1. Incontro fortuito

1K 67 186
                                    

Il corpo proteso in avanti.
Le falcate sempre più rapide.
Le scale, percorse due a due.
Sento il fischio.
Sono sul marciapiede, lo sguardo rivolto all'entrata più vicina, a due metri da me.
Un balzo e sono dentro.
La porta si chiude e il treno comincia a muoversi.

Avanzo tra la gente alla ricerca di un posto a sedere, tra i pendolari che come me stanno rientrando a casa. Genova Principe-Genova Pegli: quattro fermate in venti minuti. Un lasso di tempo che è poco più dell'1% su tutta una giornata.

Scandaglio il vagone fissando i passeggeri seduti come se fossi Karl Fairburne in Sniper Elite. Non ho un'ottica per ingrandire i particolari, né ho intenzione di farli fuori con un fucile, ma presto attenzione a cogliere ogni segnale buono per capire se una persona sta per alzarsi. Una signora ripone il telefono nella borsa e si sistema il foulard al collo. Mi avvicino. Dopo qualche secondo eccola in piedi. Il suo sedile ora è mio.

Tiro fuori un libro dalla borsa: Sconosciuti in treno di Patricia Highsmith. Uno dei gialli che mancava alla mia collezione.

Tuttavia mi distraggo.

Sto cercando di ritrovare la pagina piegata che mi fa da segnalibro quando vedo davanti a me un grande cronografo d'acciaio che circonda un polso virile; impossibile non notarlo: è proprio accanto al bordo superiore del libro. L'orologio spunta da un polsino inamidato alla perfezione e chiuso da un gemello d'oro.

Nella mia vita da pendolare non mi era mai capitato di incrociare qualcuno abbigliato in modo così elegante, eppure sono una che adora osservare la gente, catalogando una miniera di informazioni che fanno lavorare a pieno ritmo la mia Ram durante il viaggio tra tic, atteggiamenti, espressioni facciali.

Alzo gli occhi: ho davanti un uomo distinto, elegante, che sta leggendo una rivista. Ha i capelli brizzolati tagliati corti, il viso pulito, sembra fresco di rasatura. Torno su quel polso in cui la peluria prosegue, appena accennata, sulla mano priva di anelli alle dita.

Fingo di leggere, ma in realtà lo guardo di sottecchi e quando mi giro verso il finestrino, sfrutto il riflesso della luce sul vetro per spiarlo senza essere troppo invadente.

Lui è concentrato sul magazine, ha una gamba accavallata sull'altra quando un bip lo distrae. Estrae dalla tasca della giacca un Samsung Galaxy A6 e il suo volto si adombra per un attimo nel momento in cui dà un'occhiata allo schermo. Senza digitare nulla, lo rimette al suo posto e torna al suo giornale.

L'attrazione che esercita su di me questo sconosciuto è tale che manco la mia fermata: mi volto verso il finestrino e vedo scorrermi davanti agli occhi la scritta Genova Pegli in bianco su sfondo blu. Il destino ha voluto così, penso. In un attimo decido: resto a bordo per vedere dove scenderà. Questo potrebbe significare allungare il viaggio anche di mezz'ora senza avere la copertura del biglietto, ma non mi importa.

A Genova Voltri, due stazioni dopo la mia, si alza in tutta fretta per avvicinarsi all'uscita, sorprendendomi. Stavo ideando una scusa per dirgli qualcosa, invece mi sfugge così, mescolandosi alla folla che si accalca verso la porta. Quando anch'io riesco a raggiungere il marciapiede ormai è lontano; sta andando a velocità doppia rispetto alle altre persone che vanno nella sua stessa direzione. 

Le mie dita si muovono nervose nel tentativo di chiudere la giacca, ma non riesco neanche a incastrare la zip. Impreco, ma so che il vero motivo è un altro: il prolungamento del viaggio non è servito a nulla e non mi resta che imboccare il sottopassaggio e attendere il treno per tornare a casa.

Big TroubleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora