Capitolo 9.

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Parigi, 19 Ottobre 2015

Harry esce dalla doccia con il solo asciugamano legato in vita e un sorriso malizioso sul viso. Quello stesso sorriso però dura poco e muore nell'esatto istante in cui mi vede completamente rivestito e seduto sul letto, il cellulare usa e getta stretto nella mano sinistra. Il suo sguardo si sposta lentamente tra me e la mia mano, per poi vagare a terra dove ho lanciato le lenzuola tra le quali mezz'ora prima facevamo l'amore e che ora mi provocano solo ribrezzo.
"Hai un appuntamento alle dieci, quindi ti conviene vestirti. Non vorrai fare tardi, si sono raccomandati che tu fossi puntuale" La mia voce mi suona estranea, una cieca durezza e un'assenza di emozioni tale da far paura. Il suo sguardo vacilla e diventa lucido, mentre si passa una mano tra i ricci bagnati.
"Lou..." Sussurra e la rabbia di impossessa di me. Inizio a vedere tutto rosso e mi alzo di scatto dal letto, lanciando il cellulare.
"Non chiamarmi così, cazzo! Non te lo meriti!" Urlo mentre il dolore mi acceca. Sento male dappertutto, male in ogni muscolo del corpo, male in ogni punto della testa, male in quella parte più profonda del mio petto che finalmente aveva ricominciato a vivere ma che ora era stata spezzata senza pietà in due parti. Mi avvicino a lui e lo spingo contro il muro. Lui mi lascia fare, anche se sono consapevole che se volesse avrebbe la forza necessaria per fermarmi. Ma fortunatamente non lo fa. Mi guarda solamente, le labbra separate e l'espressione più penosa che io abbia mai visto sul viso.
"Mi hai mentito, Harry." Sibilo "Mi hai mentito su ogni fottuta cosa. Avevi detto che non facevi più parte di quel giro, avevi detto che non avresti mai più toccato quei soldi!" La mia voce si incrina ma impedisco a me stesso di piangere anche una sola lacrima. Tremo e stringo un pugno sul suo petto, capace solamente di guardarlo, mentre tutto quello che è il mio mondo si sgretola inesorabilmente per la seconda volta davanti ai miei occhi. Mi allontano da lui e gli dó le spalle.
"È per questo che mi volevi a Parigi? Hai finto fosse una vacanza solo per venire qui indisturbato a fare i tuoi sporchi affari?! Per avere una scusa cosí nessuno si sarebbe insospettito?" Respiro velocemente "Rispondi, cazzo!"
"Lou-Louis" Si corregge "È un grande affare, non potevo perdermelo. Sono davvero tanti soldi che avrebbero fatto comodo ad entrambi".
La rabbia mi scorre nelle vene e sono costretto a tirare un pugno a una piccola abat-jour di fianco a me, per non rischiare di fare del male a lui e poi sicuramente pentirmene. Le cicatrici sulla mia mano destra, causate dal pugno tirato in biblioteca qualche settimana prima, tornano a riaprirsi. Impreco, ma il dolore fisico mi sembra indifferente rispetto al groviglio di sentimenti pungenti che provo appena sopra allo stomaco.
"Non me ne frega un cazzo quanti soldi fossero! Potrebbero essere stati anche milioni, miliardi di dollari, ma tu mi avevi fatto una promessa, Harry."
I suoi occhi si scuriscono. Fissa la mia mano per qualche secondo e conoscendolo so che sta per dirmi di fasciarla, ma in quel momento non lo fa.
"In realtà non ti ho mai promesso che sarei uscito dal giro. Quando me lo hai chiesto ho semplicemente scosso la testa" Lo guardo intensamente, anche se non sono certo il mio sguardo riesca a esprimere tutta l'indignazione che provo in quel momento. Lo guardo con attenzione, sapendo che forse quella sarà realmente la nostra fine e che non ci potrà essere un destino talmente bastardo da darci un'altra possibilità da rovinare, tra altri quattro anni. Lo guardo e focalizzo in me la sensazione di disgusto e dolore che provo in quel momento sperando di non arrivare mai a pentirmi di ciò che sto per fare.
"Fuori, Harry. Esci di qui"
La sua espressione sicura vacilla. I suoi occhi si svuotano di ogni emozione e le sue guance perdono il colore. Rimane immobile per qualche secondo. Sta per parlare ma la voce gli muore poco prima di uscire dalla gola. Raccoglie un paio di pantaloni e una maglietta da terra e poco dopo si chiude la porta alle spalle.

Parigi, 20 Ottobre 2015

Chiudo imprecando l'ennesimo sito di prenotazione di voli aerei. Possibile che l'unico volo che faccia la tratta Parigi-Vancouver senza troppi scali parta tra tre giorni e che non ce ne siano prima?
Mi passo le mani tra i capelli, prima di buttarmi sul letto della mia nuova stanza. Guardo il soffitto decadente e incrostato di muffa e provo un conato. Ieri, quando me ne sono andato dall'hotel che condividevo con Harry, non ho avuto ne la forza ne la voglia di cercare un albergo decente che avesse una stanza libera anche senza prenotazione. E così mi sono trascinato qui dentro, accorgendomi solo alla luce del giorno dopo in che razza di topaia fossi finito.
Allungo una mano verso il comodino a cercare la bottiglia di vodka liscia.
'Dimenticalo' Urla la mia mente. 'Dimenticalo, è sua la colpa questa volta.'
Ma quell'urlo non è mai abbastanza forte da sovrastare la parte di me che ancora resiste, quella parte che mi impedisce di pensare ad Harry come a qualcuno capace di mentirmi su qualcosa di così importante. É come se cercassi di convincermi che è tutto un sogno e che tra pochi minuti Harry entrerà dalla porta per leggermi una poesia di Catullo. É come se in me fosse ancora incisa la sua immagine di come lo vidi per la prima volta: etereo, perfetto, puro.
Bevo un sorso di vodka e chiudo gli occhi. Un brivido mi percorre la schiena quando ingurgito il liquido. Solo dopo qualche secondo mi accorgo di star piangendo e la rabbia riaffiora. Lascio cadere la bottiglia sul letto, fregandomene se si rovescia sulle lenzuola e urlo. Urlo forte, fino ad avere la gola in fiamme. Urlo e piango, come se fossero due cose compatibili. Urlo perché l'uomo di cui sono stato innamorato per anni e che ho sempre cercato di proteggere da tutti, soprattutto da me stesso, mi ha strappato ogni barlume di felicità.

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