§ 1. Il regalo

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OUVERTURE

Il boulevard Saint-Germain era affollato, quella mattina, sia di passanti che di vetture: carrozze e automobili si mescolavano tra uomini in bombetta e gentildonne col parasole, ai lati del viale. Tutti camminavano di sfuggita davanti ai tavoli all'aperto del Café de Flore, ma nessuno di loro si era avveduto della particolare natura dei due avventori seduti a caso in uno di quelli, incuranti del freddo, due café au lait intatti davanti.

Si trattava di due uomini dall'età apparentemente giovane; li si sarebbe con facilità scambiati per studenti universitari. Colui che teneva il giornale di fronte a sé, sbirciando gli articoli con cipiglio malizioso, portava i lunghi capelli color platino relegati in una treccia e si chiamava Lùxipher. Godòt, il bruno dai riccioli spettinati, osservava sognante lo scorcio di cielo lattiginoso, cercando qualcosa con lo sguardo. Fu proprio quest'ultimo a prendere la parola, dopo alcuni minuti di silenzio: — Incredibile che cosa siano riusciti a fare in così poco tempo, non è vero?

— Se ti riferisci a quell'ammasso di ferraglia, sappi che non si vede da qui.

Godòt tornò a scrutare la strada, vagamente deluso. — Parlo anche di quello, ma non soltanto. Sono sempre riusciti a stupirmi. Hanno ammansito le fiere, eretto monumenti di una maestosità impressionante, hanno creato la bellezza in modo multiforme e stanno imparando a sfruttare l'energia con arguzia. Hanno costruito invenzioni per analizzare le parti infinitesimali della materia, perché il loro ingegno non smette mai di spingersi oltre. Si sono evoluti e lo stanno facendo anche adesso.

Lùxipher rise divertito, riponendo il giornale ancora aperto sul tavolo e lanciando un'occhiata al compagno. — L'evoluzione non sempre porta a un miglioramento.

— A me piace pensare che sia così.

— Guarda cos'altro inventano. — Il biondo allungò la pagina del Le Figaro col Manifesto del Futurismo. — Vai al numero sette. Lo vedi? Non smetteranno mai di cercare la guerra!

Godòt neppure ebbe bisogno di leggerlo o, se lo fece, gli bastarono pochi istanti prima di sollevare uno sguardo distratto, come per dire: "Bagatelles!".

— Il peggio di loro si deve ancora manifestare. Hanno voluto troppo. La loro arroganza si spingerà a un limite oltre il quale non sarà possibile tornare indietro.

— Eppure io voglio ancora crederci.

— Non c'è bisogno che ti ricordi il cannibalismo nei sacrifici rituali, i martîri in nome della fede, la caccia alle streghe, i conflitti per la sete di potere, le stragi e la loro continua, insulsa necessità di prevaricare gli uni sugli altri.

— Quello che dici è vero, ma io la vedo in altro modo. — Godòt si rilassò sullo schienale, ammirando i pochi sprazzi azzurri oltre le nuvole. — Penso che, qualunque terribile sbaglio possano commettere, troveranno il modo per andare avanti.

— Non è scontato che "andare avanti" conduca a una condizione migliore della precedente, altrimenti non esisterebbero i periodi di implosione ed esplosione. Dico bene? Per quanto mi riguarda, non scommetterei nulla di buono su di loro.

— Io invece sì. Vogliamo scommettere davvero, Lùxipher?

— Bah! Non sprecherei un secolo per provarti ciò che già so.

— Temi forse che io possa vincere? Per quanto ricordo, non ti sei mai tirato indietro di fronte a una scommessa. Ho giusto in mente qualcosa di interessante...

L'altro sospirò, con un sorriso condiscendente. — Sentiamo cos'hai da proporre.

— Si tratta di uno scherzetto. — Godòt sussurrò qualcosa all'orecchio del vicino, come se qualcuno avesse avuto interesse nel profanare la loro conversazione.

Le corde d'oroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora