non c'è più. Coso che, forse, non c'è neppure mai stato.

I tre giorni che sono stata madreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora