I • Sorgere (2 di 4)

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Betty aprì la sacca che portava in vita

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Betty aprì la sacca che portava in vita. «Coraggio piccoline, tutte fuori!» disse. Dalla sacca uscirono sei piccole creature luminose, non più grandi di un pugno. Avevano l'aspetto delle altre stelle, ma con il corpo e le alette più tozze. Le stelline si guardarono attorno saettando da una parte all'altra, felici di uscire dalla sacca.

«Sarebbe anche ora che prendessero parte alle formazioni anziché giocare tutto il giorno...» borbottò il capitano.

Betelgeuse sbuffò. «Andiamo Sirio, non hanno nemmeno cento milioni di anni! Lascia che si godano un po' l'infanzia! Ci sarà tempo! Vero piccoline?» Alcune piccole stelle pizzicarono affettuosamente il viso di Betty in risposta.

«Questo non significa nulla! Polaris compie cinquanta milioni di anni tra un paio di secoli ed è una delle mie stelle più capaci!» le fece notare Sirio.

Betty non lo ascoltava ormai, o fingeva di non farlo, così Sirio sospirò e concluse: «Almeno fa attenzione che non disturbino madama...»

«Non ti preoccupare Sirio, sono brave stelle,» lo tranquillizzò Luna. Lui fece un cenno con il capo e sfrecciò via per organizzare gli spostamenti delle costellazioni nel ciclo.

Luna guardò su, verso la Terra: un enorme disco nero pieno di piccole luci pulsanti, come le sue stelle. Fece un profondo respiro alla ricerca della giusta concentrazione; poi schiuse le delicate labbra per cantare alla Terra, mentre Betty invitava le piccole stelle a prestare attenzione e mettersi in ascolto.

«Distendi le membra e riposa
sia culla e giaciglio il cantar
pensieri e domande giù posa
acquieta dei piedi l'andar.»

Le onde dei capelli d'argento e d'azzurro della dama si sciolsero, muovendosi sinuose e creando riccioli e disegni astratti sopra la testa della sovrana, come fossero immersi nel profondo mare. Il trono sferico iniziò a emettere un delicato suono d'accompagnamento al canto della sua padrona. La dama rivolta alla Terra proseguì la sua romanza:

«Il canto sia dolce cullare
cullare sian flutti nel mar
i flutti un invito a viaggiare
viaggiare nel cielo e sognar.»

Dalla Terra cominciarono a scendere verso il cielo notturno delle opache e tenui luci.

«Disciogli dei sogni i legacci
timor di sperar non v'è più
sian vento nei tuoi blu velacci
sian guida le stelle quaggiù.»

Le luci che scendevano dalla Terra si fecero più vicine, fino a fermarsi poco sopra madama Luna, mostrandosi come sfere irregolari grandi quanto un uovo di struzzo, al cui interno pulsava tenue una luce. Un filo appena visibile le collegava alla Terra. Era segno che l'uomo, l'Oro dell'Universo, iniziava ad addormentarsi; quelli erano i suoi sogni, che volavano giù e giù nel cielo. Qui, più vicini alle stelle, potevano maturare sotto le costellazioni, che li proteggevano e nutrivano con la loro luce. Il canto ristoratore della sovrana, intanto, faceva ritrovare all'uomo la forza, lo riposava dal lavoro del giorno passato, e lo aiutava a maturare e crescere; mutava in soddisfazione la stanchezza fisica, leniva i dolori di chi aveva sofferto e aiutava a voltare pagina, a guardare avanti.

Quando Luna smise di cantare, i suoi capelli delicatamente tornarono a formare il cono ricurvo sopra la sua testa, e il suo trono smise di suonare.

Alcune stelle adulte iniziarono a saettare tra i globuli scesi dalla Terra, controllandoli e voltandoli all'occorrenza delicatamente verso l'una o l'altra costellazione, affinché potessero assorbire al meglio le forze di cui avevano più bisogno.

Betty intanto stava accompagnando le giovani stelline a fare una passeggiata in quel campo di piccole lanterne. «Ehi, piano lì, Maia! Sono delicate,» disse materna la stella a una di loro. Capitava che i sogni si infrangessero, e nemmeno così raramente, ma capitava più spesso a causa della persona a cui era legato quel sogno. Poteva succedere, per esempio, quando un uomo trascurava per troppo tempo un sogno. Esso allora non riusciva a nutrirsi e la sua superficie si faceva più fragile, finché lo sbuffo di vento di una notte qualsiasi lo crepava e lo sbriciolava, facendo cadere come cenere le inermi briciole di quel sogno giù e giù nelle più basse profondità del cielo. A volte poteva capitare anche ai sogni più promettenti a causa di imprevisti sfortunati, e quelli erano i casi peggiori... Però quale gioia quando si realizzavano! Quando il desiderio e la speranza mutavano in realtà, quando il guscio di quelle uova luminose si schiudeva dando vita a una nuova piccola stella del regno! Erano la prova della perfezione del lavoro della sovrana. La prova che cantando con tenacia all'uomo ogni notte poteva portarlo alla perfetta realizzazione di sé.

Luna sapeva che giusto all'inizio del ciclo successivo, sotto l'altra faccia della Terra, la aspettava un sogno pronto a schiudersi. Al solo pensiero, già pregustava la soddisfazione che avrebbe provato.

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La canzone che ho scelto per questo capitolo è:
We Bought a Zoo di Jónsi


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