La Fabbrica delle nuvole - Parte I

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Continuo a non dormire.

Neanche ricordo l'ultima volta che sono riuscito a riposare per più di due ore di fila. Vorrei fare qualcosa di questo tempo vuoto, tuttavia me ne mancano le forze: il mio corpo dorme, è la mente che non vuole spegnersi. Guardo fuori e vedo le luci accese in tutta la città; anche questa notte, non sono il solo a restare sveglio, le strade brulicano di anime perse, prigioniere dei propri incubi a occhi aperti. Dannata città, viverci è come bere l'acqua nerastra che scorre nei suoi canali: doloroso, sporco e privo di senso.

La Propaganda ha un bel dire che viviamo nella più progredita delle città; la verità è che restiamo qui solo perché non c'è altro posto dove andare fuori dalle gigantesche mura. Alcuni provano a negarlo, parlano di altri luoghi sicuri, favoleggiando di Zone Verdi dove non esiste miseria o fame... poveri sciocchi che dimenticano che non esiste un paradiso per i dannati. Anche in questo antidiurno, nelle ore che credo gli Estranei chiamino "notte" resto alla mia finestra. Un termine inutile, come "mattina" o "pomeriggio", per astruse divisioni, quando si è in un luogo dove per miglia la luce del sole viene filtrata dalle nubi che gravitano costantemente sulla Città.

L'aria è fresca, per cui rimango a osservare il gigantesco impianto che ne è cuore; studio i movimenti lenti dei possenti ingranaggi e l'addensarsi del fumo grigio, che ogni tanto sbuffa verso l'alto, cercando di identificare tra i chiaroscuri e le striature di colore, forme e volti di fantasmi. Ha tanti epiteti: Piramide, Ziggurat, Tempio d'Acciaio e persino Grande Sfintere, a seconda di chi ne parli; per me rimane la "Fabbrica delle Nuvole", il nome che preferivo da bambino, quando ancora correvo tra le vie per raccattare qualche moneta, in attesa del diurno in cui avrei cambiato la mia sorte. C'è voluto del tempo per accettare che la fortuna non arriva per chi nasce dal lato sbagliato della linea di demarcazione della città: io sono nato qui, nella Seconda Cinta, i bassifondi, ed è qui che morirò.

Un improvviso attacco di tosse mi fa sputare il vischioso liquido spacciato per liquore da Chan, che mi fa compagnia in queste lunghe ore di veglia obbligata. Forse alla fine non dovrò aspettare ancora a lungo per andarmene da qui, considerato lo stato in cui i miei organi si trovano; ho sentito che con 6.000 dinne si può essere rimessi a nuovo nelle cliniche della Città Alta. Anche fosse vero, non ho avuto né avrò mai una simile cifra per le mani.Per spegnere la tosse provo a mandar giù un altro sorso, l'unica medicina che mi posso permettere. La voce dell'addetto alle comunicazioni della Giunta riecheggia ancora una volta dagli altoparlanti sulle lampionaie; la solita solfa su "noi" privilegiati, che viviamo al riparo nella nostra coltre di nuvole in un'utopia dove le libertà individuali sono garantite... queste idiozie mi danno il mal di testa; mi piacerebbe scendere in strada e prendere a sassate uno dei megafoni, ma nonostante la mia libertà di protestare, sarebbe considerato danneggiamento delle proprietà municipali, punibile con due anni di confino nel sotto-impianto, quasi una condanna a morte.

Una goccia mi riga silenziosamente la guancia, rammentandomi che per questa notte è programmata una tempesta; da piccolo avevo la strana convinzione che fossi sempre io il primo a bagnarmi quando iniziava a piovigginare, quasi il temporale mi cercasse di proposito. Chiudo i vetri della finestra e osservo il disordine che regna nel mio appartamento... in qualche modo è più deprimente dello spettacolo offertomi dalla Città. Spostando il vassoio della cena ancora sporco di soylent, mi getto sul letto, lasciando affondare la testa nel cuscino sgualcito; chissà, forse riuscirò a dormire per qualche ora.

Sono ancora sveglio. La pioggia ora è più forte; la sento battere sul vetro cercando di entrare, sembra quasi pronunci il mio nome. Forse sono messo peggio di quanto credessi.

Lanciata un'occhiata di sotto vedo Benny; avrei dovuto riconoscerlo dalla voce, è l'unica persona che conosco che possieda un timbro stridulo e pedante al tempo stesso. Scorgendomi al balcone, mi fa segno più volte di scendere; trema molto più del solito e non credo dipenda dal fatto che sia fradicio. La sua agitazione non può voler dire nulla di buono; del resto lo pago per portare cattive notizie. Mi sporgo, cercando di rimanere il più possibile all'asciutto e snocciolata una battuta sul tempo, m'informo sulla sua famiglia, solo per il gusto di vederlo boccheggiare sotto la pioggia; mi occorreva un diversivo... non sembra però volersi prestare al gioco, gridandomi che c'è il corpo di un tizio sfracellato a tre isolati da qui. In qualità di Vigilante di quartiere è compito mio indagare sui casi di morti sospette; la tempestività è tutto, fra poco il cadavere non avrà più indosso nemmeno le mutande, tuttavia in questo antidiurno non me la sento di dare la caccia ad altri spettri. D'altronde, nuovi cadaveri vengono scoperti a ogni ora nei bassifondi, la morte è come una di famiglia, quindi datogli dell'idiota per avermi "svegliato" me ne torno a letto. Cosa potrebbe mai esserci di tanto eclatante in un pazzo che ha imparato a sue spese di non poter volare? Tra il frastuono dei tuoni, la risposta giunge da Benny che mi urla a squarcia gola che il defunto è un Druido; ci vuole più tempo per rendermi conto di quanto la faccenda sia grossa anziché prepararmi a uscire. Ho la barba di due settimane, delle occhiaie sul volto emaciato e puzzo d'alcool: l'immagine di un tipico frequentatore di bettole; per quanto poco professionale non credo di aver modo di migliorarla. Mando giù un ultimo bicchiere, mi servirà la sua energia nel carburatore, per poi fiondarmi in strada.

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