When angels deserve to die

762 83 39
                                    

Conte morì il quinto giorno.

Quando Salvini e Di Maio si risvegliarono, ancora abbracciati ai piedi dell’albero, si accorsero del colorito rossastro sparso sul suolo, tra le foglie, le radici e i ramoscelli di una natura testimone della sofferenza delle troppe vittime di quel gioco. Erano forse le sei, a giudicare dalla posizione del sole, quando videro il corpo di Conte a terra, ancora immerso nel sonno. Lo sapevano bene: stavolta non si sarebbe risvegliato. Lungo il collo vi era un sottile e profondo taglio, circondato dal sangue ormai asciutto e scuro. Non aveva un’espressione sofferente. Forse non se n’era neanche reso conto, si disse Luigi. Magari era troppo ubriaco. Aveva bisogno di crederci. Avrebbe voluto piangere, tuttavia i suoi occhi non si inumidirono, e il suo stomaco non si contrasse. In realtà, non ebbe alcuna reazione.
Era certo che sarebbe successo e si trovava ora solo davanti al loro destino.
Salvini gli strinse la mano. Cercava con lo sguardo il machete, che era scomparso. Si accorse di una striscia di sangue accanto al corpo, che portava dietro ad un albero a qualche passo da loro. Cautamente, andò a controllare.

Vi ritrovò la sua arma. Era ben affondata nel petto di un cadavere. Era difficile riconoscerlo, il viso scarno e pallido, punteggiato da nei e macchiato di rosso e di vecchi strani tagli. Ma Salvini avrebbe potuto fare un ritratto a occhi chiusi della faccia dei suoi nemici. “Conte è riuscito a fermarlo. È stato Renzi. Quel vigliacco...”

Luigi era rimasto accanto all’amico e continuava a fissarlo. Se si fosse svegliato, se fossero rimasti accanto a lui, quella notte, ora non sarebbe stato lì a terra. Era colpa sua, di nuovo. Era colpa sua.
“Peppe deve averlo colpito poco prima di morire. Non mi aspettavo che avesse tanta forza… e coraggio. Mi dispiace. Era una persona onesta” Dopo aver analizzato ancora la scena ed essere giunto a una conclusione plausibile, tornò dall’alleato, che non aveva detto una parola fino ad ora. Avrebbe dovuto spronarlo ad andare avanti, ad allontanarsi da lì. Tuttavia non aveva più senso. La notte prima erano morti altri quattro tributi. Ora, Conte. Questo significava che erano rimasti solo in tre.

Un allegro fischiettio li raggiunse, e presto ne furono circondati: le ghiandaie imitatrici lo ripetevano senza sosta, viaggiando nel limpido cielo di quel quinto giorno.
Poi, una voce.
Salvini e Di Maio la riconobbero. Da dove proveniva il suono, emerse, poco dopo, una figura. Il sorriso inconfondibile sulle labbra.
“Meno male che Silvio c’èèè…”

Hunger Games AU || (Salvimaio)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora