«Sono in ritardo, devo sbrigarmi. Ci vediamo oggi pomeriggio.» Borbottai.

«Hai bisogno di un passaggio?» Mi chiese Caleb ed io scossi la testa, negando la sua offerta.

«D'accordo, a dopo.» Concluse prima che chiudessi la porta di casa.

Salii in macchina e uscii dall'imponente cancello in ferro battuto, dotato di una targhetta con le iniziali di mio padre stampate sopra.

A.M. che stavano rispettivamente per Adam Morrison.

In meno di cinque minuti ero davanti al grande palazzo dove lavoravo. Più che un edificio sembrava un vero e proprio grattacielo. C'erano, in totale, trenta piani e il mio ufficio era situato sul punto più alto, proprio come quello di mio padre. Ero la proprietaria di un'azienda di moda, precedentemente appartenuta a lei. Mi occupavo quasi di tutto, ma lasciavo ad Adam il compito di gestire le questioni fiscali; io preferivo disegnare gli abiti, organizzare sfilate, posare per foto, sfilare sulle passerelle, oppure presenziare dove era necessario. Essendo un marchio molto conosciuto, quello di noi Morrison, il guadagno era soddisfacente e assiduo, pertanto usavamo l'azienda come una copertura per tenere lontani, dai nostri affari illegali, gli sbirri.

Parcheggiai la mia stupenda Porsche ed entrai nell'edificio, lasciandomi dietro solo il rumore dei tacchi a spillo, che sbattevano contro il suolo.

Camminai tranquillamente e con passo fiero, fermandomi a salutare quei pochi dipendenti che mi stavano davvero simpatici: gli altri si accontentavano di un semplice cenno con il capo; non erano, certo, nella giusta posizione per lamentarsi del mio comportamento, alle volte maleducato.

Salii nel mio ufficio e, dopo essermi sistemata, chiamai la mia segretaria. Il suo nome era Melanie, una ragazza sui ventiquattro anni, mora, occhi verdi e un corpo snello e slanciato. Era una persona piuttosto timida, ciononostante era molto simpatica e gentile, quando instaurava un certo rapporto di fiducia con il suo interlocutore.

Bussò alla porta e le diedi il consenso di entrare.

«Melanie, che appuntamenti ho per la giornata?» Chiesi alla ragazza.

«Signorina Alexandra, tra mezz'ora ha una riunione per sistemare le ultime cose riguardanti la sfilata di giovedì, poi dovrebbe incontrare un nuovo possibile socio.» Spiegò, mentre consultava la sua agenda.

«Perfetto, grazie. Puoi pure andare.» Sorrise e, dopo essersi congedata educatamente, abbandonò la stanza.

Rimasi ancora un po' a lavorare e, solo quando, la voce lieve di Melanie mi ricordò della riunione programmata per la giornata, mi decisi ad abbandonare la mia postazione.

Dopo due estenuanti ore di lavoro, ritornai nel mio ufficio seguita da mio padre, che si preoccupò di spiegarmi alcune questioni, riguardanti la missione prevista per quella sera.

«Tutto chiaro?» Mi chiese a un tratto; annuii semplicemente come risposta.

«Bene, allora posso andare. Mi raccomando, a proposito dell'incontro con il nuovo possibile socio, valuta attentamente.»

«Preferirei lavorare da sola, ma probabilmente non ti fidi abbastanza di me.» Sbottai irritata.

«Se non mi fidassi, non avrei mai deciso che il potere dei Morrison, un domani, cadesse tutto nelle tue mani, non pensi?» Ribatté scocciato.

Sbuffai, sollevando gli occhi al cielo.

«Alexandra, cerca di fare come ti dico, gestire l'azienda, con uno dei professionisti che ti ho consigliato, non potrebbe che giovarci. La vita è imprevedibile, te lo ripeto in continuazione.» Asserì.

«Lo so, papà, lo so. Sarà meglio che vada, non vorrei fare cattive figure.» Sospirai, alzandomi e dirigendomi distrattamente verso la sala dedicata alle riunioni.

