Il deserto (parte 2)

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Non ero neanche sicuro di camminare in linea retta: senza rifermenti di nessun tipo, la costante monotonia del paesaggio metteva in dubbio anche la capacità di mantenere la stessa direzione. Mi voltai a controllare le orme che avevo lasciato nella sabbia, e in effetti, anche se un po' a zig zag, potevo ammirare una lunghissima serie di impronte formare una sorta di linea più o meno dritta, che si perdeva chilometri e chilometri indietro. Be', almeno non avevo camminato in cerchio... Provai una malinconia nera che mi scavò nelle viscere, e per un po' mi impedì di continuare. Camminavo ormai da ore, la testa bassa, col sole che picchiava imperterrito, il sudore che mi bagnava il corpo sotto sforzo, mille domande che affollavano il cervello sovraccarico, ma mi imposi comunque di continuare ancora per un paio d'ore. Non incontrai niente e nessuno. Poi mi fermai. Il sole stava finalmente tramontando: quindi anche da quelle parti esistevano il giorno e la notte! Bevvi un sorso d'acqua, constatando che ormai il contenuto della bottiglietta si era ridotto della metà, nonostante avessi tentato di razionarla il più possibile. Se non avessi trovato aiuto entro l'indomani sarebbe stata la fine.

Ormai stremato mi sdraiai sulla sabbia calda, provando un senso di ripugnanza al suo contatto che non avrei saputo spiegare. Me ne stetti così, le braccia larghe come in una resa, lo sguardo rivolto al cielo, senza pensare più a niente. Non ne avevo la forza. Calò la notte e con essa la temperatura: nel giro di poco dal caldo si passò al freddo, ma non avevo niente con cui coprirmi. Mi rincuorai pensando che da ore non udivo più quella voce lontana, e mi convinsi fosse stata solo un miraggio, fenomeno piuttosto frequente nei deserti. Riuscii ad addormentarmi, anche se il mio sonno fu leggero e tormentato dagli incubi.

Mi svegliai di soprassalto, come una bestia braccata. Mi guardai attorno in cerca di una minaccia che non trovai, ancora semisdraiato nella sabbia. Mi alzai tremando, la bocca secca che reclamava acqua, i granelli biancastri che mi scivolavano pigramente di dosso. Raccattai la bottiglia mezzo sepolta nella rena e sorseggiai con prudenza un paio di gocce, che tenni in bocca il più possibile, prima di mandarle giù. Era mattina già da un pezzo; il sole picchiava forte, e le lancette dell'orologio da polso segnavano le dieci meno un quarto. Stavo per riprendere il mio cammino senza speranza, quando notai un'ombra parecchio lontana.

Nell'orizzonte tremolante a causa del calore intenso, intravidi una forma umana, immobile. Mi avvicinai di una paio di metri per accertarmi di non aver preso un abbaglio: un uomo se ne stava fermo lì in mezzo al nulla, come in attesa di qualcuno o qualcosa; indossava un cappello a larghe falde, mi parve di un marrone scolorito, e un lungo cappotto dello stessa tinta, tenuto aperto a mo' di mantello. Per contrasto il bianco della camicia spiccava in modo quasi cadaverico, ricordando il colore fin troppo chiaro di quella dannata sabbia. Il cappello era calato sul volto che restava in ombra, e comunque così lontano non avrei potuto distinguere i lineamenti di quell'individuo dall'aria sinistra. Anche a quella distanza quell'uomo riusciva ad incutere timore: c'era qualcosa di minaccioso in lui, nella sua calma disumana, in quegli abiti da cow boy fuori luogo. Sembrava un fantasma, o l'uomo nero che si nomina per spaventare i bambini.

Strane idee mi passarono per la testa, strisciando sulle mie paure come vermi ripugnanti. Mi venne in mente che mi seguisse dal giorno precedente senza che me ne fossi accorto, godendo delle mie sofferenze... Ad un tratto fui certo che fosse lì per me, per uccidermi.

- No! - urlai in quel vuoto immenso, e il suono angosciato della mia stessa voce mi parve orribile. Scappai, sicuro in cuor mio che quello sconosciuto mi venisse dietro, pronto ad aggredirmi.

Il deserto bianco (vincitore Wattys & Horror Games)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora