XXIV

4.7K 149 442
                                    


Lo spazio. L'immensità di tutto quello spazio, cielo, terra, buio ma non come là dentro, un buio nuovo, fatto di mille bui diversi. La vertigine, agorafobia non riconosciuta, troppi respiri tutti insieme. E poi il gelo a morderla, azzannarle le spalle per prime, poi i fianchi, le gengive mentre l'aria veniva risucchiata tra i denti. E tutto questo senza fermarsi un istante, nessuno schiocco a raccontarle di una porta chiusa che invece era stata bloccata a metà strada mentre lei correva storta, mille sassolini a ferirle la pianta dei piedi già nei primi dieci passi. Teneva la scheggia stretta nel pugno, la punta in avanti.

Se spara

se sento il bruciore alla spalla

meglio morire libera, pur di non essere presa di nuovo

ammazzata sì, prigioniera no.

Come Saverio, come se quel momento si fosse ricollegato con il loro unico bacio, i ricordi delle settimane seguenti strappati a rinnegare se stessa, Anna corse incontro alla morte, senza ricollegare che Lui gli aveva sparato, con un proiettile, non con il narcotico. Ogni balzo rachitico la spingeva verso un buio di fronde e frasche ed erbe immobili senza strade o sentieri o luci che non fossero quella della luna, due metri e sarebbe stata su un terreno incolto, dieci metri e cominciava il bosco, intorno l'abbandono a perdifiato. E Anna lo puntò, mentre alle sue spalle il fucile scattava, ricaricato, i passi arrivavano alla ghiaia, poi si fermavano, ma lei corse, corse lo stesso, aspettando il bruciore, la scheggia sul collo, ma invece

forse

no

no, ne era sicura

un motore.

Il silenzio interminabile. Anna si sentiva ferma, era ferma, e invece il bosco le veniva incontro e nessuno sparava ma nemmeno il motore si sentiva più. Uno scatto lontano. Un suono? Era un uccello notturno? Qualunque cosa fosse la ghiaia crepitò, i passi rientrarono precipitosamente, la porta non sbatté ma faceva lo stesso e Anna trovò tronchi e rami e i piedi si ferirono ancora, rumorosi sugli aghi secchi e le foglie morte e la neve, sì, ancora una rimanenza di neve. Dal buio un grido

«Oh cazzo! Oh dio, oh cazzo!»

e poi la luce.

Fari. Fari che arrivavano da un sentiero che invece c'era, eccolo, eccolo lì, c'era un'auto poco lontana, magari qualcuno che era finito in panne proprio lì, e Anna avrebbe dovuto gridare "State attenti! Non venite, ci sono i mostri!" ma batteva i denti e non se n'era accorta, li batteva così forte che non riusciva ad aprire la bocca. Il motore ripartì e lei si mosse istintivamente in direzione dei fari.

Poi uno sparo.

Uno sparo vero, non il narcotico, e non veniva dal capannone ma dall'auto.

Sono i rinforzi. Cercano me.

E anche se il freddo e il dolore la piegavano ricominciò a correre perché adesso i fari si avvicinavano e potevano essere altri mostri al servizio del mostro, potevano essere lì per portare la nuova bestia per la gabbia di Saverio, e piuttosto che farle compagnia si sarebbe fatta dilaniare dalle spine e divorare dai lupi. La macchina le passò accanto e lei si buttò nel punto più fitto, nel buio più nero. Qualcosa le bucò la pianta del piede, cercò di non urlare, incespicò due, tre volte mentre alle sue spalle la luce si fermava una decina di metri e si girava verso di lei. Allora si disse

Ferma, Anna, stai ferma, non farti sentire.

accucciandosi a terra, tremando, i denti che sbattevano così forte che si prese il mento con due mani per farli stare fermi.

зооDove le storie prendono vita. Scoprilo ora