Alla fine del colloquio dovetti ricredermi. Quell'uomo non era per niente male, e inoltre conosceva mio padre ormai da anni, quindi immaginai che di lui ci si potesse fidare, tuttavia ero ancora dell'idea che avrei potuto gestire tutto da sola, senza l'aiuto di nessuno.

Esausta, mi affrettai ad abbandonare il mio ufficio, concedendomi un momento di pausa. Salutai Melanie e mi diressi verso l'uscita. Attraversai la strada e mi fermai nella piccola caffetteria, situata di fronte al grattacielo, in cui lavoravo. Dopo aver ordinato e ritirato il pranzo, mi accomodai in uno dei tavolini liberi, accesi il mio computer, lessi le nuove mail e consumai ciò che avevo preso.

Uscii dalla caffetteria e mi diressi nuovamente verso il garage sotterraneo della mia azienda, così che potessi prendere l'auto e tornare a casa. Prima che riuscissi ad attraversare la strada, però, venni bloccata da una mano. Davanti ai miei occhi sfrecciò un'automobile ad altissima velocità, beccandosi tutte le imprecazioni dei passati. Sussultai spaventata e, velocemente, mi voltai per ringraziare chiunque mi avesse salvata. Le parole mi morirono in gola quando scorsi il volto del ragazzo dell'altra sera. La mia espressione cambiò del tutto; senza un apparente motivo ero infastidita dalla sua presenza.

«Tu!» Sbottai.

«Sono anch'io molto contento di vederti.» Commentò ironicamente. «Non preoccuparti e non ringraziarmi, non ho fatto nulla di importante!» Ghignò facendo finta di scacciare via l'argomento, con un gesto della mano.

«Non c'è motivo per il quale io debba ringraziarti. L'avevo vista la macchina e mi stavo giusto fermando.» Mentii, perché non volevo dargliela vinta per nessuna ragione al mondo. Mi scollai la sua mano di dosso e mi voltai, per poi iniziare ad attraversare la strada. Il moro non rinunciò a tormentarmi, infatti, dopo poco lo ritrovai al mio fianco.

«Un carattere alquanto piccante, da quanto posso dedurre, mi piace.» Affermò mentre sul suo volto si dipinse un mezzo sorriso.
«Comunque è evidente che ti abbia salvato la vita, pertanto mi devi un favore.» Concluse, per poi riafferrare il mio braccio; mi innervosii ulteriormente.

«Smettila di toccarmi e no, non verrò a letto con te, puoi starne certo.» Spiegai con altezzosità.

«A quello ci arriveremo in seguito.» Ridacchiò.
«Per ora mi accontento di un semplice giro in moto.» Asserì.

«E sentiamo, perché mai dovrei accettare? Potrei chiamare la sicurezza e farti scortare lontano da me.» Lo rimbeccai con tono di sfida.

«Non penso seriamente che tu voglia farlo, inoltre la mia moto è notevolmente bella.» Si vantò fintamente.

«Dov'è questa fantastica moto?» Borbottai vogliosa di tornare a casa e di infilarmi, una volta per tutte, sotto le mie soffici coperte, prima della missione.

«Alla tua destra, Alexandra.» Ignorai i brividi piacevoli che ricoprirono la mia schiena nell'udire il mio nome uscire dalle sue labbra carnose e invitanti, e mi voltai. Spalancai gli occhi quando una Ducati di un rosso fiammeggiante mi si parò davanti e, senza neanche accorgermene, accettai il suo invito.

Quella moto era un vero paradiso per i miei poveri occhi stanchi e dedussi che, nonostante l'imprudenza di quel mio gesto, un giro su quella motocicletta, non mi avrebbe mai potuto nuocere in alcun modo.

«Sappi che vengo per provare la moto, non per te.» Chiarii subito, non volevo che si facesse alcun tipo di aspettative sgradevoli.

«Certo, e io sono ancora vergine.» Affermò ironico.

«Sì, quelli che fanno gli spacconi, sono in realtà, gli uomini più fragili.» Mi guardò male ed io lasciai sfogo a una leggera risata.

Con te non ho pauraOù les histoires vivent. Découvrez maintenant