Lunedì 20 giugno

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Stamattina mi sono chiusa in bagno, appena i miei sono usciti di casa, e ho fatto il test di gravidanza. L'avevo comprato venerdì sera, infilandomi in farmacia quando ormai mancava tipo un minuto alla chiusura. Non c'era nessuno, tranne il farmacista giovane, parecchio scocciato per la mia apparizione a un pelo dal fuori tempo massimo. "Desidera." mi ha chiesto, senza nemmeno il punto interrogativo. "Eh. Vorrei... un attimo, lo cerco io." ho risposto, ricordandomi dopo un secondo di panico che di solito i test di gravidanza li tengono esposti, e prenderlo io e pagare semplicemente mi avrebbe risparmiato quello scambio di due-tre battute imbarazzanti, indispensabili nel caso avessi chiesto a lui il prodotto (Quale preferisce? Sa come si usa? Ne ha già usati prima di oggi? Quanti giorni di ritardo? O, peggio di tutte: Quando è stato che avete fatto la frittata?).

Ho girato tra gli scaffali, mentre lui sbuffava impaziente e senza nessuna vergogna dietro il banco,

e infine ho adocchiato quelli che cercavo, esposti proprio sotto i preservativi: un modo come un altro di farti sentire cretina. Stavolta t'hanno inguaiato, la prossima volta però fatti furba. Che poi ci sono tanti motivi per ritrovarsi il venerdì sera in farmacia a comprare un test di gravidanza, ma essere cretine sì, bisogna ammetterlo, è quello originario e fondamentale.

"Posso aiutarla." ha chiesto il giovanotto col camice e senza punti interrogativi, sempre più sfinito e desideroso di strascinare giù anche per quella sera la benedetta serranda e andarsene a casa a vedere la fidanzata, o la tv.

"No no, fatto." ho detto io agguantando un prodotto a caso tra i milioni di marche disponibili e portandolo con frettolosa riservatezza alla cassa.

Pagato, incartato, infilato in borsa, lasciato lì per due giorni e tre notti.

Non che non ci abbia pensato, ovviamente. Posso dire con grande tranquillità di non aver pensato ad altro mentre studiavo, mangiavo, dormivo, parlavo di varie ed eventuali e perfino mentre baciavo Gabriele, il mio ragazzo. Correo, ma che non sa ancora nulla, perché prima di prendere la sua vita per mano e sbatterla al tappeto di qua e di là come uno spietato karateka devo capire io stessa dove voglio andare a parare, con questa storia.

Ci ho pensato anche mentre dormivo, a giudicare dai sogni che ho fatto per tre notti e in cui sono stata madre amorosa, madre rinunciataria, non madre con un grande sospiro di sollievo (mi tornavano le mestruazioni e per fortuna era tutto un sogno). Ah, no. Non era un sogno, dovevo fare il test.

E così, stamattina, l'ho fatto. Ci ho messo mezz'ora a leggere tutte le istruzioni e i consigli per l'uso, che poi, ho scoperto, si risolvono in tre sole parole: ritardo, pipì, righetta rosa. Il ritardo ce l'ho, ormai più di una settimana. La pipì l'ho fatta, giusta sul tampone. Righetta rosa: c'è. Oddio, sbiadita da morire. Quasi non si vede. Ma, a guardare bene, c'è. C'è. Sono incinta. Non era un sogno.

Oggi non ci vado, all'università. Devo stare sola e capire.

Ho 23 anni, sono giovane, ma non abbastanza per dare la colpa di quello che è successo all'adolescenza. So come si fa, a fare un figlio, e so come si evita. Non era la prima volta. Non era il momento. Eppure è successo lo stesso.

Avevo passato una brutta giornata, di quelle così. Non era capitato mica niente di grosso, solo che avevo dormito male, avevo studiato meno di quello che avrei dovuto, con un esame a giorni, volevo stare a dieta che mi sta venendo un culone così, a furia di panini, e avevo saltato il pranzo, era brutto tempo e pioveva da una settimana. E finalmente era venerdì, così la sera è arrivata e sono uscita con gli amici. Gabriele era nervoso, mi dava il tormento con le cose sue, nemmeno si accorgeva che io avevo la luna storta e non avevo voglia di starlo a sentire. Avrei voluto un abbraccio, un po' di tenerezza, della cioccolata, cose così. Giravano birra e superalcolici, ho preso quelli. Non sono una che beve per abitudine, ma qualche sera ci vuole. E quella sera, al terzo giro, stavo decisamente meglio: mi divertivo e non pensavo a niente, basta tristezza. Anche Gabriele era cambiato, rideva quando dicevo sciocchezze e mi baciava come si deve. Tutto bene, una meraviglia. Siamo finiti a letto, ci siamo divertiti parecchio. Ma proprio parecchio, da quello che ricordo.

Adesso però devo decidere cosa fare. Se fare finta che questa cosa che è successa non sia successa, non sia importante, informarmi, prendere i dovuti provvedimenti e ricominciare la mia vita normale, col mio ragazzo a cui voglio bene abbastanza, l'Università, la laurea in Giurisprudenza, un lavoro e un futuro piuttosto interessante, se tutto va bene. Oppure lasciare che questo piccolissimo coso mi cresca nella pancia e poi nasca, con conseguenze perlopiù imprevedibili. Solo una deficiente assoluta sceglierebbe la seconda opzione, diciamocelo. Solo che io a questo affare che mi naviga dentro già sono affezionata, e non chiedetemi perché.

Mi viene da piangere. Allora tiro fuori il test di stamattina dalla borsa e me lo riguardo, e resto qui, come un'imbecille, a parlare con una righetta rosa che poi, se non strizzi bene gli occhi, nemmeno si vede.

I tre giorni che sono stata madreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora