Capitolo VII

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Marco fu svegliato dalla voce incolore di Valeriano: «Il console vuole vederti nella sua tenda

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Marco fu svegliato dalla voce incolore di Valeriano:
«Il console vuole vederti nella sua tenda. Ora!»

Rotolò fuori dal giaciglio con una smorfia preoccupata e si lasciò sfuggire un gemito di dolore quando le ferite sulla schiena sfregarono contro il terreno, minacciando di riaprirsi. Erano passate tre settimane da quando lui ed Ennio erano tornati all'accampamento romano e l'uomo sapeva di essere stato fortunato: la pena per i disertori era la morte, ma la sua onestà e la fedeltà che aveva sempre dimostrato alla causa romana – unite a una certa abilità dialettica e al fatto che Taurino fosse misteriosamente scomparso – avevano convinto Sofo che si era trattato solo di un malinteso.
Tuttavia il console aveva ritenuto opportuno farli frustare per aver abbandonato l'accampamento sulle tracce di Taurino senza aver ricevuto un ordine diretto, perciò Marco era costretto a muoversi con più cautela del solito.
In quelle settimane nel suo animo si era combattuta una feroce battaglia tra orgoglio e onore, perché da un lato si vergognava profondamente di essere stato sottoposto a una punizione così infamante – per di più sotto gli occhi di tutti i suoi commilitoni – e dall'altro sapeva che aveva agito per una giusta causa e che, se gli si fosse presentata di nuovo un'occasione del genere, avrebbe commesso gli stessi errori.

Le sue notti si erano fatte, se possibile, ancora più inquiete e penose, funestate da un sogno ricorrente in cui affrontava in battaglia un nemico senza volto; quando finalmente affondava la spada nel suo petto si ritrovava a fissare gli occhi accusatori di Nipias e annegava nel sangue che fuoriusciva dal corpo della ragazza. Ogni volta si svegliava in preda al panico e il suo primo istinto era quello di fuggire di nuovo dall'accampamento, vagare per i campi accompagnato dal frinire discreto dei grilli, cercarla, trovarla... Ma quando arrivava a pensare di volerla tenere con sé Marco poneva un brusco freno alle sue fantasie.
Mentre si dirigeva verso la tenda di Sofo tra i suoi pensieri emerse con prepotenza l'ultima immagine che aveva di lei, piccola lupa solitaria che si allontanava su un sentiero appena visibile e spariva nella boscaglia.
Il loro ultimo incontro gli era rimasto impresso come un marchio a fuoco, era diventato parte di lui: e come un marchio bruciava e bruciava...

La tempesta aveva ceduto il cielo a una mattinata tersa e luminosa e i tiepidi raggi del sole di fine estate si allungavano sulla terra bruna delle colline ancora umida per la pioggia

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La tempesta aveva ceduto il cielo a una mattinata tersa e luminosa e i tiepidi raggi del sole di fine estate si allungavano sulla terra bruna delle colline ancora umida per la pioggia. Alla luce del giorno Nipias gli era sembrata un'estranea e non la ragazzina spaventata con cui aveva condiviso ricordi e rimpianti accanto alle braci: l'aveva osservata in silenzio mentre si stirava come un gatto, flettendo il corpo minuto e troppo magro.
"Di sicuro soffrirà la fame, di tanto in tanto!" aveva pensato preoccupato.

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