Non chiedermi scusa

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"Le scelte si fanno in pochi secondi e si scontano per il tempo restante"
—     La Solitudine Dei Numeri Primi - Paolo Giordano

"C'è qualcuno?" Urlò ancora una volta la voce, probabilmente ancora all'entrata principale della struttura.
Shawn iniziò a rimettere tutto nello zaino in fretta e furia mentre mi faceva segno di fare lo stesso.
Lasciai cadere il mio panino e mi guardai intorno spaventata.
"Margot che cazzo fai? Sbrigati!"
"Perché?!" Sussurrai
"Se ci scoprono siamo fregati" e detto questo si mise lo zaino in spalla e pattinò veloce verso l'uscita.
Lo seguii ma la mia andatura era mille volte più lenta e la voce del guardiano della struttura si avvicinava sempre di più, proprio come la luce della torcia che illuminava veloce gli spogliatoi.
"La pista è chiusa" Urlò ancora l'uomo.
Provai a pattinare più velocemente ma il risultato fu solo quello di piccoli passetti rumorosi e a dir poco instabili.
Avevo le gambe pesanti, tutte un fremito di paura, e le braccia spalancate come a voler aggrapparmi all'aria nel caso avessi perso l'equilibrio.
"Shawn" sussurrai, spaventata e spaurita, su un deserto bianco.
Lui era corso via con lo zaino, lo aveva lasciato davanti all'uscita ed era tornato a sollecitarmi sollevando nervoso gli occhi sugli spalti.
"Veloce Margot, veloce" diceva rimettendosi i pattini.
il mio cuore batteva così forte da coprire tutti gli altri suoni intorno a me e quando sentii il mio piede scivolare in modo sbagliato non percepii neanche la botta per quanto la paura mi avesse annebbiato la mente.
Shawn si precipitò sul ghiaccio, mi si avvicinò, proprio come aveva fatto anni prima, e mi guardò negli occhi colmi di paura.
Sentii una stretta al cuore e strinsi la sua mano con tutta la forza che avevo per fargli capire che non lo avrei lasciato come quella volta.
Mi caricò sulle spalle e pattinò a fatica verso l'uscita.
Mi sistemò su una panchina in legno e mi tolse i pattini mentre mi massaggiavo indolenzita la caviglia.
"Per fortuna il ghiaccio lo hai già messo" cercò di sdrammatizzare mentre mi aiutava a legare le scarpe.
Non risposi tanto ero scossa da quello che era successo. Lui comprese e lasciò perdere qualsiasi forma di conversazione per lungo tempo.
Quando anche lui ebbe finito, mi alzai in piedi e zoppicando lo seguii all'uscita.
Il suo sguardo era cupo e addolorato mentre si richiudeva la porta alle spalle, con le sopracciglia inarcate e lo sguardo basso, quasi percepisse il mio stesso dolore, solo in modo diverso.
La mia testa era piena di pensieri e serrai le labbra per non sputarli tutti fuori in una vera cascata di parole. Volevo stringere a me quel visino triste e rassicurarlo. Non lo incolpavo di nulla.
Lui mi guardò con quello sguardo ferito e mi pregò di aspettarlo.
Corse alla macchina, aprì il bagaglio, lasciò lo zaino e tornò correndo da me.
"Salta su, sarai il mio nuovo zaino parlante " disse indicando la sua schiena.
"Preferirei essere un koala"
"È lo stesso"
Salii sulla sua schiena mi strinsi forte a lui mentre mi portava alla macchina.

"Scusa" cominciò timoroso lui una volta dentro la vettura. "Non avrei dovuto portarti qui, ne tantomeno costringerti a pattinare"
"Non dirlo mai più" lo fermai brusca, rizzandomi in piedi sul sedile e fissando i suoi adorabili occhi marroni. "Non provare mai più a chiedermi scusa per questo. A volte si corrono dei rischi. Si cade e ci si rialza. Ammetto di aver avuto troppa paura di non potercela fare, di essere stata spaventata dal dolore di una caduta. Ma se non ci avessi provato non avrei mai scoperto quanto fosse spaventoso, e incredibilmente folle, e divertente, pattinare. Non avrei mai raggiunto il tuo picnic e non avrei mai vissuto appieno la tua vita. Non avrei mai stretto la tua mano così forte o non avrei mai assaporato il dolore per una caduta sul ghiaccio. Sono esperienze di vita che ho scelto di accogliere, che voglio provare e conoscere. Quindi non chiedermi mai più scusa perché se l'ho fatto è solo per me, è stata una mia scelta, non un tuo obbligo." Chiusi il discorso con tono iroso, invasa da una rabbia incontrollata. Desideravo essere trattata normalmente e non come una bambola di porcellana.
Lui mi guardò a lungo, sembrava cercasse la menzogna sul mio viso per potersi commiserare, contorcersi nel senso di colpa che per due anni lo aveva assillato.
Per quei due anni lui aveva vissuto quello stesso senso di colpa che non avevo mai avuto l'opportunità di togliergli fino a quel momento.
Lo guardai, sfidai il suo sguardo e guardando quel suo viso triste mi si addolcì il cuore fino a portar involontariamente la mia mano alla sua guancia.
Lui strabuzzò gli occhi dalla sorpresa e le guance gli si tinsero di un bel vermiglio.
Il cuore mi batteva all'impazzata, fuori controllo, mentre la mente cercava di portar ordine alla confusione.
Tolsi la mano, e tornai a guardare la strada rossa in volto.
Lui accese la macchina e sfrecciò via nel silenzio della notte.

Spazio me: Holaaa
Sto scrivendo davvero un sacco e il viaggio in treno mi ha davvero ispirato. Mi scuso ancora per eventuali errori ma la stanchezza si fa sentire ora più che mai

When the night comes|| Shawn Mendes Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora